Nella memoria più o meno sfocata di chiunque sia entrato almeno una volta nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, sicuramente c’è un’immagine vivida, forse l’unica a essere effettivamente un ricordo. È l’enorme baldacchino nero sotto la cupola, un ciborio di quasi trenta metri di altezza, progetto seicentesco dell’artista Gian Lorenzo Bernini. Non per la struttura barocca rocambolesca né per le volute a dorso di delfino, lo ricordiamo per le sue colonne tortili, quattro giganteschi elementi in bronzo nero, potentemente armoniosi come la mente del loro fautore. Tortili (1990) è pure il nome dell’installazione di Paolo Canevari che meglio esemplifica Materia Oscura, personale dell’artista negli spazi dell’appartamento nobiliare di Palazzo Collicola a Spoleto – inaugurata il 4 luglio e visitabile fino al 13 settembre – che racchiude un ampio spettro dell’opera di Canevari, dai primi lavori degli anni novanta a quelli più recenti del 2020. Tortili è costituita da quattro grandi sculture in gomma di camera d’aria che invece di elevarsi da terra, pendono dal soffitto del corridoio affrescato in colori pastello. Illuminate dalla luce che filtra dal lato di finestre a vetro, sono immobili ma dinamiche, scolpite dall’aria che le sostiene. La camera d’aria infatti, involucro di gomma all’interno dello pneumatico o del copertone automobilistico, è insieme a quest’ultimo, un elemento vitale, materiale nobile per Canevari, medium prediletto già dalla prima mostra a Roma. «Anima senza corpo, sottile e dilatabile […] coglie il momento del trapasso e della caduta» – così la descrive Germano Celant* – materia luminosa che rivela la vita oltre il nero che la contraddistingue. I Tortili sono organismi fluttuanti che si animano nello spazio autonomamente, sentono il peso della gravità solo nello spazio che li separa da terra modellandoli, altrimenti liberi da ogni vincolo fisico, forme organiche indipendenti e primordiali.
Alla base di Materia Oscura non c’è solo l’immaginario che il titolo della mostra può evocare, c’è anche l’astrazione della simbologia nella forma, la sua sacralità, il processo trasformativo della materia nel passaggio dallo spirito alla carne, l’equilibrio tra lo spazio espositivo e le opere. Nel linguaggio di Canevari il simbolo nasce dalla materia che si astrae in forme minimali ed evocative. A un primo sguardo nascono estremamente connotate, in un secondo tempo il valore della forma già prevarica la sua significazione. L’esempio è Mamma (2000), un gigantesco sesso femminile in camera d’aria dal quale si scorge la Vergine, oppure Black Stone (2004), un parallelepipedo di battistrada di pneumatici o Colonna (2005), monolite totemico che ricorda quello di Kubrick, o ancora i Colossei (2001), ibridati con la gomma massiccia degli pneumatici di trattori e camion. Ritornano ciclicamente nell’opera di Paolo Canevari simboli che si astraggono dalla e nella materia nera: dall’organo femminile, alle geometrie primarie, alla figura della lupa, impronta e marchio di Canevari (in mostra Lupe Romane, 1994). Inevitabilmente anche il sacro entra nelle trame poetiche dell’artista, espressamente manifesto in alcuni casi come nell’installazione J.M.B. (Jesus – Mohammed – Buddha) (2007) o portato alla luce dal processo di reificazione iniziato dall’utilizzo della camera d’aria, spirito vivo, e giunto allo spessore materico e carnale dello pneumatico. Tutte le opere in mostra vivono dell’energia degli ambienti dell’ex residenza nobiliare settecentesca, restituendo a pieno il senso di sedimentazione temporale sorpassato dall’oltre-tempo delle sculture-installazioni. Non a caso le opere più recenti, nella serie Monumenti della Memoria (2020), realizzate su carta da stampa antica con olio esausto da motore di automobili, sono geografie, paesaggi neri di un io che degrada naturalmente nell’orizzonte bianco di fondo, intrappolato nelle floride cornici seicentesche che riprendono il motivo del nero abbinato all’oro. In Materia Oscura l’opera di Paolo Canevari si apre a una moltitudine di interpretazioni impossibili da esaurire. Oltre agli aspetti più spirituali e introspettivi emerge la critica al sistema consumistico di cui si nutre il capitalismo (niente di più paradigmatico dello pneumatico), la degenerazione dell’ecosistema causato dalla prevaricazione dell’uomo sulla natura, l’esasperazione del controllo antropocentrico e lo strumento di potere che ne è conseguito (esemplare è tutta serie dei grandi e piccoli carri armati). Ma anche l’inquinamento, la catastrofe ambientale oltre che spirituale al centro della quale, ora più che mai, è l’uomo. Sorge allora spontanea e immediata la riflessione sull’attualità: sarà possibile «trovare l’alba dentro l’imbrunire?» Dalla materia oscura di Paolo Canevari si scorge una luce.
Giulia Giambrone: Nella recente intervista con Robert Storr (R. Storr, Interviste sull’arte, Il Saggiatore, 2019) hai detto a proposito del video e del suo carattere radicalmente cambiato oggi, che «il mezzo ha perso un ruolo artistico e politico diventando mainstream». Ampliando il discorso si potrebbe dire lo stesso dell’immagine credo. Come si può recuperare oggi il valore dell’immagine?
Paolo Canevari: La possibilità per l’arte e per gli artisti risiede nel senso poetico e metafisico delle opere. La globalizzazione di matrice neoliberista e l’egemonia culturale dilagante dell’occidente hanno portato a una realtà irreale e a una superficialità di percezione e di assorbimento delle immagini, qualsiasi esse siano. Il nostro compito eversivo, come artisti, è di riportare una dimensione di pensiero attiva e riflessiva nell’opera e di non cedere alla passività voluta dal mainstream.
G.G.: L’immaginazione in questo senso può essere ancora importante secondo te? O l’arte ha ormai perso la funzione immaginativa? Mi chiedo se realmente lo spettatore possa ancora attivarsi nella creazione di immagini mentali e sensibili a partire da un’opera che non rappresenta – nel vecchio senso della parola – ma che presenta semplicemente sé stessa… I tuoi Monumenti della Memoria credo possano esemplificare ciò…
P.C.: I Monumenti della Memoria sono nati come una riflessione sul senso delle immagini nel 2010 e la mia ricerca è racchiusa nel titolo stesso. Ho spesso detto che l’immagine è un limite ma l’immaginazione non lo è. Credo che si debba recuperare la nostra eredità mnemonica, come esercizio di libertà, e dunque di immaginazione. Ricostruire una morale e un rigore etico; il valore dell’arte deve necessariamente contrapporsi alla propaganda di regime del sistema, a volte, purtroppo, sostenuta anche da molti artisti.
G.G.: Sempre nell’intervista di Storr hai detto che l’opera d’arte è una «cattedrale del senso». Penso sia una descrizione avanguardistica per i tempi attuali dove sembra al contrario che si sia perso il carattere di senso, forse sostituito da quello ludico e spettacolare. Mi diresti di più su questo tuo punto di vista?
P.C.: La spettacolarità sta pericolosamente sostituendo il rapporto intimo e individuale con l’opera, per dare spazio a una fruizione consumistica e di intrattenimento dell’arte. C’è una volontà da parte dei poteri economici e politici di imporre un pensiero populistico, fintamente democratico, frivolo e di cui, se non ci fosse, nessuno sentirebbe la mancanza. Tutto questo è solo l’inizio di un asservimento delle masse a una logica materialista dove i valori dell’arte sono manipolati unicamente allo scopo di un condizionamento ideologico, in vista di un mantenimento dello status quo e dell’introiezione di interessi particolari. L’arte è, poiché nasce da un individuo e non da un’industria, una dichiarazione di autonomia e d’indipendenza. Il senso dell’opera deve essere metastorico, universale, quello di racchiudere una cattedrale di significati che mettano a repentaglio la logica comune.
G.G.: Il nero. Nel tuo caso direi che non è un non-colore ma sempre e comunque un materiale. In Materia Oscura emerge chiaramente questo tuo legame con il nero materico e concettuale, tuttavia negli ultimi anni hai sperimentato anche l’uso dell’oro monocromatico (penso alle opere della Biennale di Bangkok o a quelle esposte di recente nel nuovo allestimento del MAXXI). Due materiali solo apparentemente agli antipodi?
P.C.: Ho usato l’oro in altre occasioni sempre come presenza, come rimando a dei valori materiali che diventano valori spirituali e riflettono un’essenza assoluta, senza sfumature. L’oro è il valore materiale che diventa spiritualità, luce con le sue molteplici stratificazioni di significati. Il nero è il valore metafisico, la parte oscura ed enigmatica della psiche. Due materiali che rappresentano non solo sé stessi ma il senso dell’arte e i suoi alti, insondabili valori.
* Il pneuma del fare, dalla monografia Paolo Canevari di Germano Celant, Electa 2010.
Info:
Paolo Canevari, Materia Oscura, 2020, installation view at Palazzo Collicola, Spoleto
Paolo Canevari, Colonna, 2005, installation view at Palazzo Collicola, Spoleto
Paolo Canevari, Mamma, 2000, installation view at Palazzo Collicola, Spoleto
Paolo Canevari, Tortili, 1990, installation view at Palazzo Collicola, Spoleto
Giulia Giambrone (Roma,1994) ha conseguito la laurea in Storia dell’Arte Contemporanea con una tesi in Estetica. Segue da anni il lavoro di Luigi Ontani al quale ha dedicato il saggio Luigi Ontani in Teoria. Filosofia, Estetica, Psicoanalisi nell’opera e nell’artista (Alpes Ed., Roma 2019). È stata intern presso Peggy Guggenheim Collection (Venezia) e La Galleria Nazionale (Roma). È curatrice tra Roma (Fondamenta Gallery) e Venezia (Spazio Norbert Salenbauch). S’interessa principalmente del rapporto tra filosofie e arti contemporanee.
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