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La vita è (anche) sogno. Olhares, gli sguardi pittorici di Tarcísio Veloso all’Atipografia di Arzignano

È una promenade artistica nel sogno, nell’essenza della vita, nel mistero e nell’innocenza la prima personale europea di Tarcísio Veloso, talentuoso pittore classe 1991 e autodidatta brasiliano proposto dalla galleria Atipografia di Arzignano, venticinquemila anime alle porte di Vicenza. Olhares (Sguardi) è il filo conduttore dei tredici oli su tela (tutti risalenti alla fine del 2023 e all’anno in corso) esposti nella bella cornice post industriale della tipografia, negli ultimi anni trasformata in accogliente galleria d’arte contemporanea con possibilità di residenza d’artista. Elena Dal Molin che, insieme ad Alessandra Maria Venditti, talent scout di nuove generazioni artistiche in terra di Brasile, è la curatrice della mostra, ci dice: «Ho scelto Tarcísio Veloso perché mi ha convinto questa sua figurazione classica ben legata alla contemporaneità. Tarcisio ci ha convinti grazie a questi sguardi capaci di scrutare l’osservatore, ribaltando quasi la fruizione tra soggetto figurato e l’appassionato d’arte che gli si pone di fronte».

Tarcísio Veloso, “Uma Deusa Bruxa Fada”, 2024, olio su tela, 120 x 100 cm; “Viado”, 2024, olio su tela, 120 x 100 cm, photo courtesy Alberto Sinigaglia

In effetti, già la prima grande tela, Uma Deusa Bruxa Fada (Una Dea Strega Fata) ci pone di fronte a numerosi elementi della poetica artistica di Tarcísio Veloso. Proveniente dalla fascia bahiana del Grande Sertão caro al grande scrittore João Guimarães Rosa, ovvero le regioni nordestine oscillanti tra altopiani ricchi di fiumi serpeggianti e aride distese, l’artista ha vissuto larga parte della sua vita in grandi città metropolitane, ma non ha mai abbandonato le atmosfere della sua cittadina – Correntina – di origine. Le sue figure umane sono statuarie, impassibili, cromatiche e hanno uno sguardo perentorio e una dea dalle fattezze profondamente umane, una strega e una fata richiamano il mistero e il sincretismo quotidiano di una regione marginale del vasto Brasile. La tela citata è una delle poche di grandi dimensioni (pari o superiore al metro in ogni lato). Ce ne sono altre due, Viado (la parola si traduce con Cerbiatto, ma spregiativamente è anche uno dei modi brasiliani di definire gli omosessuali maschili) che raffigura una figura metà ragazzo e metà cerbiatto nell’atto di difendersi dalla volgarità sociale, e Pedido ás Estrelas (Richiesta per le stelle), un enorme fiocco simbolo di ciò che si costruisce e si può allo stesso tempo disfare per poi ricostruire e disfare ancora.

Tarcísio Veloso, “Inocente?”, 2024, olio su tela, 50 x 40 cm; “Mediadores”, 2023, olio su tela, 60 x 50 cm, photo courtesy Alberto Sinigaglia

Dieci sono i ritratti di minore dimensione, nei quali il talento e la creatività di Veloso risultano molto più efficaci. L’artista dimostra di essersi abbeverato alla grande scuola ritrattistica cinquecentesca italiana, richiamando nelle sue tele toni da barocco dinamico, cromatismi molto luminosi che rendono le figure a proprio agio nella lieve penombra frontale. Molto presente è la figura del bambino e della bambina, simboli dell’innocenza, ma anche di una certa inquietudine umana. Ne è esempio plastico Inocente? (Innocente?) che, oltre al significativo punto interrogativo posto dopo l’aggettivo, ci pone di fronte a forti dubbi sulla reale innocenza della figura, posto che al suo fianco sbucano la testa e le fauci di un lupo. Potente è il messaggio di Mediadores (Mediatori), in cui una coppia di bambini ci osserva con uno sguardo già adulto e consapevole, in un embrionale e poi perenne contrasto tra il bene e il male che ne caratterizzerà tutta l’esistenza. Gli sguardi delle figure su tela sono riflessi dell’Io profondo, nascondono o ci rimandano a elementi ancestrali che fondono mistero e vita, ben proposti a noi osservatori dalla tecnica di Veloso. È il caso di O Bilhete (Il bigliettino), forse la tela più interessante e coinvolgente della mostra. La figura umana nera vestita di giallo è ribaltata nelle vesti di un principe che tiene in mano un fiore e un pezzetto di carta: l’elemento visivo più potente è la seconda veste color carne che rende la figura apparentemente rivestita anche di pelle bianca. Lo sguardo dell’uomo è cruciale per farci capire secoli di sfruttamento coloniale, un atavico dolore di sottomissione alla tragedia inferta da noi europei.

Tarcísio Veloso, “O Diabo é Europeu?”, 2024, olio su tela, 50 x 40 cm; “Piabinha”, 2024, olio su tela, 50 x 40 cm, photo courtesy Alberto Sinigaglia

Infatti, il Diavolo è Europeo e Veloso lo raffigura (O Diabo è Europeu) con i tratti somatici ariani e una veste intensamente rossa da corte imperiale. Lo spaesamento di chi osserva sale in questo caso ancora più di intensità e l’atmosfera emanata dal ritratto è particolarmente scomoda per un osservatore attento alla Storia (con la S maiuscola). «Se c’è una dimensione che accompagna costantemente la mia quotidianità, questa dimensione è il sogno», ci dice Veloso accompagnando le parole con una mimica facciale e gestualità corporale di assoluto coinvolgimento. E Voo noturno (Volo notturno) sintetizza bene il desiderio profondamente umano, ma lontano dalla nostra natura terrestre, di alzarsi rispetto al terreno e vedere proiettata l’ombra all’orizzonte. La figura in atto di sollevarsi ha una sensualità che richiama quella di San Sebastiano, il tempo è sospeso, magia e mistero si fondono con la corporeità potente dell’uomo. La sensualità ritorna anche in Piabinha (Piccola piaba), richiamo di un pesce tipico dei fiumi e dei luoghi natii di Veloso, che nella parte superiore assume, come una sirena, il corpo di un’altra figura dalla sensualità poderosa. Una palla, perfettamente sferica, rappresenta un elemento metafisico che aggiunge ulteriori dosi di mistero su una scena apparentemente pregna di pura innocenza. È lo sguardo di una figura mitologica che ci interroga sul senso dell’esistenza.

Info:

Tarcisio Veloso: Olhares
04/10/2024 – 25/01/2025
Atipografia
Piazza Campo Marzio, 26 – Arzignano (VI)
www.atipografia.it


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