“Lingua morta” è la prima collettiva organizzata dalla galleria Divario di Roma, inaugurata lo scorso 20 settembre e visibile fino al 15 dicembre 2023, che riunisce gli artisti Alessandro Costanzo, Jacopo Naccarato, Francesco Pacelli e Bernardo Tirabosco; per tre di loro è la prima mostra nella Capitale.
Il titolo dell’esposizione, curata da Davide Silvioli, allude al celebre trattato di Arturo Martini “Scultura lingua morta” (1945), incentrandosi, tuttavia, sulla nozione di pittura. Nel dibattito critico-artistico contemporaneo nazionale si sente spesso parlare di un “ritorno alla pittura”, per indicare lavori caratterizzati da un marcato figurativismo e da un nutrito uso del colore. Al contrario, la mostra in questione non verrebbe etichettata come “di pittura”, poiché non pertinente con quello che è l’uso tradizionale e corrente del termine. Nonostante alcuni artisti, come Jacopo Naccarato, siano espressamente interessati a tale tecnica, nelle opere presso Divario non si registrano le peculiarità della pennellata o della tela. Difatti, la tesi sostenuta da Silvioli nel testo critico è che si possa evidenziare una dimensione pittorica anche in forme, e attraverso procedimenti, al di fuori dell’esercizio pittorico, mimetizzandosi in risultati che ne conservano implicitamente alcune caratteristiche.
Il progetto, allora, anziché pronunciarsi sulla vita o sulla morte della pittura, invita a soffermarsi sulle modalità del suo cambiamento, prescindendo da tecniche e mezzi. Alla luce di questa considerazione, le ricerche in mostra richiedono una lettura la cui chiave va individuata nella varietà, piuttosto che nell’unità. Alessandro Costanzo espone due lavori della serie “Deserti”, ognuno realizzato con ovatta sintetica e reti industriali, in cui la sofficità del primo materiale è interrotta dalla durezza del secondo. La griglia, la cui forma è spesso utilizzata anche come tecnica per il disegno, tentando di circoscrivere l’ovatta, determina un pattern, laddove la cromia del cotone e la natura stessa del materiale fugge la possibilità di reiterazione esatta di una porzione specifica della trama.
Con l’operato di Jacopo Naccarato, nel contesto di “Lingua morta”, usciamo da delimitazioni possibili, quali griglie, cornici o piedistalli, trovando due lavori scultorei a parete. In “Corpo randagio (tentativo d’abbandono)”, arti di un corpo, realizzati in legno, ferro e cera, si distendono verticalmente sulla parete, a distanza, creando una lacerazione del continuum spazio temporale. La rottura determina un effetto di vuoti e pieni, di bianco e nero, l’uno reso dalla parete della galleria, l’altro dall’inchiostro utilizzato per tingere l’opera.
Tutte le opere in mostra sono a parete fatta eccezione per “Lava salva cremeweiss” di Francesco Pacelli, realizzata in ceramica e disposta su un plinto. Si tratta di un’opera che potremmo definire formata per stratificazione, in cui ogni componente, inizialmente autonoma, entra in relazione con le altre durante la cottura. Il risultato è unitario, eterogeneo, magmatico, come in movimento, al punto da ricordare una forma organica. Bernardo Tirabosco nel dittico “I fuochi della notte” utilizza strati di carta marmorizzata, creando un lavoro con più livelli di intensità di colore, pur rimanendo su tonalità cromatiche aderenti, e più piani pittorici. Le venature sono come frenate, in alcuni punti, dalla linearità geometrica del taglio, nonché dalla diversità di grana, della carta stessa, rendendo l’opera mutevole, camaleontica.
Valeria De Siero
Info:
AA.VV. Lingua Morta
20/09/2023- 15/12/2023
DIVARIO – via Famagosta 33, 00192 Roma
www.divario.space
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