Sono mesi amari, disillusi, spesso fin troppo pesanti. Più volte si è ricercato il conforto nella nostra stessa solitudine, all’interno di un tempo percepito senza fine. Il futuro sembra così sfuggente, l’adesso incerto. Eppure se ci si soffermasse un attimo a riflettere si potrebbero intravedere alcuni stimoli positivi. Alessandro Casagrande (Caracas, 1987), pittore e fotografo italiano, ha deciso di non lasciarsi sopraffare dall’apatia che ha caratterizzato l’ultimo anno, ma si è lasciato trasportare e ispirare da quegli attimi quotidiani.
Intimità, calore, ingenuità. Sono queste le parole che vengono in mente dopo un primo sguardo alle opere esposte nella galleria Galera San Soda di Stefano Branca di Romanico a Milano. Curata da Clemente Tivioli e inaugurata lo scorso 23 ottobre, Lilac è una parentesi privata di attimi idilliaci e stasi contemplativa. D’altronde, lo spazio della galleria è pensato per essere uno studiolo domestico moderno, dove isolarsi e rimanere per ore a osservare i quadri alle pareti. All’ingresso i neon rosa richiamano l’attenzione del visitatore, che non può non avvicinarsi alla vetrina principale con gli occhi fissi su quei rettangoli colorati e vividi. Come al suono di un canto di sirena, quegli stessi ci chiedono di entrare. Assorti, capiamo di riconoscerci nei volti e, percependo la loro stessa pace, si finisce per perdersi, ma anche per ritrovarsi.
Il corpus di opere esposte è particolarmente ricco: sono sedici nuovi lavori in grande scala e dodici disegni su carta di più piccola misura. L’esposizione nasce dal dialogo tra il curatore, il gallerista e l’artista, che per l’occasione presenta una serie di dipinti realizzati durante i mesi di reclusione. Essere costretti a vivere in un ambiente ristretto, senza vie di fuga, potrebbe essere claustrofobico, ma, allo stesso tempo, ci costringe a prendere atto della trasformazione delle nostre abitudini. Casagrande ha saputo reagire, trasfigurando la sua prigionia in un quieto viaggio, che dagli interni abitativi lo ha trasportato verso luoghi immaginari, bucolici e sfocati.
La leggerezza delle figure si riscopre anche nel titolo “Lilac”, dato per simboleggiare un gioco di rimandi; il colore lilla non è soltanto un pigmento alla base degli abbinamenti cromatici dei pastelli a olio, tecnica utilizzata dall’artista per questa tipologia di lavori, ma richiama anche il fiore profumato tipico dell’Estremo Oriente, un caldo rimando al torpore in cui il subconscio si perde.
Fin dai primi disegni che accolgono il visitatore all’interno della galleria, si nota l’elemento ricorrente delle silhouette delicatamente nude e rosee. Nella maggior parte delle opere (ad esempio, One night in March, Caramella, The pink tiger) vediamo che gli interni domestici sono abitati da donne ritratte come Veneri contemporanee, per lo più sdraiate o sedute. Non avvertono minimamente il nostro sguardo, anzi sono del tutto a loro agio, raffigurate senza alcun idealismo; i loro corpi sono reali, morbidi, e si mostrano prive di malizia. Soltanto in Carolina o Self portrait with Paco, invece, compare una figura maschile, o meglio lo stesso Casagrande, che decide di auto-rappresentarsi in modo disinibito e placido.
Alcuni dipinti, tra questi Blue of Lilac, giocano per contrasti. Gli interni luminosi devono fare i conti con il buio al di fuori dell’abitazione. Si percepisce la voglia di evasione da quella finestra lasciata aperta, ma anche l’amarezza che i corpi di schiena celano, rannicchiati a terra. Allo stesso modo, l’opera dal titolo emblematico Melanconia con fiori accenna a un’atmosfera ancor più inquieta. La protagonista è da sola, al centro del foglio, stesa di spalle a nascondere il volto. Ma la tristezza si tramuta in un sogno lucido nei restanti lavori all’esterno. Qui, palme esotiche o foreste, talvolta ricche di fiori e bacche dalle tinte vivaci, fanno da sfondo ai personaggi vestiti solo con le loro sottovesti. Solstice e Suzanne sono un’istantanea che raffigura perfettamente la leggerezza e la spontaneità di quei momenti, così come At sunset near the water riesce a trasportare l’osservatore altrove attraverso i colori impetuosi del tramonto. Infine, Down by the river è tra i lavori più sereni e giocosi della serie, tanto da sentire in lontananza lo sgorgare dell’acqua fresca.
L’intero immaginario di Alessandro Casagrande si palesa con estrema sincerità in questo ciclo di opere, rinviando alla sua carriera di fotografo. Se la fotografia è il suo modo di comunicare e parlare agli altri, la pittura non è altro che un ulteriore modalità di espressione senza finzione o schemi predefiniti. La sua pratica artistica è schietta e spontanea, ma pur sempre poetica.
“Le opere presenti in Lilac”, scrive Tivioli nel comunicato stampa della mostra, “sono un manifesto del piacere domestico, alla bellezza della quotidianità, delle piccole cose che nel nostro intimo ci rendono felici, che ci rendono noi stessi. Lunghe attese che ci invitano non a contemplare il nulla ma invece che ci costringono a guardare dentro noi stessi. Ci perdiamo nelle opere in quanto specchio del nostro subconscio, di quei momenti solitari in cui ci perdiamo nel silenzio che ci circonda, che ci abbraccia e ci lascia riflettere su ciò che il nostro animo ci chiede soltanto nella più intima delle circostanze. Questa mostra è un invito a guardarsi dentro.”
Non resta, allora, che accettare quell’invito e trovare conforto in quei volti taciti e nel silenzio avvolgente.
Erica Massaccesi
Info:
Ale Casagrande. LILAC
23 ottobre – 19 dicembre 2020
Galera San Soda
Corso Sempione 33, 20145, Milano
Solo su appuntamento: info@galerasansoda.com
www.alessandrocasagrande.com/
www.galerasansoda.com/
Alessandro Casagrande, Lilac, Galera San Soda, Milano. Courtesy l’artista e Galera San Soda. Foto Alessandro Saletta + dsl studio
Alessandro Casagrande, The pink tiger, oil pastels on paper. 70cm x 100cm. Courtesy l’artista. Foto Alessandro Saletta + dsl studio
Alessandro Casagrande, Melancolia con fiori, oil pastels on paper. 70cm x 100cm. Courtesy l’artista. Foto Alessandro Saletta + dsl studio
Storica e critica d’arte contemporanea. Laureata in storia dell’arte all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, durante la specialistica lavora per la Fondazione Pistoletto, dove affianca l’artista Nico Angiuli nella produzione e direzione artistica dell’opera The Human Tools, vincitrice del premio Italian Council. Conclude i suoi studi alla IULM con una tesi sperimentale in collaborazione con l’archivio Vincenzo Agnetti. Amante della ricerca, oggi porta avanti il suo progetto all’interno dell’archivio e scrive per diverse riviste di settore.
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