Cogito ergo sum (“Penso, dunque sono”). Principio cartesiano, a cui si fa risalire la nascita dell’io pensante dell’essere umano: questa soggettività razionale e centripeta, che definisce un valore di verità assoluto e che, con Hegel, trova il suo trionfo, ma muore definitivamente sotto i colpi di Nietzsche e Freud. È proprio dall’idea di verità che Mattia Pajè, artista lombardo che vive e lavora a Bologna, ha portato in mostra, lo scorso 12 maggio e in occasione di Art City, il complesso e ambivalente sistema scultoreo di Fuori Terra, coadiuvato dal curatore Giovanni Rendina. L’artista, attraverso la pratica allestitiva del diorama, osserva da lontano le molteplici verità del nostro tempo, considerate come oggettive, all’interno degli spazi affrescati dello storico Palazzo Vizzani, oggi sede dell’associazione culturale Alchemilla.
Il senso di verità e di molteplici possibilità muovono la pratica artistica di Pajè che, partendo dall’architettura del disegno, come elemento determinante per la genesi delle sculture, pone davanti agli occhi dell’osservatore possibili scenari: isole cosmogoniche, prive di sequenza temporale, coesistono con indifferenti ominidi in argilla e resina che, nelle loro fattezze primordiali, diventano elementi vivi, ma neutri, che interagiscono con gli oggetti del nostro tempo, adattandosi e creando il loro habitat. Simboli e idoli dell’estetica New Age diventano, come oracoli, verità del contemporaneo – figlie di teorie scientifiche, esoterico-mistiche o appartenenti al mondo mediatico commerciale – che, lasciate giacere a terra, si fondono nel paesaggio, divenendo parte integrante dello stesso. Arte primitiva, quasi totemica, dal retaggio culturale antico e iconografia pop coesistono in linee cronologiche che si dissolvono l’una nell’altra: nulla della separazione ontologica tra memoria e progresso sopravvive, ma, al contrario, questi due termini vengono messi in correlazione fra loro.
Il continuo susseguirsi di informazioni e il loro prestarsi a varie possibilità interpretative determinano l’impossibilità di oggettivarle, di renderle certamente veritiere. “Cosa è dunque la verità?”: è questo ciò che si chiede l’artista.
In merito alla differenza ontologica della verità, c’è chi sosterrebbe – da Heidegger e dai suoi seguaci, ma anche dai precursori della sua linea – che il suo senso originario sia andato perduto nella storia della cultura occidentale, parallelamente allo smarrimento del senso stesso dell’essere, proprio a causa della diversa natura della soggettività portata dal cogito cartesiano. La verità, con Cartesio, non viene più intesa come manifestazione (αλήθεια), bensì come corrispondenza del conoscere con l’oggetto (adaequatio rei). L’umano, come animal rationale, attraverso l’atto del pensare ingloba l’essere e il senso di verità, nonché ciò che ne determina la sua ricerca – se di questa si può ancora discutere – e si identifica nell’esattezza del suo volere.
Un ominide in resina di Pajè, fra tanti altri più piccoli intorno a lui, indifferenti e disinvolti, si rivolge, in ginocchio, verso alcune lettere alfabetiche giacenti a terra, non disposto a interrompere la ricerca di quel quid, di quell’immagine segnica che possa davvero appagare il suo desiderio. Di contro, invece, questo sembra guardare i suoi simili dall’alto, protratto in ginocchio verso di loro, come in procinto di adorarli, se non solamente osservarli. Ed è proprio l’ambiguità di significato, e quindi l’impossibilità di afferrare una certezza oggettiva, a essere il cuore della riflessione teorica di Mattia Pajè.
E ancora un’altra delle creature primigenie dell’artista sembra porgere allo spettatore una stella marina, fra le tante giacenti a terra, accennando quasi un sorriso, vigilato da un altare scultoreo sul quale poggia una divinità orientale mistica.
L’indefinibile, quindi, e le molteplici possibilità ed elementi di fenomenologia della vita quotidiana condizionano la pratica artistica di Pajè, che, entrandone in contatto e con la curiosità di chi crede nel destino degli incontri, dona alle opere scultoree la possibilità di “essere-presente” come verità di sé stessa.
Certa è l’astensione dal giudizio da parte dell’artista in rapporto a quell’idea di verità che, sebbene possa sembrare svincolata da qualsiasi valore di merito, né accenni a una comparazione alcuna, sembra però, in contrasto, tentare un riavvicinamento verso una verità ontica. Partendo infatti da Platone e dal mito della caverna, si riscontra una definizione ontologica di veritas più prossima all’Idea. “Trovo interessante il passo in cui l’uomo, uscito dalla caverna, dopo aver guardato il sole, rimane abbagliato da esso. Non abituato a vedere la luce, al calar della notte prova a guardare il mondo attraverso la luna e le stelle. Non potendo però guardare fisso la luna, decide di guardarla dal riflesso dell’acqua”, afferma Pajè, ammirando la capacità dell’essere umano di determinare molteplici realtà.
L’artista non ha una funzione ascetica, né veste l’abito del profeta, sostiene Pajè. Colpevole, di contro, potrebbe essere l’occhio di chi osserva, se non quello di chi scrive, entrambi vittime della volontà di osservare la luce senza voler rimanerne accecati. Figlia di un idealismo ormai storico e radicato, la cultura occidentale non può, sull’arte contemporanea, non lasciarsi corrompere da un’estetica concentrata principalmente sulla processualità dell’opera più che sul suo contenuto. Ciò, di fatto, distoglie lo sguardo dalla verità intesa come presenza. L’opera d’arte è essere presente, e le opere di Pajè sono indifferentemente presenti nelle fattezze di due mondi contrastanti, quello esoterico-mistico da un lato e quello pop-commerciale dall’altro: come si può dunque non considerarle dunque egualmente veritiere? “Ma se ormai si deve indagare intorno alla verità, allora è opportuno rispondere alla domanda che si chiede a che punto siamo noi oggi. Ciò che si vuol sapere è come stanno le cose per noi.”[1]
Giulia Pontoriero
Info:
Mattia Pajè, Fuori Terra
12/05/2022 – 12/06/2022
Alchemilla APS
Palazzo Vizzani
Via Santo Stefano 43, 401025 Bologna
[1]Martin Heidegger, Sull’essenza della verità, a cura di Umberto Galimberti, p.79, Scholè, 2021, Editrice Morcelliana, Brescia
Mattia Pajè, Fuori Terra, installation view, Alchemilla, Palazzo Vizzani, 2022. Courtesy dell’artista
Mattia Pajè, Fuori Terra, installation view, Alchemilla, Palazzo Vizzani, 2022. Courtesy dell’artista
Mattia Pajè, Fuori Terra, installation view, Alchemilla, Palazzo Vizzani, 2022. Courtesy dell’artista
Mattia Pajè, Fuori Terra, installation view, Alchemilla, Palazzo Vizzani, 2022. Courtesy dell’artista
Mattia Pajè, Fuori Terra, installation view, Alchemilla, Palazzo Vizzani, 2022. Courtesy dell’artista
Laureata in Scienze dell’Architettura alla Sapienza di Roma, con diploma di master in Arte contemporanea e Management presso la Luiss Business School, attualmente lavora come stagista e project manager presso Untitled Association. Diplomata in Fotografia e Critica d’Arte a Bologna, attualmente porta avanti i suoi progetti personali ed è parte del team del progetto culturale Forme Uniche.
NO COMMENT