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L’Impresa e l’Opera: intervista alla curatrice della mostra dell’artist-run space romano Ombrelloni Art Space

L’impresa e l’Opera è il titolo della mostra che vede come protagonisti i cinque artisti che compongono Ombrelloni Art Space, artist-run space attivo nella scena artistica della Capitale. La mostra, a cura di Alice Falsaperla e ospitata presso la storica Galleria La Nuvola di via Margutta, a partire da un riferimento di provenienza cinematografica, raccorda le ricerche degli autori coinvolti, stabilendo un rapporto convincente fra pluralità, unità e differenza. Grazie alle parole della curatrice, entriamo nel merito degli aspetti che caratterizzano il progetto.

A.A.V.V., L’Impresa e l’Opera, installation view at Galleria La Nuvola, Roma, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

Davide Silvioli: Come è nato il tuo rapporto con Ombrelloni e l’interesse verso il lavoro degli artisti che compongono questo artist-run space?
Alice Falsaperla: Il mio rapporto con lo Spazio Ombrelloni nasce nel 2020, in occasione dell’opening della mostra Learn To Fly al Moma – Museo Abitabile di Roma. Lì ho conosciuto l’artista Alessandro Calizza, che da pochi mesi aveva spostato il proprio studio in Via dei Lucani a San Lorenzo, sede attuale di Ombrelloni Art Space. A seguito di tale incontro, incuriosita dalla ricerca dell’autore, ho visitato il suo luogo di lavoro, intessendo subito una collaborazione. In questa circostanza sono entrata visivamente in contatto con le creazioni degli altri artisti che iniziavano ad abitare lo studio, come Krizia Galfo e Cristallo Odescalchi. Rimasi subito colpita dalle cromie algenti dell’una e dalla sintesi “binaria” dell’altro. Ho avvertito immediatamente un particolare fervore a contraddistinguere questo ambiente, che mi ha spinto, non solo, a dedicarvi studi e articoli, ma anche a seguirne l’espansione portando la poetica di Matteo Peretti e Greg Jager, insieme ad altre, alla Galleria La Nuvola.

Krizia Galfo, The hole, 2023, olio su tela, D 40 cm, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

Andando, dunque, nel merito del progetto pensato per la galleria, a cosa si riferisce il titolo della mostra e su quali basi nasce il pensiero, quindi il tema, che sostanzia l’esposizione?
Il titolo L’impresa e l’Opera allude a un duplice significato, posto sia alla base dell’esposizione, sia a quella della pellicola-capolavoro di Werner Herzog, Fitzcarraldo (1982). “L’impresa” suggerisce l’azione icarista che il protagonista compie per esaudire un sogno, quello di realizzare un Teatro dell’Opera nella foresta amazzonica. La scelta del termine indica il dualismo di un evento che potrebbe volgere al bene e al male, al raggiungimento e al fallimento. “L’Opera”, invece, allude da un lato all’elemento desiderante, il Teatro dell’Opera, dall’altro alla creazione artistica, l’elemento costitutivo dell’esposizione. Ho ideato questo concept associando, quasi “sinapticamente”, i temi principali del film, come l’elemento surreale e ideale, mitico e sociale, ironico e drammatico, alle differenti produzioni degli autori, proponendo punti di contatto attuali e fornendo loro una sfida che non snaturasse alcuna cifra stilistica, ma che ne fosse strumento di indagine per nuove formule e tecniche.

Alessandro Calizza, Brand New Ruins, 2023, tecnica mista, 100 x 80 x 190 cm, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

Le opere, allora, singolarmente, come argomentano questi contenuti e secondo quali accenti lingustici?
La mostra si apre con le opere di Krizia Galfo, che fa di una tematica una struttura. Si tratta di “scorci rivelatori” che prendono la forma di tele circolari realizzate a olio. Potrebbero essere associabili agli oblò di un battello, il mezzo attraverso cui si muove l’intento del protagonista. In una si manifesta il momento epifanico di un volto che sta per girarsi; nell’altra si svolge il gesto centrifugo di uno stare per rotolare, come richiamo alla sfericità del masso, l’ideale che Sisifo è costretto a sostenere nel mito che prende il suo nome. Sulla base di quest’ultimo, Greg Jager prosegue una riflessione in forma altra. Quattro sacchi irregolari di cemento, legati a una cinghia fluo, capovolgono il concetto di assoluto e di contenimento. L’artista fa riferimento alla distinzione tra “spazio” e “luogo”, che il filosofo Timothy Morton definisce un tentativo di “colonizzazione”, da parte del primo sul secondo. Il cemento rimanda al concetto di spazio e, quindi, al tentativo di dominio sull’incontaminato. La fotografia, invece, allude al luogo, alla natura inospitale che si precisa fuori dal controllo umano.

Cristallo Odescalchi, Senza titolo, 2023, acrilico su tavola di legno, 257 x 126 cm, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

Il cromatismo allarmante di Jager ritorna nella creazione su carta di Alessandro Calizza, attraverso una quadrettatura matematica non giustificata. Protagonista è la vanitas, contemplazione attiva della caducità della vita, esemplificata dal teschio di Mozart, come bizzarro “vaso da fiori” e rimando alla musica. È una chiave di lettura del fenomeno del colonialismo, che prosegue in mostra con il calco della Gamba del David di Michelangelo. Da esso fuoriesce una sostanza grigia che, simbolicamente, sta all’indugio e alla rinuncia. È un’appropriazione violenta del monumento, che mette in guardia dalla fissità dei canoni e che rintraccia il valore costruttivo nella rovina. Una visione organica che viene raggiunta per intero dall’installazione sonora di Matteo Peretti, realizzata in collaborazione con il compositore Alessandro Angiolillo: una striscia di prato vivo come confine da oltrepassare o calpestare si fa dilemma che riguarda, storicamente, l’uomo. Infine, è la volta di Cristallo Odescalchi che, attraverso una sperimentazione spaziale, vede un’integrazione tra le forme naturali rappresentate e l’architettura della Galleria. Il soggetto è l’intaglio di un tallone su tavola lignea bianca; coincide col “negativo” che trattiene il passaggio di un passo, quello del colone verso un terreno inesplorato. Al centro, uno spazio vuoto che separa il piede da terra, come sintesi dell’impresa di Fitzcarraldo, dell’umano verso l’ignoto.

Greg Jager, Space, 2023, cemento e cinghie poliestere per ancoraggio, 50 x 35 x 55 cm, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

A partire da questa visione, in che modo l’allestimento racconta la mostra?
L’allestimento che ho curato, racconta la mostra attraverso dodici opere realizzate dagli artisti ad hoc e parte dalla rappresentazione della figura umana per approdare alla totale astrazione di forma e colore. All’interno di queste due parentesi estreme, emerge il punto di vista di tutti gli autori nei confronti del film e degli argomenti a esso connessi. Si instaura un dialogo tra ogni creazione esposta, dal punto di vista iconografico e quello concettuale.

Matteo Peretti, La realtà dei sogni, 2023, prato, sensori e sistema sonoro, realizzato dal compositore Alessandro Angiolillo, photo Domenico Flora, courtesy Galleria La Nuvola

Al netto di come l’esposizione ben rispecchia le individualità pur restituendo un senso corale di unità, senti di più, dal punto di vista curatoriale, che la mostra corrisponda a una collettiva di cinque artisti o a una personale di Ombrelloni?
In un’ottica curatoriale, rispondo con certezza che l’esposizione coincide con una personale di Ombrelloni. Guardo a esso come a un agglomerato artistico soggetto a una contaminazione osmotica, dettata dalla frequentazione da parte degli artisti dello stesso Studio, pur mantenendo salde le proprie caratteristiche identitarie. Questa connotazione permette allo Spazio di determinarsi a livello non solo nazionale, ma anche internazionale e di innovare a livello storico e contemporaneo.

Info:

A.A. V.V. L’impresa e l’Opera
a cura di Alice Falsaperla
14/04/2023– 5/05/2023
Una mostra di Ombrelloni Art Space
Galleria La Nuvola
Via Margutta, 41 Roma
www.gallerialanuvola.it


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