Quando Arte, Uomo e Natura si incontrano, nasce un connubio difficile da decifrare, che si tramuta in forme nobili di creatività. Traduzioni che possono trovare riscontro, in maniera vaga e criptica nelle esplorative complicità delle opere del mantovano Federico Aprile, classe 1989. Il giovane artista, che si occupa anche di attività didattiche e d’atelier, attualmente vive a Reggio Emilia, dopo aver conseguito la laurea specialistica in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Sono da annoverare le numerose esperienze a cui fare riferimento quando parliamo di questa giovane promessa dell’arte. Basti pensare alle collaborazioni intraprese con gruppi locali, come l’Officina delle Arti (OFF) di Reggio Emilia, il Gruppo Morsura di Bologna, e alla partecipazione a mostre ed eventi nazionali e internazionali, come “Segni per una natura viva” (2015), “Codici Italia Academy” (2015), Biennale di Venezia, Premio Arte Laguna (2016), “GAM” (2016) e “Temporali” (2021). Per conoscere meglio Federico Aprile, la sua arte e il suo mondo immaginifico, gli abbiamo rivolto alcune domande.
Antonella Buttazzo: Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a diventare artista e se non avessi intrapreso questa professione, cosa avresti fatto nella vita?
Federico Aprile: La ragione è stata ed è: mio nonno Giacomo, ormai scomparso da troppo tempo. Mio nonno costruiva nel suo giardino i “casotti”, ovvero luoghi circoscritti da pareti verdi di vetroresina ondulata: quei luoghi, per lui, erano fortezze in cui i suoi strumenti e i suoi materiali si ordinavano, ma al contempo, erano luoghi in cui io e mio cugino Gianluca ci intrufolavamo per scoprire fantomatici misteri. Erano spazi onirici in cui potevamo sentirci pervasi dalla luce che filtrava attraverso le pareti, una luce verde acida, sempre. Non vi era tregua, di notte una decina di lampioni verdi, creati da mio nonno con le damigiane di lambrusco vuote, illuminavano il viottolo, noi e i “casotti”. Se non fossi diventato un artista, penso avrei fatto il falegname o il cuoco.
Qual è il rapporto con le tue opere e cosa provi mentre le realizzi?
L’opera nasce quando mi relaziono. La mia opera è prima di tutto un pensiero, uno scopo, un senso, una ineluttabile presa di coscienza. Poi sento la responsabilità, non so verso chi o cosa. A un tratto mi devo chiudere in studio a disegnare, giorni, settimane o mesi. Finalizzo poco quando lavoro con la materia. Prima di approcciarmi all’opera, all’immagine definitiva, devo aver metabolizzato ogni aspetto. So bene che tutto ciò è paradossale, in quanto in ogni mia opera ultima riserva sempre una buona dose al caso, o per meglio dire, amo provocare il caos e aspettare di riconoscere il caso in esso, in tutte le sue manifestazioni, in tutte le sue imprevedibilità.
Nelle tue opere, la Natura e l’Uomo si fanno protagonisti di quelle componenti istintive ed emozionali tipicamente insite nella indole umana. Come si inserisce quindi questa tua arte nel contesto contemporaneo disarmonico e irragionevole che stiamo vivendo?
Rispondo con un pensiero che mi ha accompagnato in una delle tante notti insonni:
“Dipingere ha un costo altissimo. Non dipingere vuol dire mettere in saldo il desiderio. Dipingere senza necessità significa proporre solo merce scaduta. Imporsi di dipingere è business.
Non possiamo essere schiavi di quel tempo che vuole un’immagine pronta domani o appena più tardi di oggi. Abbiamo il dovere di dare spazio e amore alla forma, al colore e al sogno che bussa sulle porte interne della nostra pelle”.
In ambito artistico, quali esperienze consideri importanti nell’elaborazione della tua estetica?
Osservare Mark Rothko e partecipare alla sua lezione di “necessità”. Osservare Henri Rousseau e la sua lezione di “immersione”. Osservare le paludi e la loro lezione sulla “latenza”.
Abbiamo fin qui parlato del tuo rapporto con l’Arte e le opere, ma ora ti chiedo: ti senti portavoce di un messaggio ben preciso in quanto anello di congiunzione tra Natura e mondo umano oppure ti riconosci come un semplice interprete del macrocosmo di cui tutti facciamo parte?
La nostra mente ci permette di controllare il nostro corpo. Il nostro corpo permette alla nostra mente di poter controllare il nostro corpo. Nella totalità, nella visione dell’insieme e nell’ironia, io non mi sento di escludere prossimamente una disabilità. Se esiste un Dio, se esiste un essere ultraterreno, sicuramente esiste un grande fallimento e di conseguenza un grande senso dell’ironia.
Info:
Federico Aprile Archivi – FineArtx
Dopo aver conseguito la maturità linguistica, ha proseguito gli studi laureandosi in Storia dell’Arte presso l’Università del Salento, con una tesi bilingue sui Preraffaelliti. Da allora, contribuisce attivamente come articolista e collaboratrice con blog nazionali e con riviste e programmi TV locali.
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