Ci riceve in una Firenze uggiosa Emilio Cavallini, lo riconosciamo tra le macchine che affollano l’uscita di Santa Maria Novella grazie al suo inconfondibile cappellino blu. Il viaggio prosegue in direzione San Miniato, città in cui ha sede la Stilnovo S.r.l., azienda da lui fondata nel 1970 e dove, con il marchio Emilio Cavallini, le calze sono diventate veri abiti per le gambe.
Ora che Milano gli sta dedicando due mostre – una dal titolo Geometric Abstraction, presso lo spazio espositivo no profit Interface HUB/ART e visitabile fino al 31 marzo prossimo e la seconda presso l’hotel 5 stelle ME Milan Il Duca – il pensiero torna agli albori della sua storia creativa.
Londra alla fine degli anni ’60 è la città della rivoluzione giovanile, dei Rolling Stones e della “miniskirt” lanciata da Mary Quant che da quel momento libera le gambe femminili. Emilio Cavallini è lì, collabora con la stilista inglese. Per quale motivo ha deciso di tornare e dare vita alla sua attività imprenditoriale proprio qui, in Italia, a San Miniato?
La decisione di fare produrre in Italia le calze che avevo proposto a Mary Quant è derivata dal fatto che proprio qui, a San Miniato, esistevano tante piccole aziende artigianali, nate dopo la chiusura di una grande fabbrica di calze a telaio. Ai tempi ero studente di Economia all’Università di Firenze e un’azienda locale decise di realizzare le calze collant che volevo a patto che mettessi ordine alla contabilità e all’amministrazione. È stato il grande successo riscosso dai collant a consentirmi di creare la mia azienda Stilnovo.
San Miniato, è un borgo che sorge a metà strada tra Firenze e Pisa e che per secoli è stata contesa fra le due città. Sappiamo che la sua produzione artistica muove dallo studio della matematica e della sua massima espressione, l’architettura. Quanto ha influenzato nel suo lavoro la vicinanza a Firenze, città di Dante, di Giotto, di Brunelleschi, e che più di tutte ha incarnato la speranza di una “rinascita”, ossia di un ritorno alla grandezza degli antichi?
Firenze mi ha trasmesso la passione per l’arte dal tempo delle scuole medie. Ogni momento libero studiavo le grandi opere all’aperto, poi quelle museali. Crescendo ho iniziato ad esplorare tutto il territorio italiano, le chiese toscane, Roma e poi l’arte classica greca. L’inclinazione verso la matematica inoltre, mi faceva capire come l’arte fosse sempre stata molto vicina agli studi scientifici. I grandi pavimenti delle chiese, i mosaici bizantini e romani. Senza Firenze non so cosa sarebbe successo.
Una volta arrivati alla sede della Stilnovo, sentiamo che fra queste mura batte il cuore di Cavallini. L’azienda e l’archivio, due mondi che fin dall’origine convivono in uno scambio perpetuo e continuo. Gli uffici commerciali nascondono infatti al piano superiore un immenso archivio di opere realizzate nel corso di più di 40 anni. Camminiamo lungo un dedalo di stoffe, tele, fibre filate di collant, manichini, che sembrano animarsi al tocco del loro demiurgo. Ogni pezzo una storia, un ricordo, un’ispirazione. In ognuno la volontà di proiettare la calza, oggetto del suo lavoro, in un aldilà “unico”, liberandola dalla produzione in serie. Un artista tessitore e un imprenditore visionario. Un binomio indissolubile. Quale dei due appellativi crede la identifichino di più?
La produzione di calze mi ha sostenuto finanziariamente, permettendomi di viaggiare, di conoscere l’arte contemporanea, la Pop art e di trasferirmi a New York nel 1990. Questa apertura mentale mi stimolava a creare calze con motivi sempre più vicini all’arte che alla moda. La clientela lo percepiva ed il successo veniva da solo. Le mie calze messe su cartoni diventavano delle opere senza quasi volerlo. Non credo che mi possa identificare come stilista, anche se negli anni Ottanta ho creato delle vere collezioni dalle scarpe ai cappotti, le mie collezioni hanno sfilato a Firenze, Milano e Parigi. In me c’è sempre stata la voglia di andare oltre la moda ed avvicinarmi all’arte.
Ora sorride. Dal 2010 – anno in cui ha inaugurato Trasfigurazioni, una mostra presso la Triennale di – si dedica completamente alla sua arte. Prima di salutarci, ci mostra una macchina, lo fa accarezzandola come si fa con una persona cara a cui si deve molto: “Ora la produzione è dislocata all’estero ma qui, una volta, lavoravano centinaia di persone ogni giorno. Senza questa macchina non avrei mai incontrato la calza.”
Info:
Emilio Cavallini, Geometric Abstraction. Installation view at Interface HUB/ART ph. Francesco Soffiantini
Emilio Cavallini, Geometric Abstraction. Installation view at Interface HUB/ART ph. Francesco Soffiantini
Emilio Cavallini, Geometric Abstraction. Installation view at Interface HUB/ART ph. Francesco Soffiantini
Emilio Cavallini, Parabola Tubolare Biforcazione Strutturale, 2000, nylon e resina, 180×180 cm, ph. Oktay Aldag
Consulente d’arte e curatrice specializzata in arte moderna e contemporanea. Con una laurea in giurisprudenza e un Master in Art Market Management, ha fondato lo spazio espositivo Hub/Art a Milano nel 2017. Attualmente vive tra Milano e Parigi dove collabora con gallerie e spazi dedicati all’arte contemporanea.
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