LACMA, con una collezione di 142mila opere d’arte che coprono seimila anni di storia di tutto il mondo, è il più grande museo d’arte degli Stati Uniti occidentali. Tuttavia lo spazio disponibile non è mai troppo, e per questo motivo il museo sta allargando gli spazi espositivi con l’aggiunta delle David Geffen Galleries (intestate alla memoria del mecenate David Geffen), su progetto di Peter Zumthor, e con un costo previsto di 750milioni di dollari, quasi interamente coperti da donazioni e sponsorizzazioni. Questo progetto è in fase di completamento (l’apertura è prevista per il 2024), eppure a dirla tutta il museo si era già espanso con l’aggiunta del Broad Contemporary Art Museum (2008) e il Resnick Exhibition Pavilion (2010), ambedue progettati da Renzo Piano. Ovviamente, tali interventi sono un modo non solo per confermare l’eredità di oltre cinquanta anni di storia del LACMA, ma getta anche le radici di una identità futura, ben radicata sul territorio e riconosciuta da tutta la contea di Los Angeles.
Il progetto di Peter Zumthor si basa sull’idea di creare uno “spazio emozionale”, e come i corridoi vetrati del Pompidou che corrono esterni alle pareti espositive e invogliano a rivolgere lo sguardo sullo skyline di Parigi, così, le pareti di vetro progettate da Zumthor invitano non solo i visitatori del museo a guardare il paesaggio e la luce di Los Angeles ma allo stesso tempo consentono ai passanti di sbirciare all’interno. In questo modo dentro e fuori si confondono su un piano indistinto di emozioni e di coinvolgimento, un po’ come nelle architetture a sviluppo orizzontale di Mies van der Rohe. Questo diaframma traslucido collega visivamente le gallerie interne alla vita quotidiana su Wilshire Boulevard e sul parco circostante, offrendo viste spettacolari del panorama circostante. Il progetto di Zumthor aggiunge anche un nuovo e ampio spazio pubblico all’aperto in modo da creare un centro culturale e sociale ancora più accessibile e aperto alla comunità.
Per settimane a causa della pandemia è stato possibile ammirare solo le installazioni esterne, come “Urban Light” di Chris Burden e “Levitated Mass” di Michael Heizer e accedere agli spazi verdi del giardino. Da oggi, 1 aprile, riaprono al pubblico anche le mostre temporanee in corso, che fanno comprendere la portata davvero ramificata del lavoro organizzativo del LACMA: “Golden Hour: California Photography from the Los Angeles County Museum of Art”; Bill Viola: Slowly Turning Narrative”; la personale dedicata a Yoshitomo Nara; la mostra itinerante “Give It Or Leave It” di Cauleen Smith; “Fiji: Art & Life in the Pacific”; “NOT I: Throwing Voices (1500 BCE-2020 CE)”.
Tra le varie proposte del LACMA ci soffermiamo sulla mostra di Cauleen Smith e che in precedenza era stata esposta all’Institute for Contemporary Art, Virginia Commonwealth University; Frye Art Museum; The Institute of Contemporary Art Pennsylvania. Il progetto è curato da Anthony Elms, Daniel e Brett Sundheim ed è organizzato al LACMA da Rita Gonzalez, Terri e Michael Smooke.
Cauleen Smith (nata a Riverside, California, 1967, vive a Los Angeles) è regista e artista multimediale, conosciuta soprattutto per i suoi lavori sperimentali che prendono in esame l’identità afro-americana, e in particolare i problemi che le donne di colore debbono affrontare ogni giorno all’interno di comunità segnate ancora da una visione molto retrograda e fin troppo ristretta. Definendola con una terminologia del passato dovremmo parlare di un’artista impegnata o che porta nell’arte i problemi primari dei diritti civili.
Nelle cinque video proiezioni e nei nove allestimenti realizzati per questo progetto (con più schermi, oggetti disseminati come in una sala giochi, immagini proiettate che si sovrappongono) si può riscontrare una sorta di “mini inventario” delle personalità creative più idealistiche e sognatrici della California del sud o, per dirla in altro modo, vengono prese in esame quelle personalità il cui pensiero è caratterizzato dall’utopia, sia a livello di linguaggio e sia a livello di approccio dialogico, unendo all’interno di un unico cosmo storie separate di spiritualità e creatività, senza cadere nella maniera didascalica o nel reportage, ma con connessioni inaspettate e del tutto fortuite.
Come afferma l’autrice, “se sono interessata a una persona o a un luogo, non devo fare un documentario o un film biografico: posso usare le cose che quella persona ha fatto per riuscire a realizzare un mondo del tutto nuovo che ci collega al nostro passato e ci permette allo stesso tempo di speculare su un futuro possibile, su chi vogliamo essere e persino su che cosa vogliamo lasciarci alle spalle”.
Per esempio, nelle opere “Pilgrim” del 2017 e “Sojourner” del 2018, ritroviamo le testimonianze di Alice Coltrane, Bill Ray, Watts Towers, Noah Purifoy, Rebecca Cox Jackson, tutte frammentate e rimescolate. In definitiva un grande affresco della contemporaneità e una narrazione davvero molto significativa e particolare.
Fabio Fabris
Info:
LACMA
Los Angeles County Museum of Art
5905 Wilshire Blvd.,
Los Angeles, CA 90036
lacma.org
Cauleen Smith, vista parziale dell’installazione Give It or Leave It, Los Angeles County Museum of Art, 2020–21, foto Laura Cherry © Museum Associates / LACMA
Cauleen Smith, vista parziale dell’installazione Give It or Leave It, Los Angeles County Museum of Art, 2020–21, foto Laura Cherry © Museum Associates / LACMA
Cauleen Smith, vista parziale dell’installazione Give It or Leave It, Los Angeles County Museum of Art, 2020–21, foto Laura Cherry © Museum Associates / LACMA
Yoshitomo Nara, vista parziale della personale al Los Angeles Los Angeles County Museum of Art, 2020–21, foto Laura Cherry © Museum Associates / LACMA
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