L’illusione è per sua definizione un concetto sfuggente, definisce in negativo ciò che sembra ma non è e questa è l’unica certezza a cui porta il suo riconoscimento. È una voragine aperta sul baratro del plurale, apre spiragli di agnizione sull’inconoscibile pur preservandone il mistero, agguanta per un attimo la verità mostrandone una delle possibili sfaccettature sotto forma di riflesso per rituffarla dopo un attimo nella moltitudine delle potenzialità e delle compresenze. L’illusione è talvolta più eloquente di qualsiasi rivelazione nella sua essenza ingannevole, ma allo stesso tempo paradossalmente autentica nel processo di decostruzione e analisi dell’apparenza che innesca in chi si cimenta con essa. Tali questioni, da sempre fondanti in tutte le riflessioni che riguardano l’arte della pittura a partire dalle sue declinazioni più antiche come il mito della figlia del vasaio Butade o quello di Narciso, sono tutt’ora estremamente vitali nella ricerca artistica contemporanea, più che mai messa alla prova oggi dalle nuove possibilità illusive dei mezzi digitali.
Afferisce a queste tematiche l’indagine di Luca Moscariello, che nella mostra Moduli strategici per imbastire equivoci al Mercato centro culturale di Argenta (FE) presenta gli esiti dell’ultimo intenso quinquennio di lavoro, in cui si è dedicato all’esplorazione dell’inganno visivo in pittura. Ciò che anima il progetto non è l’intento di sviluppare un virtuosismo finalizzato a stupire o a sfidare le consuetudini percettive, ma quello di mettere a punto un variegato armamentario di dispositivi stilistici e pittorici atti a mettere in scena l’illusione nel suo alterno farsi e svelarsi. Ogni sua composizione, rigorosamente pianificata con decine di disegni preparatori, intrappola lo sguardo in un intrigante labirinto di specchi, nelle cui frammentarie rifrazioni si manifestano tutti gli artifici della pittura che, pur ribaltati in piena vista e dichiarati come tali, non vedono affatto diminuita la loro efficacia. Con un approccio per certi versi assimilabile all’esplorazione portata avanti da Giulio Paolini delle implicazioni speculative degli strumenti di una rappresentazione mai esplicitata ma solo evocata da tracce enigmatiche, Moscariello analizza dall’interno i processi della pittura elaborando quelle che potremmo definire come vere e proprie scenografie concettuali, progettate per indurre l’osservatore a rallentare per approfondire la lettura delle cose.
L’itinerario espositivo si articola in due percorsi paralleli che, nonostante siano composti da selezioni di opere a prima vista stilisticamente molto differenti, collimano nell’intento di ragionare sullo statuto dell’inganno visivo da punti di vista complementari. Nella prima sala troviamo una serie di opere su tavola in cui brani di realtà decontestualizzati e privati della terza dimensione diventano pattern che, ricomposti sul piano pittorico, ricreano per via di sintesi ambigue ambientazioni metafisiche. Nella seconda sala, invece, vediamo una grande installazione ambientale di tavole dall’impianto geometrico in cui una strutturazione formale di matrice neoplastica genera illusionisticamente spessori, rientranze e aggetti, ciascuno dei quali si rivela come un sapiente saggio di pittura trompe-l’œil. In entrambi i casi è molto stretto il rapporto con la storia dell’arte, che viene attraversata in maniera sincronica per arrivare a un linguaggio eclettico, ma saldamente calibrato da una regia che non perde di vista di un solo centimetro la visione d’insieme e l’obiettivo verso il quale questa sperimentazione è tesa.
Nella prima serie di lavori possiamo individuare echi degli sfondi matissiani, dei panneggi rigidi della pittura italiana di stile “Novecento”, ma anche delle squillanti semplificazioni della Pop Art, delle bande verticali di Daniel Buren, degli inganni ottici della Op Art, delle griglie di origine architettonica di Peter Halley e tanti altri riferimenti che invitano l’osservatore a rivisitare mentalmente le proprie esperienze museali e a riflettere sull’intrinseca funzionalità di certi stilemi, indipendentemente dalla loro contestualizzazione originaria. Nei lavori che compongono il polittico “Racconto dell’ombra”, invece, siamo di fronte a un linguaggio più essenziale, che ricorda come già accennato l’ermetismo geometrizzante dell’avanguardia neoplastica. In ciascuno di questi dipinti coesistono sia la vocazione dell’opera a essere oggetto autonomo svincolato da referenzialità esterne, propria del movimento novecentesco, sia una narrazione che scaturisce man mano l’occhio individua nelle superfici colorate non soltanto un insieme di parti interconnesse distribuite in progressione logica e matematica, ma anche un assemblaggio di supporti pittorici monocromi all’interno di un display reale. Non a caso il titolo dei singoli elementi del polittico è “puzzle”, allusivo, oltre che al gioco di pazienza che consiste nel ricomporre i frammenti in cui è stata suddivisa un’immagine (altrettanto pertinente), anche al significato del verbo inglese da cui deriva, ovvero “sconcertare” e “disorientare”.
Un altro aspetto in comune tra le due serie in mostra è il loro procedere per moduli. Nel primo caso si tratta di pattern prelevati dal reale o astratti che vengono impiegati in una sintassi ostentatamente bidimensionale, in cui l’occhio si perde e finisce per proiettare un impianto figurativo e narrativo che procede per quinte scandite spazio-temporalmente. Nel secondo, invece, l’idea di lavorare all’interno di una griglia mentale regolamentata da precisi rapporti tra proporzioni e colori fa vibrare un’illusione scultorea, mentre la tenera sensibilità pittorica delle velature a olio conferisce profondità e morbidezza alle adamantine campiture a smalto sottostanti. Ogni lavoro di ciascuna serie attiva un continuo processo di osmosi tra interno-esterno, struttura-superficie, finzione-astrazione, dettaglio-insieme che, trapassando senza soluzione di continuità dall’uno all’altro binario espressivo, ne fa convergere i parallelismi. La domanda finale sottesa a ciascuna composizione (e moltiplicata dai reciproci rimandi tra le opere) è su come si possano guardare dall’interno i possibili depistaggi della pittura, cogliendoli in quella condizione liminare in cui stiamo per perdere una consapevolezza per acquisirne un’altra di segno opposto. Per Luca Moscariello, dunque, la verità non risiede né nel momento in cui si progetta l’inganno né in quello in cui viene scoperto, ma nel processo di oscillazione tra un equivoco e l’altro che la pittura induce in chi affida il proprio sguardo alle sue dinamiche.
Info:
Luca Moscariello. Moduli strategici per imbastire equivoci
27/01 – 10/03/2024
Mercato centro culturale
piazza Marconi 1 Argenta (FE)
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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