La ricerca di Liliana Moro (Milano, 1961) esplora il rapporto tra realtà soggettiva e spazio esterno attraverso essenziali composizioni basate sulla connessione tra suoni, parole, video, sculture, immagini e azioni che mettono in scena fragili equilibri tra materiali e oggetti apparentemente semplici la cui sotterranea vitalità interagisce con le percezioni e le emozioni dello spettatore. L’obiettivo dell’artista è orchestrare incontri e innescare esperienze che diventano metafora del nostro essere nel mondo, suggerendo come abitare un luogo significa anzitutto mettersi in ascolto e andare oltre a ciò che è immediatamente visibile.
Diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Brera con Luciano Fabro, nel 1986 realizzò la sua prima opera, intitolata Scatole nere formata da quattro cassette di legno, che alludevano agli omonimi dispositivi di controllo installati sugli aerei, all’interno delle quali un amplificatore trasmetteva suoni registrati nelle strade di Milano scanditi dal ticchettio di un orologio. L’esperienza individuale dell’artista diventava il presupposto oggettivo che generava l’ambiente in cui i visitatori erano invitati a intervenire costruendo i propri legami emotivi nella costante tensione tra familiarità e straniamento. Nel corso degli anni Letizia Moro è rimasta fedele a questa concezione dell’arte come testimonianza di una soggettività che nella condivisione diventa polifonica, come accadimento minimale ma totalizzante e attraversamento fisico di una situazione intangibile.
La mostra Underflow (Flusso Sotterraneo) alla Galleria De’Foscherari, prima personale dell’artista a Bologna, presenta opere inedite, realizzate con materiali e media diversi, che attivano lo spazio circostante reagendo all’irripetibile mutare delle condizioni esterne e al passaggio delle persone. Sin dall’inizio del percorso espositivo, un enigmatico disegno affisso dietro la vetrina esterna della galleria raffigurante una sagoma umana stilizzata che si allontana da un grande tamburo, appare chiaro che ogni lavoro è concepito come una sorta di “proposta di attenzione” che acquista significato e risonanza solo attraverso il coinvolgimento attivo del pubblico chiamato ad essere allo stesso tempo attore e spettatore di una trasformazione ambientale. Entrando, si è proiettati in un paesaggio essenziale, un’atmosfera rarefatta dove il bianco abbagliante della sala appare interrotto da pochi quadri alle pareti e da alcuni oggetti sparsi a terra il cui isolamento ne enfatizza la presenza e il peso.
Si notano immediatamente due grandi sculture in creta a forma di melograno, in cui la superficie lasciata ruvida conserva quasi ancora le impronte del gesto che l’ha modellata ed evoca una pelle che avvolge e protegge il prezioso contenuto del frutto. Simbolo arcaico del ciclo morte-vita su cui si basa il perpetuarsi dell’esistenza, suggestiona l’artista per l’armonia della sua forma tonda coronata di foglie e istiga lo spettatore ad abbassarsi per osservarla da vicino e accostarsi al suo mistero. Si scopre così che ogni scultura ha un’apertura circolare come se fosse stata aggredita da un becco acuminato, ma per quanto ci si sforzi di scrutare all’interno il buio della cavità è impenetrabile. La tensione fisica e mentale provocata dallo svelamento, subito negato, di questo nuovo e imponderabile suggerimento di spazialità viscerale si acuisce quando ci si rende conto che l’irregolare crepitio emesso dagli speaker circolari accostati alle pareti, è l’eco amplificato dei nostri passi sulla pedana di legno che rialza di qualche centimetro il pavimento per tutta la superficie della sala espositiva. Si capisce allora di essere dentro l’opera, di percorrerla e toccarla dall’interno, di appartenervi e di essere una sua intercapedine interna e viva, di essere il tramite della sua manifestazione poetica e il detonatore di una delle infinite possibilità che la sua esistenza immette nel flusso delle cose.
Per Liliana Moro quindi non si tratta di dare voce a oggetti altrimenti inerti ma di creare relazioni costruttive, nella loro imperfetta provvisorietà, tra elementi prelevati dalla vita e spogliati dell’inessenziale per ripristinare un’attitudine all’auscultazione e all’appropriazione interiore finalizzata alla riscoperta di un nuovo accordo ritmico tra il sé e il mondo. Le corrispondenze proseguono nella serie di quadri dove la sagoma del melograno riappare in una stesura piatta di colore bianco su sfondo nero che smaterializza idealmente le sculture restituendo il negativo della loro presenza come se si trattasse di un’ombra piatta e luminosa. La terra e la cromia scura delle sculture ritorna invece in un piccolo mattone realizzato con sabbia di fiume umida, compattata con un rudimentale strumento meccanico, che costituisce un ecosistema minimale custodito in una teca di vetro. In questo caso non ci è dato esplorare il brulicante universo che questo grezzo aggregato di materia contiene, ma possiamo intuire la potente forza coesiva delle relazioni tra le sue granulosità interne dall’insospettabile resistenza della struttura. Si tratta quindi non di una cosa ma di un organismo che a suo modo vive e respira essudando la propria esistenza sulle lastre che lo contengono e che per questo incarna il fulcro emozionale del macro organismo-mostra di cui anche il visitatore fa parte.
Underflow è dunque il flusso sotterraneo di un pensiero che diventa rumore, di un’intensità latente che attraversa spazio e materia per manifestare la Natura come inarrestabile processo che ci coinvolge anche quando l’artificialità che caratterizza la nostra epoca sembra aver preso il sopravvento.
Info:
Liliana Moro. Underflow
24 marzo – 24 giugno 2018
Galleria De’ Foscherari
Via Castiglione 2b Bologna
Liliana Moro, Underflow, installation view at Galleria De’ Foscherari, Bologna
Liliana Moro, Underflow, installation view at Galleria De’ Foscherari, Bologna
Liliana Moro, Underflow, installation view at Galleria De’ Foscherari, Bologna
Liliana Moro, Underflow, installation view at Galleria De’ Foscherari, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
NO COMMENT