Nell’epoca del selfie, in cui l’immagine del mondo si moltiplica nel web come scenografia e ambientazione di un ego sempre più narcisistico e omologante, l’artista cinese Liu Bolin (Shandong, 1973) ha trovato la sua caratteristica cifra espressiva nel procedimento contrario. Nelle sue performance mimetiche, grazie a un iperrealistico body painting, il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo: nascondersi, diventando una cosa tra le cose, è un mezzo per dimostrare che tutti i luoghi e tutti gli oggetti hanno un’anima in cui ci si può mimetizzare e svanire per identificarsi con il Tutto, come suggeriscono le filosofie orientali. I suoi camaleontici autoritratti, che lo hanno reso famoso a livello mondiale come “l’uomo invisibile”, esplorano la complessità e le contraddizioni della società globale con un approccio che, attraverso la meraviglia e lo stupore, fa emergere una visione critica delle aporie del nostro presente.
Visible invisible, mostra personale che il MUDEC di Milano in collaborazione con la galleria veronese Boxart dedica a Liu Bolin – nella nuova area dedicata alla fotografia, in uno stabile di fronte all’entrata principale del museo – riunisce circa 50 stampe fotografiche di grande formato appartenenti a vari progetti affrontati dall’artista negli ultimi anni, ciascuno incentrato su una diversa tematica. La perfezione delle immagini, in cui l’illusione ottica è ottenuta grazie a un’accurata fase di progettazione in cui nulla è lasciato al caso, è il risultato di un’interessante integrazione tra pittura e fotografia, i cui ruoli sembrano diventare osmotici e interscambiabili.
L’avventura creativa di Liu Bolin inizia nel 2005 con la serie Hiding in the city, nata come manifesto di ribellione contro l’autorità cinese che in quel periodo stava demolendo il suo studio nel Suojia arts camp – il villaggio degli artisti indipendenti dove risiedeva – per far spazio alla speculazione edilizia senza preoccuparsi di cancellare in modo irreversibile importanti testimonianze della tradizione e dell’identità di un popolo. In quell’occasione l’artista si mimetizza per la prima volta per dimostrare con un gesto emblematico la sua appartenenza a quel luogo.
L’operazione prosegue poi con Hiding in the rest of the world, un vero e proprio percorso iniziatico nell’introiezione del mondo, di cui fa parte anche Hiding in Italy (2008-2019), il suo personale viaggio in Italia che in qualche modo richiama il Grand Tour di goethiana memoria, il lungo viaggio nell’Europa continentale intrapreso dai giovani dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo per imparare a conoscere la politica, la cultura, l’arte e le antichità dei Paesi che attraversavano. Per Bolin Cina e Italia incarnano le due culle della cultura asiatica ed europea e il secolare rispetto che in particolare il Bel Paese presta alla conservazione della storia rappresenta ai suoi occhi l’antidoto contro la dissipazione culturale che l’esasperata modernizzazione sta provocando in Cina. Il confronto suggerisce anche un’implicita ipotesi di complementarietà tra la visione orientale e quella occidentale, in cui il confronto e la conoscenza partono proprio dal “mettersi nei panni degli altri” che l’artista interpreta in modo letterale.
Nel ciclo Shelves, invece, Bolin si auto-ritrae di fronte a lunghe distese di scaffali di supermercati stipati di scatolame colorato e verdure, realizzando un’immagine iconica, ossessiva e totalizzante del nostro bisogno compulsivo di possedere per essere, che finisce per identificare e annullare le differenze tra prodotto e consumatore, portando alle estreme conseguenze le intuizioni ideologiche ed estetiche della pop art americana.
Nel ciclo Migrants – tema particolarmente caro al MUDEC – dove Liu Bolin ha coinvolto in qualità di performer un gruppo di rifugiati ospiti di alcuni centri d’accoglienza in Sicilia, l’identificazione con lo sfondo esprime la spersonalizzazione dell’individuo e di un popolo, il cui unico volto diventa quello della disperazione e della denuncia sociale materializzate in una distesa di corpi quasi indistinguibili che si confondono con la sabbia del bagnasciuga su cui sono appena approdati. In questo caso l’aspetto giocoso e illusionistico del camouflage lascia il posto all’ineludibile presenza di una massa umana costellata di occhi che fissano quelli dell’osservatore senza concedergli nessuna attenuante morale.
Info:
Liu Bolin. Visible Invisible
15 maggio – 15 settembre 2019
Mudec – Museo delle Culture
via Tortona 56, Milano
Suojia Village 2005 Courtesy Boxart, Verona © Liu Bolin
Italy Magazine 2012 Courtesy Boxart, Verona © Liu Bolin
Colosseo n° 2 2017 Courtesy Boxart, Verona © Liu Bolin
L’arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare.
(Salvador Dalì)
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