In occasione della mostra Cosa sono le pietre, curata dalla galleria L’ARIETE e aperta dal 29 ottobre al 30 novembre, ho avuto l’opportunità di intrattenere una conversazione con l’artista Federica Zanlucchi per approfondire la sua pratica artistica.
Ylenia Modolo: Vorrei confidarti un pensiero: mentre osservavo la mostra, ho notato che il tema della sedimentazione è il perno su cui ruotano tutte le tue pitture. I depositi che ci mostri non sono fissi, ma sembrano in costante movimento, come se fossero appena stati trasportati dai vari agenti atmosferici, dall’aria, dall’acqua o addirittura espulsi da un vulcano in eruzione. È come se, in un certo senso, tu creassi uno spaccato del terreno e ci mostrassi la storia, il movimento e il modo in cui questo materiale si è posato sulla terra…
Federica Zanlucchi: È vero, la tematica della sedimentazione è presente nel mio lavoro in varie forme: la sedimentazione naturale, pittorica e della memoria. Spesso nelle mie pitture tendo ad accostare il vicino e il lontano, il buio e il diurno, il denso e il rarefatto e queste consistenze e direzioni così differenti creano un’oscillazione. In molti lavori sono presenti masse di materia che sembrano aggregarsi o, al contrario, disgregarsi, evocando un’atmosfera quasi embrionale in cui appaiono forme a volte quasi impercettibili. La sedimentazione è presente anche in alcuni interventi pittorici che utilizzo: muovo il colore su una materia fluida e lascio poi depositare il pigmento. I sedimenti calcarei che così rappresento diventano pietre gremite di memorie, come un diario remotissimo e incompiuto. Infine, giungiamo alla sedimentazione della memoria: il paesaggio è scomposto in frammenti, tracce dei miei ricordi che attraversando i tempi e i luoghi da me vissuti, vengono accostati in un paesaggio che diviene memoria di molti luoghi e di nessuno in particolare.
Questi sciami e banchi che rappresenti diventano delle vere e proprie costruzioni, è come se tu delineassi l’ossatura del mondo, dell’esistenza, la struttura di ogni cosa che ci circonda a livello micro/macroscopico. Le forme acquistano non solo caratteri organici ma diventano delle vere e proprie architetture, architetture di un paesaggio che non è solo esterno ma riflette chiaramente anche una tua sensibilità.
Ti ringrazio per questa descrizione! Forse, come dici tu, quello che dipingo diventa un’architettura, uno spazio che può accogliere animali, vegetali o minerali. E non essendo legata alla rappresentazione scientifica della natura, forse vi è una distorsione soggettiva. Col paesaggio ognuno instaura un proprio rapporto personale, il modo di viverlo e vederlo deriva da memorie antiche collettive e da sensibilità personali, frutto di attitudini e vissuti. In pittura, le scelte dei soggetti e il modo in cui vengono rappresentati, creano poi una propria grammatica ed estetica, che, come dici tu, unisce il mondo esterno rappresentato al mondo interno che lo filtra. Gilles Clément nella sua poetica sostiene che il paesaggio è ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di guardare; ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di esercitare i nostri sensi all’interno di uno spazio investito dal corpo.
Nelle tue pitture riesci a unire cose contrapposte: tutto prende, acquisisce una forma e nell’istante successivo è già diventato qualcos’altro. Allo stesso tempo non lasci l’osservatore allo sbaraglio, c’è un invito ad avvicinarsi e a seguire i movimenti del colore, a seguire una traccia che ci invita a immaginare come diventerà la forma nell’istante successivo.
Nel mio lavoro i movimenti del colore suggeriscono un andamento nella lettura dell’immagine e i dettagli di elementi naturali, spesso nascosti, forse non verranno tutti visti, ma ciò che mi interessa è che l’osservatore possa vagare con lo sguardo all’interno del lavoro e scorgere quello che la sua sensibilità gli suggerisce. L’osservatore è chiamato a condurre un lavoro di interpretazione e a collaborare con l’artista al fine di riempire gli spazi del non-detto o del già-detto.
Nel momento in cui si realizza un’opera, è necessario fare i conti con il fatto che questa diventerà immediatamente altro da noi. Il tempo e lo sguardo degli altri le conferiranno nuovi significati. L’osservatore è stato e sarà sempre colui che completa l’azione dell’artista.
È vero, un’immagine non è mai finita in sé stessa, ma attraverso lo sguardo altrui cambia e si trasforma. Riprendendo una definizione di Umberto Eco, l’opera è una sorta di “macchina pigra” nei confronti della quale l’osservatore è chiamato a condurre un lavoro di interpretazione.
Ylenia Modolo
Info:
Federiva Zanlucchi, Cosa sono le pietre
29/20/2022 – 30/11/2022
L’ARIETE artecontemporanea
via Marsili 7, Bologna
www.galleriaariete.it
Laureata all’accademia di Belle Arti di Venezia, ha frequentato successivamente la School for Curatorial Studies di Venezia. Collabora scrivendo di arte contemporanea con uno sguardo particolare verso artisti emergenti e progetti di ricerca sperimentali.
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