La Biennale Arte 2024, intitolata “Stranieri Ovunque” dal motto impresso nelle sculture al neon del collettivo artistico Claire Fontaine, disseminate tra il Padiglione Centrale e l’Arsenale, è aperta ormai da alcune settimane. I mezzi di informazione sono inondati dal pensiero di ciascun addetto ai lavori o semplice amante dell’arte, relativo al valore delle opere in mostra, all’opportunità di esporle in quella sede, finanche alle valutazioni sulle performance e video che hanno supportato i vari padiglioni. In questo ambito così multiforme ed eterogeneo, ci siamo soffermati nell’analisi del Padiglione giapponese, rappresentato quest’anno dall’artista Yuko Mohri, le cui installazioni ricomprese nel titolo Moré Moré, sono state affidate alla disposizione in loco dalla curatrice coreana Sook-Kyung Lee. Mohri non è una presenza occasionale in Italia, tanto che già nel 2022 era tra gli artisti partecipanti al “Japan. Body_ Perform_Live” presso il Pac di Milano, in cui l’installazione site-specific Moré Moré occupava tutto il piano prospicente l’immensa vetrata del padiglione, attribuendo ai giochi d’acqua e ai suoni dell’installazione una profondità e una luminosità traslucenti.
Nel padiglione della Biennale 2024 l’opera di Mohri è rappresentata da una versione più articolata di quella già vista in precedenza e dall’omonimo titolo, il cui allestimento, così come l’aggiunta di elementi originali che la compongono, ne amplificano notevolmente il risultato finale. È la prima volta che una curatrice straniera viene invitata a occuparsi del padiglione giapponese, ma la scelta non poteva non cadere su Sook-Kyung Lee, sia per il fatto che quest’ultima aveva già curato l’attività espositiva degli artisti coreani nella Biennale del 2015, sia perché la sua collaborazione con Mohri era osmoticamente prevedibile per l’esperienza della Biennale. Non solo il padiglione giapponese e quello coreano sono adiacenti uno all’altro, ma è stata proprio Sook-Kyung Lee a presentare Koo Jeong, l’artista coreano attualmente in mostra presso il Padiglione della Corea, a Yuko Mohri, cogliendo fin dall’inizio delle sinergie alchemiche tra le opere dei due artisti.
Le opere di Mohri elaborano il concetto primario di “oggetto” con un’accezione molto simile a quella utilizzata dai surrealisti e dadaisti. Attraverso il suo operato artigianale, ella imprime un cambiamento di funzione alle sue installazioni, arrivando a collocarle, con un ruolo completamente differente, nel tempo e nello spazio. L’opera di Yuko Mohri è particolarmente proiettata a mostrare quale sia la connessione imprevedibile tra suono, rumore e movimento. I tre elementi vengono prodotti artigianalmente dall’artista stessa, utilizzando oggetti di riuso quotidiano come ombrelli, contenitori in plastica, tubi o mobili in legno, cercando di indagare lo spazio occupato dagli stessi, anche in relazione allo spostamento che il movimento imprime loro. In questa trasformazione, quindi, l’oggetto acquisisce un’ambivalenza di funzione, sfuggendo all’oggettivazione da esso rappresentata nell’accezione diffusa, acquisendo una funzione differente, del tutto strumentale a raggiungere la finalità perseguita dall’artista.
In questo senso, l’uso di ombrelli rovesciati che convogliano flussi di acqua prodotti dal macchinario principe dell’installazione stessa, portano, alla fine del passaggio dell’acqua da essi convogliata, a relativizzare il ruolo fisico dell’ombrello e a renderlo invece una sorta di amplificatore del suono che si produce alla fine del percorso. Nella stessa direzione può essere interpretata anche una parte dell’installazione (Decomposition) in cui alcuni elettrodi collegati tra loro, vengono infilati nella frutta di stagione esposta e, man mano che la loro decomposizione avanza, l’umidità sprigionata dagli alimenti produce impulsi elettrici di entità differente, tramutandosi in suoni e colori più o meno tenui, dovuti al processo di deperimento del cibo utilizzato.
Tutta l’opera di Mohri è ispirata agli espedienti utilizzati nella metropolitana di Tokyo per sconfiggere le perdite di acqua, attraverso il riciclaggio di oggetti comuni, ma in quest’utilizzo alternativo dei prodotti si inserisce anche una critica alla società del consumo, unitamente all’invito alla conservazione, anche in un’ottica fortemente protettiva dell’ambiente in cui viviamo. L’arte ricombinatoria degli oggetti utilizzata da Yuko Mohri all’interno del padiglione giapponese della Biennale ci ricorda l’opera acutissima di Bruno Munari. Quel sistema architettonicamente perfetto incarnato ad esempio da “La macchina aritmica” del 1951 è l’esatta concezione di come una forma, utilizzata in modo creativo nello spazio, possa conferire una percezione completamente differente allo spettatore e perciò di come, i dogmi o preconcetti di qualunque tipo, siano sovvertibili solo guardando la questione da un punto di vista differente.
Info:
60esima Biennale Arte
20/04 – 24/11/2024
Padiglione Giappone: Moré Moré di Yuko Mohri
a cura di Sook-Kyung Lee
Giardini
dal 20/4/2024 al 30/9/2024
https://www.labiennale.org/it/arte/2024
Globetrotter, appassionata di letteratura, amante dell’arte e della fotografia. Non parto mai per un viaggio senza portare con me un libro di un autore del luogo in cui mi recherò. Sogno da anni di trasferirmi a Parigi e prima o poi lo farò!
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