Punto di partenza della riflessione sono tutti quegli spazi che costituiscono un “territorio di rifugio per la diversità”, come scrive Gilles Clément nel suo Manifesto del Terzo paesaggio (2004): luoghi in cui “l’abbandono e il non-intervento si rivelano pratiche fertili e favorevoli alla proliferazione della diversità biologica” – si legge, invece, nel comunicato stampa della mostra.
Elsewhere Here è la prima personale in assoluto di Samir Sayed Abdellattef e Lucrezia Negrini nel nome di Quatrième Paysage: l’unica a Bologna – per quel che ricordi – a essere dislocata negli ambienti di due realtà distinte, ossia TIST – This Is So Temporary (Rastignano, BO) e Adiacenze, e l’unica a tenersi in contemporanea, seppur per pochi giorni, nelle rispettive sedi. Le ragioni di questa scelta sono da rintracciare nella configurazione della stessa mostra, costituita da opere differenti e complessivamente complementari, e nella volontà di invertire il paradigma imperante che vedrebbe il centro quale area più importante e maggiormente attrattiva rispetto alla periferia.
D’altronde, questa seconda ragione apre la strada a una motivazione altrettanto rilevante, rappresentata dall’auspicio di “rompere le strette maglie urbane [al fine di] costituire un nuovo territorio per la diversità del sistema dell’arte”. E non poteva esserci occasione migliore per approfondire un simile ragionamento, considerato il pensiero che muove il lavoro di Quatrième Paysage: Elsewhere Here, infatti, pone l’accento sulla deleteria gestione dei rapporti tra uomo, natura e oggetti per via dell’approccio antropocentrico del primo, incentivando la creazione di un ecosistema totale nel quale non solo l’esistenza fisica umana convive armonicamente con quella non umana, ma anche l’esistenza digitale, ossia quella vissuta online da milioni di persone.
Gli ingredienti di queste riflessioni sono stati forniti tutti a partire dagli anni Duemila: dai rischi evidenziati da Paul Crutzen circa l’impatto delle attività umane sulla salute dell’ecosistema terrestre – il nuovo millennio era appena iniziato – al già citato Manifesto del Terzo paesaggio – piccolo, ma illuminante saggio su un rinnovato modo di intendere la convivenza tra uomo e natura, anche in ottica di una più efficace salvaguardia del pianeta – fino ad arrivare alla teoria sulla Object-Oriented Ontology elaborata da Graham Harman a partire dal 1997 – ripresa nell’omonimo testo pubblicato nel 2018 – e a quella, strettamente connessa, degli ‘iperoggetti’, anticipata da Timothy Morton nello scritto Ecology without Nature del 2007 e approfondita nell’omonimo Hyperbojects del 2013. Denominatore comune di tutti questi studi è l’urgenza di prendere coscienza dell’Antropocene – termine usato da Crutzen per definire l’era attualmente in corso – e di pensare a una rinnovata interazione e percezione di ciò che ci circonda: piante, animali, oggetti inanimati, o, per l’appunto, ‘iperoggetti’, come “la biosfera o il sistema solare” (Morton, 2013).
Il titolo completo della versione inglese del libro di Morton recita Hyperobjects. Philosophy and Ecology after the End of the World, e le riflessioni di Quatrième Paysage si concentrano proprio sull’ultima parte di tale costrutto, ossia sull’annuncio provocatorio e illuminante di una già avvenuta fine del mondo. È a questo che si riferisce la mostra Elsewhere Here: a un mondo considerato ‘altrove’ dalla maggior parte dei suoi abitanti, ma che, in realtà, è già qui, intorno a noi. Se l’Altrove (2021) dell’installazione ‘silenziosa’ posta nello spazio esterno di TIST rimanda a un suo completamento in occasione della mostra inaugurata da Adiacenze – “un occhio e un orecchio che osservano e memorizzano ciò che spesso viene trascurato” – i lavori Deprofundis (2021) e Leaves of Grass (2021) esplicitano la necessità di riformulare il ruolo dell’uomo all’interno della biosfera: protagonista al pari di ogni altra entità vivente o non vivente, privo di qualsiasi grado di superiorità, e parte integrante di quella biodiversità che costantemente analizza e classifica con fare distaccato.
Sulla scia delle parole di Gilles Clément e Timothy Morton, ciò che enuncia l’opera di Quatrième Paysage è la prospettiva di un ‘quarto paesaggio’ in cui anche il digitale entra a far parte del flusso che regola la diversità, abbandonando, così, l’altrove della virtualità e dando vita a un ecosistema totale.
Antongiulio Vergine
Info:
Quatrième Paysage, Elsewehere Here
TIST – This Is So Temporary, via Serrabella 1, Rastignano (BO)
Adiacenze, via Spirito Santo 1, Bologna
01/10/ 2021 – 04/12/2021
Quatrième Paysage, Elsewhere Here, installation view, TIST, Courtesy TIST e l’artista
Quatrième Paysage, Deprofundis, TIST, Courtesy TIST e l’artista
Quatrième Paysage, Leaves of Grass, detail, TIST, Courtesy TIST e l’artista
Nato a Campi Salentina (LE). Dopo la facoltà triennale di Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali presso l’Università del Salento, frequento il Corso di Laurea Magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. Ho collaborato con la Galleria d’Arte Maggiore g.a.m. di Bologna e con il MUMA – Museo del Mare Antico di Nardò (LE). Mi interessano le vicende riguardanti l’arte contemporanea, in particolare quelle legate alle pratiche video-fotografiche e performative. Scrivo per ATPdiary e Juliet Art Magazine.
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