Al MAMbo di Bologna è visitabile, fino al prossimo 6 gennaio 2020, la prima mostra antologica dell’artista italiano contemporaneo Cesare Pietroiusti. Il suo progetto “Un certo numero di cose/ A Certain Number of Things”, nato in collaborazione con il direttore Lorenzo Balbi e la curatrice Sabrina Samorì, si accompagna a una sfida duplice: cercare di scandagliare il concetto di “mostra retrospettiva” pur realizzando questa all’interno di uno spazio convenzionale come quello museale.
L’inclusione di episodi, azioni, comportamenti, legati a un preciso momento biografico dell’artista, permette di allargare i confini dell’esposizione e di sottolineare l’interconnessione tra arte e vita esistente nei suoi progetti. Tutti questi elementi vengono da lui genericamente definiti come oggetti-anno proprio perché strettamente dipendenti dalla dimensione temporale.
È questa interconnessione che, in particolare, contraddistingue la sala museale che Pietroiusti dedica ai propri ricordi di infanzia e adolescenza. Si passano qui in rassegna fotografie, documenti, elementi sonori che offrono allo spettatore la possibilità di stabilire una relazione più intima con l’artista.
Significativa è, per esempio, la fotografia “Partita a scacchi con papà” (1963) in cui centrale è la progressiva autonomia che il figlio acquista rispetto alla figura paterna. Un elemento di crescita significativo che viene simbolicamente ridotto a una mossa difensiva giocata in un duello a scacchi.
Tuttavia, il principale evento che ha contraddistinto la produzione artistica di Pietroiusti risale all’anno successivo, il 1964. Cesare si trova nella casa di famiglia quando prende la decisione di abbattere il muro che separa la sua camera dalla dimora della nonna, con la quale era solito, di sera, dialogare a suon di bussate. La frustrazione di non aver raggiunto l’obiettivo e di aver visto quel muro ricostruito e rinsaldato da un gruppo di operai viene da lui interpreta, a posteriori, come levame della sua ricerca artistica.
Non è un caso, dunque, che, a distanza di ventisei anni, nell’installazione “Finestre-Vivita 1”, Pietroiusti abbia tentato di vedere oltre le pareti di un imponente palazzo cinquecentesco fiorentino. Egli si avvale della macchina fotografica per oltrepassare questi limiti spaziali. Le fotografie raccolte vengono, poi, ingrandite così da consentire, almeno allo spettatore, di andare oltre alla parete e di fruire, in modo del tutto inedito, lo spazio che lo circonda.
Un altro fondamentale, se pur successivo, momento nella vita dell’artista è stata la decisione di intraprendere gli studi di medicina, i quali gli hanno permesso di maturare uno spiccato interesse verso la psicologia. È alla luce di questi studi che disegni, da lui realizzati a tre o quattro anni, acquistano nuovo significato, tale da garantire una loro inclusione nell’esposizione.
Anche in questo ambito il pensiero di Pietroiusti appare alquanto innovativo e rivoluzionario e ciò viene confermato dalla raccolta di disegni di suoi pazienti realizzata nel 1984. È questo l’anno in cui egli considera la possibilità di abbandonare la carriera di medico-psichiatra per dedicarsi esclusivamente all’arte. Comincia a maturare in lui l’impossibilità di classificare in modo del tutto rigido il pensiero umano.
Lo schizzo diventa uno dei tanti modi attraverso cui esprimersi artisticamente. Da sempre considerato poco abile nel disegno, la libertà di condivisione diventa per lui imprescindibile e sempre nuovi appaiono i mezzi impiegati per farlo. Da ciò deriva il terzo motivo ricorrente nel suo percorso artistico, oltre alla psicologia e all’identità: l’interdisciplinarità. Ovvero, la capacità che Pietroiusti ha di spaziare dal disegno alla radiofonia, dal giornalismo alla politica.
Ne è un esempio “Pensieri non funzionali”, progetto, della durata di tre mesi, durante i quali decide di raccogliere quotidianamente i propri pensieri su fogli di giornale. O ancora la performance, realizzata in collaborazione con Paul Griffiths, “Eating Money”, durante la quale entrambi gli artisti ingeriscono la banconota di cifra più elevata offerta loro dal pubblico, la quale viene poi defecata e riconsegnata con certificato ai proprietari. Esplicita è qui la critica alla società contemporanea e al valore che viene conferito da questa al sistema economico. L’economia è in grado di controllare l’uomo e così provocatoriamente i due artisti decidono di invertire il rapporto: ora è l’uomo a ribellarsi e pretendere una sottomissione del sistema economico.
L’interessarsi al contesto contemporaneo rende Pietroiusti un artista profondamente impregnato nel contesto che lo circonda. Infatti, sono diversi i casi in cui egli si interessa direttamente alla società. Nel progetto “Fare qualcosa per gli altri” (1994), l’artista si impegna personalmente a portare a termine, parzialmente o interamente, compiti che gli spettatori gli assegnano. In altre opere, invece, egli decide di dare voce alla loro individualità. In “Vestirsi qualunque” (1992), per esempio, raccoglie ed espone quell’indumento che fa sentire la singola persona sensuale.
Attiva è poi la partecipazione che Cesare Pietroiusti offre ai giovani scelti per l’allestimento dell’ultimo oggetto-anno relativo al 2019. Un laboratorio, interno all’esposizione stessa, dove artisti e studenti hanno la possibilità di lavorare al suo fianco per riprodurre gli oggetti esposti in forma fisica, performativa e narrativa.
Info:
Cesare Pietroiusti. Un certo numero di cose / A Certain Number of Things
A cura di Lorenzo Balbi con l’assistenza curatoriale di Sabrina Samorì
4 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020
MAMbo
Via Don Minzoni, 14 Bologna
Cesare Pietroiusti, Un certo numero di cose installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Cesare Pietroiusti, Partita a scacchi con papà. Cortina d’Ampezzo (?), agosto 1963. Fotografia a colori, cm 8,9 x 13
Cesare Pietroiusti, Finestre-Vivita 1, Firenze, 17 e 29 Novembre 1989 1990 Stampe fotografiche su alluminio
Cesare Pietroiusti, Pensieri non funzionali Napoli / 1997 Installazione presso lo studio Morra
Cesare Pietroiusti, 2019. Il sessantaquattresimo anno è rappresentato da un’opera realizzata appositamente per questa mostra e costituita dalla somma dei rifacimenti di alcune delle opere esposte; rifacimento le cui modalità vengono decise – e messe in pratica – collettivamente, da un gruppo di giovani artisti e teorici che, con me, partecipano ad un laboratorio attivo dentro la mostra.
Giovane studentessa che vive in provincia di Modena e frequenta il terzo anno del corso di laurea DAMS presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, specializzandosi in arti visive. Ha alle spalle esperienze nel mondo della danza e ha una grande passione per l’arte che la porta a girare per l’Italia, e non solo, in cerca di mostre ed eventi capaci di arricchire il suo bagaglio personale.
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