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Luca Grechi: dove cominciare e dove non finire

Luca Grechi: dove cominciare e dove non finire

Esiste un’inedita scrittura di Italo Calvino[1] secondo cui nel caso si voglia riassumere in maniera antologica il proprio pensiero, l’azione più difficile da compiere è scegliere. Tale momento di valutazione, pari allo sfogliare un taccuino visivo, è certamente utile a elaborare le tracce di un archivio dell’io schiuso in compositi ricordi, fungendo altresì, come valido ordinamento dei propri pensieri. E il distacco dalla molteplicità dalle infinite memorie possibili è per un pittore il momento in cui si isolano e connettono, nell’abbondanza dei momenti vissuti, i soli sviluppi rappresentativi della propria attività di studio e osservazione. Così, varcata la soglia della scelta, si acquisisce consapevolezza della potenzialità illimitata e multiforme di qualcosa che probabilmente ancora non esiste, cognizione riassumibile nell’espressione “manca sempre quello che sarà”. Quest’ultima è anche il titolo della mostra personale di Luca Grechi – in programmazione presso La Nuova Pesa di Roma sino al 12 aprile 2024 – a conferma che per l’artista la pittura evolve con metodi lenti e specifici, nonostante l’indeterminatezza velata da una candida nube di poesia.

Luca Grechi, “Manca sempre quello che sarà”, installation view, courtesy La Nuova Pesa, Roma

La mostra è frutto di un progetto versatile poiché costruisce un itinerario capace di presentare il lavorio su tele di ampie dimensioni, assecondando inoltre con agilità, l’accostamento di opere dalle forti differenze formali. Nei lavori esposti v’è l’emblematico riduzionismo tipico di Grechi, che questa volta emerge nella definizione di terse e limpide nebule di colore coprenti impalpabili forme elementari. Ciò ha facilitato l’accoglienza a docili passaggi tonali, definendo un’atmosfera rarefatta, resa possibile con un avvicinamento tra toni dall’aspetto acquarellato, la cui forza risiede nella sensibile discrepanza tra l’ombra e la luce, moderatamente presente in quieti lampi spontaneamente gialli. Tuttavia, in felice contrasto con tali opere, Grechi è capace di catturare anche la fisicità dei soggetti, in particolare in una sola opera in mostra calca lievemente le corolle di fiori. Anche se questo può sembrare il motivo prevalente, in realtà lo scenario è quello di un panorama immaginario: uno spazio puramente inventato in cui si fissano dei freschi petali bagnati da un’azzurra pioggia primaverile. Così l’artista si spinge oltre la sua passata esperienza, trattando opere alla stregua di ampi schermi, nondimeno rimanendo fedele al racconto morbido e mitemente sovratemporale con cui adagia docilmente sottili patine di colore, seppur mantenendone differenziate le gradazioni. Inoltre, inumidendo la superficie di una fonte luminosa, abbozza appena l’origine della giacenza profondissima della sua pittura: il sentore vellutato della natura e dei suoi delicati capillari.

Luca Grechi, “Scrittura privata#2”, tecnica mista su tela, 166 x 350 cm, 2024, courtesy La Nuova Pesa, Roma

Grechi vive la pittura alla stregua di un discorso mentale, cosicché è ovvio che sporadicamente senta l’esigenza di dare corporeità a quanto emerge in maniera inaspettata dalla tela stessa. L’apparizione finale è una visione imperativa e fascinosa che si manifesta solidamente per il solo fine investigativo e analitico. Prova ne sia quando lavora alla Foresta, in cui le singole sagome degli arbusti, mossi da un leggero movimento pregno di grazia, emanano una placida tranquillità, sollecitando ritmiche sensazioni e relative corrispondenze. In tale occasione la pittura sboccia dalla tela non per farsi scultura, bensì quale manufatto protagonista di un vivo dialogo polidisciplinare, in relazione a un primitivo appunto pittorico che fissa la sensualità di una boscaglia. Anche nella struttura ideata nel 2020, intitolata Senza Tavolo, le cui pitture di superficie alludono a frenetici viaggi di nuvole sospese nella nebbia e maree che si disciolgono, intende fissare una visione, questa volta delimitante i confini di un’area creata per accogliere uno spazio protetto. Nondimeno, il tavolo è un confine definente un non luogo, devolvente piuttosto, la certezza di trovare in esso un territorio in cui vivere ciclicamente la propria visione in variazione agli spazi che occupa, poiché l’artista lo monta e scompone laddove meglio preferisce.

Luca Grechi, “Laggiù è qui”, installation view presso Davide Paludetto Arte Contemporanea, Torino, 2021, ph. credit Ludovica Mangini

Diversamente, condensando il discorso sulla pittura ambientale, l’artista innanzitutto instaura un rapporto specifico con la superfice che lavora, adagiando con misurata continuità una somma di frammenti filiformi di densità diverse che lambiscono e affiorano solo dove il colore lo permette. Ciò è quanto avviene nella primigenia pittura murale di Frasso Telesino, laddove si anticipano, in continuità con la successiva progettualità presso la mostra Ante Operam del 2022, gli elementi cardine di tutte le opere originate dalle visioni, laddove primeggia l’aspetto arcaico e primordiale, volutamente aperto a continue e inaspettate modifiche. Va da sé ipotizzare che Grechi concepisca la pittura come un’esperienza ormai consolidata, sia pur sempre inesatta: allo stesso modo di un enorme meccanismo in movimento, crocevia per assimilare e per distribuire energie e idee. Alla pari di una dolce e prolungata carezza, la tonalità blu oltremare di Frasso Telesino, oggetto di studi negli anni a seguire, assorbe senza alcuna violenza tutto ciò che viene tracciato nella parte sottostante, proclamando la dolce sperimentazione di una soave gradazione a lui tanto cara. E proprio tale opera è anticipatoria delle sue successive scelte pittoriche: agire sul vuoto e sul dimensionamento cromatico attraverso ombre e piani di profili, così da intendere la pittura come forma autonoma di per sé, facendo balenare agli occhi solo pochi suggerimenti.

Luca Grechi, pittura ambientale, opera permanente, Frasso Telesino, Benevento, 2016, courtesy dell’artista

Le scritture invisibili dell’opera di Frasso Telesino percorrenti l’epitelio della superficie con tremiti e tensioni, provano che ogni opera è cosa viva, quindi provvista di una ragnatela di nervi capillari. Così, solo diversi anni dopo, i sottili e lievi veli di colore adagiati sulla tela finalmente affiorano visivamente come nel sistema nervoso di un corpo umano, cosicché suggestionano l’artista che si lascia conquistare dal loro delicato movimento. Alla pari di un contraccolpo fisico su un Nervo, si definisce nettamente il momento in cui tali motivi diventano stimolo di un esercizio fisico in continuo scostamento di affascinanti velature. Solo in tale occasione la mano di Grechi diventa così grave che detiene in sé il potere della riflessione, giacché ne fa motivo dell’intera vita della superficie, lasciando cadere senza timore le increspature ed iridescenze. Inoltre, nel tempo l’artista è stato sempre coerente nel seguire un’andatura creativa volta a dilatare i propri orizzonti, così sorvola mentalmente foreste, mari e isole, nutrendo, al contempo, la propria memoria visiva di intuizioni e spontaneità. Si è certi che egli inizi a dipingere quando sembra abbia già dimenticato il luogo che aveva in mente e nel fare ciò dà vita a una scrittura pittorica visionaria caratterizzata da vaste e preliminari osservazioni mentali.

Luca Grechi, “Un sasso sul mare”, a cura di Isabella Vitale installation view, preso Sala Santa Rita, Roma, 2016, courtesy l’artista

In particolare, questa apertura verso ignoti territori è anche momento di una sintesi idealista e sognatrice che ci invita a credere che a Grechi, in altri termini, frulli in testa un’isola, da intendere quest’ultima non come luogo, bensì nuovamente come affioramento di una visione tutt’oggi ancora in fase di apparizione. Nondimeno, l’Isola di Grechi era già visivamente emersa anni addietro sottoforma di austere strutture cilindriche accoglienti sassi marini, che ci conducono a ipotizzare che il rapporto con tale luogo sia di affinità piuttosto che di derivazione. In queste fasi sperimentali ciò che permette a ogni visione di acquisire un respiro espanso e tangibile è la pratica del disegno, per cui il carboncino e la fusaggine rappresentano un esercizio di verifica in relazione a diverse idee. Sono un nitido presagio, di un lavorio in corso che definisce i punti di partenza per l’avanzamento di nuove fasi della propria analisi. Eppure, proprio nelle forme dei palpabili boccioli naturali si cela l’ambiguità: il dono della cancellatura che svela l’aspetto arcaico e volutamente inconcluso. Nondimeno, dall’esame di tali carte emergono gli elementi umorali di un artista e della sua ricerca, quali: la sincerità, l’intimità, l’amore per la definizione di una pittura pregna di una massiccia e convinta indagine cominciata anni fa che deve continuare necessariamente a non finire.

Maria Vittoria Pinotti

[1] Italo Calvino, Cominciare e finire, in Lezioni Americane, Oscar Mondadori, 2017, p. 123

Info:

Luca Grechi. Manca sempre quello che sarà
22/02/2024 – 12/04/2024
La Nuova Pesa
via del Corso, 530, 00186, Roma
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 10:00 – 13:30 / 16:00 -19:30
nuovapesa@farm.it | www.nuovapesa.it


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