Lo scorso maggio sono stati annunciati i cinque i vincitori di Cultura per tutti, cultura di tutti, open call di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020-2021, promossa con il sostegno del Comune di Parma e dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e dedicata a idee e progetti, pensati in ottica digitale e multiculturale, finalizzati ad aprire le porte dei musei regionali a particolari categorie di pubblico come giovani, famiglie, anziani, persone con disabilità fisica o cognitiva, stranieri e residenti. Tra i progetti selezionati, resi noti in una cerimonia online, troviamo OPERA SULL’OPERA – ogni uomo è un artista – Un’esperienza di engagement digitale di Lenz Fondazione, che prevede l’introduzione di sessioni di touch painting nelle visite museali in cui il visitatore è invitato a creare una propria opera sull’opera esposta attraverso l’interposizione di uno schermo trasparente che permetta, tramite il tocco e in modalità interattiva, di disegnare creando un nuovo manufatto artistico digitale.
Per saperne di più abbiamo intervistato Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, direttori artistici di Lenz Fondazione e Elena Sorbi, curatrice progettuale della Fondazione.
Emanuela Zanon: Il progetto OPERA SULL’OPERA – ogni uomo è un artista – Un’esperienza di engagement digitale sarà messo in atto in un momento epocale molto delicato per la fruizione delle arti visive, in coda di un lungo periodo in cui l’unica fruizione possibile delle opere d’arte passava attraverso la loro versione digitale diffusa dai social. Pensi che lo schermo trasparente con cui il pubblico sarà chiamato a interagire possa contribuire ad acuire la sua consapevolezza del manufatto originale?
Francesco Pititto: Occorre premettere che il progetto è compiuto nella sua fase progettuale, ma la strada per realizzarlo è tutta ancora da percorrere. Gli schermi trasparenti idonei per questo tipo di intervento sono ancora in fase di sperimentazione, le aziende che li producono hanno presentato i primi prototipi ad aprile. Questo per quanto riguarda l’hardware, mentre per individuare i software più funzionali la ricerca potrà essere verificata solo in una seconda fase. Non ultimo, il costo di queste attrezzature e le modalità d’impiego sarà molto alto e vincolato ad un intervento di mecenatismo pubblico e/o privato. Ciò detto, tra il guardare l’opera realizzata sullo schermo e l’opera dal vivo (sia essa un dipinto o una scultura o un edificio), si crea una cesura prodotta dalla trasparenza fisica dello schermo, e pensiamo che questa possa creare un campo comune di intenti tra il soggetto e l’oggetto osservato. Poter ri-disegnare senza toccare, e addirittura modificare e interpretare, significa porsi in una situazione creativa che supera lo stato della fruizione a distanza, e passiva. Attiva intellettualmente, ma limitata nella traduzione soggettiva dell’emozione, del pensiero poiché priva del tocco, dell’atto corporeo. Distante dall’opera, separato, ma con il potere di intervenire sull’opera stessa, pensiamo che in questo agire il fruitore possa davvero arrivare ad una consapevolezza maggiore, dal manufatto originale al manufatto digitale, riproducibile nella nuova forma.
Elena Sorbi: Uno degli aspetti fondamentali di OPERA SULL’OPERA è la trasformazione del “fruitore” da passivo recettore di conoscenze ad attivo creatore delle stesse. Da molti anni abbiamo preso a paradigma la frase-manifesto di Joseph Beuys ‘Jeder Mensch ist ein Künstler’ – ogni uomo è un artista, e pensiamo che tramite la realizzazione della ri-opera l’individuo attivi quella possibilità di confrontarsi con la responsabilità pubblica del proprio potenziale. Il visitatore del museo che si limitava ad osservare (o immaginare, grazie alle audiodescrizioni, in caso di persone cieche o ipovedenti) valorizza così il patrimonio museale, prima statico, a partire dalla propria sensibilità, lo rende contemporaneo, in qualche modo lo fa rinascere tramite una ri-creazione. Lo schermo può essere toccato da qualsiasi parte del corpo, si innesca una relazione profonda, unica e contingentata con l’opera, una drammaturgia possibile solo a partire dall’incontro fra quello specifico manufatto e quello specifico fruitore/performer. La ricezione prima distratta, di passaggio, diviene assegnazione diretta, si limita un approccio globale, che rischia di essere superficiale, focalizzando l’attenzione su una singolarità, un punto che racchiude l’infinito. Non solo il pubblico incrementa la propria consapevolezza del manufatto originale, ma il manufatto stesso è reso più “consapevole” del segno estetico di un’epoca differente da quella nella quale è stato concepito – e così facendo se ne rendono più chiari i tratti universali, la parte del racconto di cui è un’opera è portatrice che ancora deve essere svelata.
E.Z.: La seconda fase del progetto prevede la creazione di un Museo Digitale di Art Brut “Opera sull’Opera” collegato a una mostra annuale. L’iniziativa tende in particolare al riavvicinamento di persone solitamente escluse dalla fruizione museale: disabili intellettivi, motori e sensoriali; visitatori che non parlano italiano; bambini e anziani. Pensi che sia più l’aspetto del “fare” a costruire questo ponte tra ambiti normalmente poco comunicanti o quello del “guardare” altre opere realizzate da non professionisti del settore?
Maria Federica Maestri: Pensiamo che sia più l’agire a creare nuove opportunità di partecipazione all’arte, una esperienza soggettiva e creativa che ti metta direttamente a contatto con l’opera museale, o ovunque si trovi di fronte al fruitore. Senza alcuna barriera culturale o fisica, per ognuno si penserà alla modalità più consona. Questo sarà uno dei compiti del curatore.
E.S.: L’esposizione delle opere ha a che fare con la dimensione politica del progetto, che ha lo scopo di mettere in crisi il concetto di abilismo, ovvero la categorizzazione che ci fa percepire la realtà come composta da individui abili ed individui meno o in-abili. Siamo artisti in ricerca, e ogni ricerca deve dotarsi di un metodo, che ci chiede di partire da premesse teoriche forti. Il Modello Sociale della Disabilità, elaborato da Mike Oliver nel 1981, definisce la disabilità come uno stato sociale. Si tratta di un cambiamento di prospettiva rivoluzionario all’interno del pregiudizio abilista: da un focus sulla condizione medica e sul deficit individuale al quale occorre provvedere con una serie di compensazioni che permettano l’adattamento ad un sistema intangibile, pone l’attenzione sul fallimento della società nel provvedere con servizi appropriati alle differenze nei bisogni, nelle necessità, nelle aspirazioni delle persone. Disabilità non è una condizione del singolo, ma diventa l’attributo di una comunità che non sa dotarsi degli strumenti utili al raggiungimento dell’equità – non le stesse risorse per tutti, ma una redistribuzione mirata delle risorse che garantisca a tutti, a seconda della propria specificità, lo stesso livello di accessibilità. Sapere di poter fruire pienamente di una esperienza che valorizza la propria unicità incrementa la motivazione ad avvicinarsi ad un ambiente di qualsiasi individuo. In questa ottica, il ponte è creato da un cambiamento di modello socio-culturale.
E.Z.: La trasposizione delle opere performative in contesti non convenzionali – complessi monumentali, edifici industriali dismessi, luoghi di culto sconsacrati, strutture sanitarie inutilizzate – è uno dei tratti caratteristici dell’approccio poetico di Lenz, sviluppato per superare i limiti espressivi imposti dalla rigida frontalità del teatro all’italiana. In OPERA SULL’OPERA mi sembra che si applichi, sulla scia delle intuizioni di Joseph Beuys, il processo opposto. In quale orizzonte estetico e politico si collocheranno le opere create dai visitatori?
M.F.M.: L’intento è di ‘sabotare’ lo spazio-reliquiario e di trasformare il museo-sacrario in paesaggio polisemico: costituire un nuovo quadro poroso e penetrabile in cui il gesto acuto e il gesto ottuso si sommino per comporre un terzo campo artistico, quello dell’opera s-finita turbata e perturbante. L’abolizione della custodia storica, dell’inviolabilità del piedistallo vuole restituire al museo una nuova funzione pubblica, quella di essere un luogo di raccolta di atti estetici prodotti dall’umano nella condizione di massima sensibilità. Il post-museion non deve tentare di dare forma al mondo, ma deve essere un playground – un campo da gioco per una nuova generazione – instabile, provvisoria, indefinita, non finalizzata al mercato dell’arte – di artisti plurali.
E.S.: La ricerca epistemologica alla base del progetto si definisce a partire dal processo attuato da Beuys per ridefinire il ruolo sociale dell’artista, e dall’idea di arte totale come individuazione dell’esperienza estetica che permea le questioni del quotidiano nelle quali ciascuno di noi è immerso. E poi dall’interesse ecologico, per la definizione di una nuova sapienza che, liberata dai rapporti di forza e sopraffazione tra gli individui, scaturisce da una ritrovata relazione con la dimensione naturale del nostro essere uomini, parte di un tutto che evolve accogliendo. Sanguinoso e aggressivo a tratti, ma non crudele, e soprattutto più autentico. Nell’era del corpo politico, la ri-opera si pone come strumento di comunicazione universale fra persone e fra musei. Abbatte la quarta parete a partire dal tocco, il gesto che ci accomuna prima della dimensione culturale dalla quale ci facciamo definire e che influisce sulla scelta e sullo sviluppo del linguaggio, del genere, della caratterizzazione anagrafica, della scolarizzazione, dello sviluppo cognitivo o motorio. Tramite il tocco, che comprendiamo intuitivamente, sublimiamo la paura del contagio, imprimiamo la nostra identità sul reale e ne facciamo esperienza di trasformazione (estetica) e comunità (politica).
E.Z.: Molti dei lavori di Lenz trovano nutrimento in una ricerca dei caratteri primari della lingua performativa contemporanea attraverso la collaborazione con attori sensibili, la cui vulnerabile carica eversiva diventa pilastro fondante della ricerca di un nuovo tempo del teatro. Quale tempo dell’arte sovrintenderà alla creazione di queste nuove opere e alla loro collocazione nella storia delle immagini?
F.P.: Nell’imagoturgia realizzata per le diverse opere teatrali di Lenz, nelle quali la presenza degli attori sensibili ci ha permesso di risalire al senso primigenio dei testi rappresentati, la riscrittura come complemento visivo alla drammaturgia è stata solo mia. Si tratta ora, almeno per quanto riguarda l’esperienza artistica teatrale, di fornire strumenti linguistici nuovi a tutti. A tutti coloro che parteciperanno ad un percorso di sperimentazione sulla creazione di un’opera d’arte, di fronte ad un’altra opera d’arte. Si tratta di produrre immagini senza l’utilizzo della videocamera, produrre immagini con la mano o con una parte del corpo “Le corps anticipe le geste./C’est-à-dire que le corps nous précède./Le corps est plus léger qu’on ne le croit d’ordinaire, plus “soft”, plus “logiciel” (Michel Serres, Corps). Il corpo più programma, più software, più funzionale alla creazione di qualcosa di nuovo. Non saprei dire quale sarà la collocazione nella storia delle immagini, ma credo che questo progetto possa contribuire ad una partecipazione reale della collettività nei musei, nelle gallerie d’arte, nelle piazze monumentali, nelle città. L’Art Brut si colloca in un segmento posto in parallelo a quello dell’arte normalmente riconosciuta, le nuove “opere dalle opere” potrebbero segnare un tempo nuovo e, al contempo contenere il passato, la storia e la bellezza dell’opera originale.
E.S.: Ci rifacciamo ad un tempo circolare, applicando lo stesso principio di verità nella finzione su cui si basa il nostro segno linguistico teatrale. Circa 35.000 anni fa alcuni uomini sentirono la spinta a lasciare visione del proprio tempo nella Grotta di Chauvet. Paiono gli stessi il bisogno di testimoniare prima di sovrastrutturare, la necessità del tocco e del segno, l’astrazione del reale, il desiderio di raccogliere informazioni, sintetizzarle e restituirle in un processo dialettico e didattico che vuole aprirsi e confrontarsi con la collettività: ci muoviamo lungo la spirale dello sviluppo ritornando, trasformati, al punto dal quale siamo partiti.
Info:
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, La Vida es Sueño © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, KINDER © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Opera sull’opera © Francesco Pititto
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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