È sempre difficile ricostruire il profilo intellettuale di un’artista. Soprattutto quando si tratta di qualcuno come Marinella Pirelli (Verona, 1925-2009), una delle pittrici e cineaste più appartate – e troppo a lungo considerate inattuali – del Dopoguerra italiano, di recente riscoperta grazie alla retrospettiva che il Museo del Novecento le sta dedicando a Milano, a cura di Lucia Aspesi e Iolanda Ratti.Una delle ragioni per cui Pirelli è rimasta a lungo così periferica è che non ha mai tentato di aderire a scuole e correnti propriamente definibili, né è mai stata vittima delle mode artistiche del momento; anzi, talvolta ne ha preso le distanze in maniera radicale, come dopo la morte del marito nel ’73, quando decise di ritirarsi dalla scena artistica e di rimanere nell’ombra per circa vent’anni, dipingendo e coltivando pesche in un frutteto del veronese.
Ora, a quasi cinquant’anni di distanza da quel periodo di silenzio, anche il visitatore della mostra si muove avvolto nell’ombra, percorrendo una decina di sale in cui le principali fonti luminose provengono direttamente dalle opere. La sensazione è quella di essere usciti dal brusio del nostro tempo e di trovarsi immersi in uno spazio primigenio.
Non sembra una coincidenza quindi che alcuni lavori prendano in prestito il loro titolo dal mondo dell’astronomia: i Pulsar, ad esempio, sono apparecchi ottici che proiettano sul muro immagini intermittenti e colorate, ma portano lo stesso nome dei corpi celesti che, al termine del proprio ciclo di vita, emettono sequenze di impulsi di onde radio.
Lo stesso può dirsi della serie di sculture chiamata Meteore, cornici in alluminio che racchiudono pannelli colorati e semitrasparenti. Su di essi una sorgente luminosa e mobile collocata di fronte crea un gioco di luci dalle forme geometriche, provocando l’illusione di un monitor acceso. In questo modo, Meteore non solo mette in discussione la presunta fissità delle immagini analogiche, ma anche esprime la volontà dell’artista di cercare nuove modalità di relazione con l’opera, di spingere il visitatore a entrare in contatto con le installazioni al di fuori del concetto classico di esposizione d’arte.
Tutto ciò si precisa in Film Ambiente, un dispositivo tridimensionale e percorribile dagli spettatori su cui vengono proiettate immagini pittoriche in movimento, con il risultato che chi lo attraversa viene inondato da fasci di luci e colori.
All’epoca, già Lucio Fontana e altri artisti italiani si stavano muovendo nella stessa direzione e l’idea di ambiente non era certo sconosciuta; ciò che qui si rivela lungimirante, è l’interazione generata da immagini provenienti da un medium elettronico, il proiettore, con il corpo umano, una modalità sostanzialmente inedita all’epoca e oggi così diffusa.
Proseguendo nel percorso espositivo si arriva alle opere più tarde, quelle in cui spicca una maggiore adiacenza con le tendenze teoriche dell’epoca. Risale alla metà degli anni Sessanta infatti l’incontro con la critica d’arte e teorica femminista Carla Lonzi e, contemporaneamente, lo spostamento dalla ricerca di un’immagine fondata sul ritmo visivo e sulla teoria dei colori a un’indagine sul proprio essere, dove la presenza del corpo si fa sempre più concreta.
È questo il periodo dei brevi film in 16mm come Narciso, in cui Pirelli riprende dettagli del proprio corpo in una sorta di diario intimo che li analizza, cercando la sua identità di donna, madre e artista, e Indumenti, un film-documentario che registra Luciano Fabro mentre realizza un calco in carta velina del seno di Carla Lonzi.
L’ultimo film risale al ’74, l’anno successivo alla morte del marito Giovanni Pirelli, erede della nota industria di pneumatici. Il film s’intitola Doppio Autoritratto ed è introdotto da uno scritto dell’artista in cui si legge: “In questo film ho cinematografato me stessa. Agisco contemporaneamente come operatore e come attrice. Nelle sequenze di movimento mi sposto con la cinepresa in mano rivolta verso di me. Nessuno controllava l’immagine attraverso la cinepresa durante la ripresa. La cinepresa era il mio partner: Ognuno di voi è ora il mio partner”.
In altre parole, nessuno di noi è mai davvero presente nella visione di sé. Per Marinella Pirelli c’è sempre un limite, che è dato dall’impossibilità di descrivere in maniera esaustiva l’agente stesso della descrizione. L’io non può raccontare sé stesso perché rimane sempre un punto cieco insolubile, uno spazio vuoto in cui contemplare silenziosi la propria assenza.
Anna Elena Paraboschi
Info:
Luce Movimento. Il cinema sperimentale di Marinella Pirelli
a cura di Lucia Aspesi e Iolanda Ratti
22 marzo – 25 agosto 2019
Museo del Novecento
Piazza Duomo 8 Milano
Marinella Pirelli, Film Ambiente, 1969, struttura in acciaio, teli serigrafati, proiezioni luminose
Marinella Pirelli, Film Ambiente, 1969, struttura in acciaio, teli serigrafati, proiezioni luminose
Marinella Pirelli, Indumenti, 1966-67, pellicola 16mm
Marinella Pirelli, primi anni ’50
Laureata in Arti Visive all’Università IUAV di Venezia, ha frequentato gli atelier di disegno e fotografia alle Beaux Arts di Parigi. Attualmente risiede a Milano, dove studia pittura ed è iscritta al Master di Management degli Eventi Espositivi di 24Ore Business School in collaborazione con la Pinacoteca di Brera.
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