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Di fronte al collezionista. La raccolta di Uli Sigg di arte contemporanea cinese al Castello di Rivoli

Il percorso della raccolta delle opere della collezione di arte contemporanea cinese, visibile al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea fino al 30 agosto 2020 per la prima volta in Italia, narra una storia di curiosità intercontinentale evoluta in passione. La mostra “Di fronte al collezionista. La collezione di Uli Sigg di arte contemporanea cinese”, a cura di Marcella Beccaria, presenta la prestigiosa collezione, riconosciuta come la più importante al mondo, che nella sua versione completa include circa 2.500 opere di oltre 500 artisti. Non sorprende, che il fulcro di questa mostra sia la storia della nascita e dello sviluppo della collezione stessa, tracciata accuratamente in dettaglio nel testo che accompagna la mostra.

Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli, commenta: “[…] Questa mostra di opere della Collezione Sigg fa […] parte di un nuovo importante filone della programmazione museale che indaga il rapporto tra collezioni private e pubbliche, ponendo l’attenzione sulla necessità di rendere più familiare e accessibile l’esperienza dell’arte, piuttosto che neutralizzarla in contenitori museali tradizionalmente impersonali. Mentre il mondo sostiene e supporta gli sforzi della Cina per contenere un virus, noi nel campo della cultura stiamo facendo del nostro meglio per sostenere il massimo scambio culturale e la condivisione di idee e punti di vista”.

A seguito della dichiarazione della Open Door Policy, Uli Sigg è stato il primo imprenditore a recarsi in Cina nel 1979 per la Schindler. “Sono venuto per introdurre un modello per un investimento in Cina per il mondo esterno” – spiega durante l’incontro a Rivoli. (Ai Weiwei in conversation with Uli Sigg). Venne in Cina, sentendosi, come dice lui stesso, un ignorante in un nuovo contesto culturale. Pensò che tramite la conoscenza dell’arte contemporanea cinese avrebbe potuto scoprire le vere prospettive di quel popolo, non avvelenate dalla politica o dalle finanze. “Grazie al mio viaggio attraverso l’arte – dice Sigg – credo di poter affermare di aver visto più Cina di molti cinesi. Colleziono, ma più che un collezionista preferisco definirmi un ricercatore”. Sigg sottolinea che questo periodo non era solo l’inizio del mercato aperto, ma anche l’inizio dell’arte contemporanea in Cina.

Nel corso degli anni trascorsi nel paese asiatico, Sigg creò relazioni e amicizie con numerosi artisti. Si può presumere che quel contesto particolare, caratterizzato dalla mancanza di istituzioni culturali dedicate all’arte contemporanea, lo abbia convinto a dedicarsi a costruire questa collezione. Sigg ha incoraggiato i percorsi creativi degli artisti della Cina contemporanea, acquisendo direttamente molte opere. Vale a dire che la collezione non si limita al suo gusto estetico. È una visione “enciclopedica”, pensata come documentazione di un determinato periodo e dello sviluppo della cultura artistica del Paese (che era, al tempo stesso, co-creata dal collezionista).

Qualche anno dopo le sue prime avventure asiatiche per affari, dal 1995 al 1998, Sigg torna in Cina come Ambasciatore svizzero per la Cina, Corea del Nord e Mongolia, ancora più interessato a promuovere l’arte cinese in ambito internazionale. Nel 1997 ha istituito il premio Chinese Contemporary Art Award (CCAA). Attraverso il coinvolgimento di direttori e curatori internazionali nella giuria (tra i giurati della prima edizione troviamo anche Harald Szeemann), ha contribuito alla successiva diffusione dell’arte cinese, in seguito non solo promuovendo innumerevoli artisti cinesi nei musei di tutto il mondo ma facendo esordire la Cina alla Biennale di Venezia nel 1999. La presenza di Carolyn Christov-Bakargiev nella giuria nel 2012 è collegata alla sua inclusione di artisti cinesi in dOCUMENTA (13). Nel 2012 Sigg dona 1.450 opere al M+ Museum for Visual Arts di Hong Kong.

La mostra è allestita nell’atrio del Castello, lungo la scala d’onore e nelle sale al secondo piano. La scelta, limitata ovviamente solo a una selezionata parte dell’enorme collezione, ne documenta i caratteri distintivi. Tra le sale tematiche e monografiche troviamo He Xiangyu, aaajiao, Ai Weiwei, Li Zhanyang e altri. Sarebbe inutile valutare il contenuto, ossia la collezione stessa, o recensire le scelte delle opere condotte dalla curatrice Marcella Beccaria e dal collezionista, così come le decisioni espositivo-spaziali. L’obiettivo congiunto di tutti gli sforzi curatoriali era di presentare lo spirito della collezione in un formato ridotto. Inoltre, la curatrice sottolinea che le sembrava importante creare “il ritratto” del collezionista.

Nella prima sala sono allestite alcune tra le prime opere acquistate. A testimoniare le strette relazioni amicali intessute da Sigg, il centro della sala è occupato dal monumentale “Fragments” (Frammenti) (2005) di Ai Weiwei, così come più avanti vediamo alcuni ritratti dedicati al collezionista – come quello di Fang Lijun (2005). Nella sala successiva incontriamo anche un suo realistico ritratto scultoreo, dove tiene sott’occhio la sua collezione mentre legge il giornale. Le varie tecniche e forme delle opere che interessano Uli confermano il suo obiettivo primario: raccogliere una visione completa e non distorta da preferenze soggettive dell’arte cinese.

Tra gli artisti promossi da Sigg citiamo: Sun Yuan & Peng Yu, Liu Ding e Mao Tongqiang (che riflettono sulle trasformazioni sociali e politiche che hanno attraversato la Cina negli ultimi decenni), Shao Fan e  Liu Wei (che indagano la tradizione culturale e il confronto tra l’idea di Occidente e quella di Oriente (vedi anche Liu Ye alla Fondazione Prada), aaajiao e Qiu Shi Hua, autori di paesaggi, particolarmente delicati e senbili allo sguardo, Miao Ying e He Xiangyu  con le loro “inedite e audaci visioni della Cina odierna e una riflessione sulla relazione critica tra tecnologia e società”.

Una delle opere che ha più attirato la mia attenzione è quella di He Xiangyu “Coca-Cola Project” in cui le montagne nere esposte in galleria, che a prima vista sembrano di catrame e terra, sono in realtà costituite dai 40 metri quadri di residui cubi ottenuti dalla cottura di 127 tonnellate della famosa bevanda durante i suoi esperimenti in “studio/cucina”. “Il dilagante materialismo e l’obsolescenza programmata che definiscono la maggior parte dei beni” come descrive lo stato del consumismo d’oggi l’artista, ricorda anche la prima impressione del vaso di Ai Weiwei (1994). La storia dice (anzi, lo dice Beccaria durante la chiacchierata) che al tempo, Weiwei guardava un antico vaso cinese, pensando che fosse talmente vuoto da aver bisogno di qualcosa. L’idea non era necessariamente nata come opera d’arte epocale e non era una critica della cultura Occidentale.

Parlando dei resti, incontriamo anche l’opera dei provocatori Sun Yuan & Peng Yu “One or All (Ash Column)” (2007). Il duo, reso popolare dalle due installazioni dinamiche, rumorose e violente esposte alla Biennale di Venezia 2019 “Can’t Help Myself” (2016) e “Dear” (2015), alla mostra a Rivoli presentano ceneri umane mute e compresse. “La morte di Marat” (2011) di He Xiangyu, ovvero il “cadavere” di Ai Weiwei, a cui avvicinarsi risulta davvero spaventoso, simbolizza l’imprigionamento e la costrizione al silenzio degli artisti e intellettuali asiatici. Giusto per ripetere la domanda dell’anno scorso: “May you Live in Interesting Times”? La risposta è sì, e in più, diamo voce ai paesi d’Oriente molto volentieri.

Info:

“Di fronte al collezionista. La collezione di Uli Sigg di arte contemporanea cinese”
25 febbraio – 30 agosto 2020
a cura di Marcella Beccaria
www.castellodirivoli.org/mostra/uli_sigg
Museo d’Arte Contemporanea del castello di Rivoli

For all the images: Di fronte al collezionista. La collezione di Uli Sigg di arte contemporanea cinese. Installation view at Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, 2020. Photo Antonio Maniscalco


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