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Lui non morde: con la collettiva “Padrone e Cane” ...

Lui non morde: con la collettiva “Padrone e Cane” luogo_e affronta l’assenza di un corpo libero

«Un cane riconosce sempre il potere a fiuto […] il comando, l’obbedienza, le pause tra il bastone e la carezza». (Tiziana Villani, Corpi Mutanti, p. 89)

Lui non morde. Nonostante gli occhi sanguigni e le narici dilatate come autostrade, in un digrignare che straccia il muso sulla carta. L’urlo del cane di He doesn’t bite II (2022) di Matei Vladimir Colteanu (Romania, 1997) ricorda uno studio del ‘53 di Francis Bacon: quello che ha come soggetto Papa Innocenzo X di Velázquez. Per Bacon, la testa era il luogo di indiscernibilità tra l’uomo e l’animale; la bocca il buco nero dal cui buio si genera un ringhiare che ci riporta indietro a un corpo rabbioso, quello della muta, del cane. «Il grido che esce dalla bocca del Papa, la pietà che sgorga dai suoi occhi, hanno per oggetto la carne macellata»[1] scriverà una trentina di anni dopo Gilles Deleuze a proposito del papa urlante. E ancora: «La carne macellata è la zona comune all’uomo e alla bestia, la loro zona di indiscernibilità»[2].

Matei Vladimir Colteanu, He doesn’t Bite II, 2022, matite colorate su carta, 27×37 cm, courtesy l’artista. Ph: Matteo Maino

Corpi mutanti (2018) di Tiziana Villani, che il trio di luogo_e (Chiara Fusar Bassini, Federica Mutti and Luciano Passoni) ha scelto come volume-guida della collettiva Padrone e Cane, ci accompagna in una ricognizione poetica e politica del legame tra cani, uomini e filosofia, tracciando un rapporto letterario che parte da La Repubblica di Platone (380-370 a.c.), continua con Elias Canetti in Massa e Potere (1960) e arriva fino ai patti tra specie compagne teorizzati da Donna Haraway (Compagni di specie. Affinità e diversità tra esseri umani e cani, 2003). Il cane ci viene presentato da Villani come la specie non-umana che, con l’uomo, ha condiviso un medesimo, intenso e lungo processo di domesticazione, per cui il cane non potrà mai più essere un lupo, ma solo un cane inselvatichito e l’uomo non potrà mai completamente ritornare alla sua natura animale. Questo addomesticamento sistemico è, infatti, andato a intervenire, per entrambe le specie, sulla repressione e il disciplinamento di tutti gli istinti non ritenuti idonei al processo sociale, alle prassi del buon senso, creando un “corpo secondo”, un corpo politico legato alle istituzioni, che sembrerebbe annullare il “corpo primo”, quello più vicino all’animalità, alle pulsioni, al desiderio, alla creatività, all’esplorazione. In una parola, al cane.

Gabriele Longega, Invokation of my ancestral demons for healing, 2022, cuoio, cd, cemento, hair extension, tessuto, 95×60 cm ca., courtesy l’artista. Ph: Matteo Maino

In Studio dal ritratto di Innocenzo X (1953, Des Moines Art Center) è la torsione che l’uomo ha compiuto su sé stesso, la spogliazione dalla specie di origine a lacerare il viso dell’animale-uomo, a renderlo rabbioso, a fargli emettere quello che di più vicino c’è al latrare: un grido. Il papa di Bacon e il cane di Colteanu dimostrano che gli organi del “corpo primo”, in apparenza sopiti, non cessano di accendere delle micro-ribellioni nel “corpo secondo”, di voler fuoriuscire. I due soggetti subiscono – a guardar bene – lo stesso processo di disorganizzazione e sfracellamento del volto. In Bacon la testa della bestia lotta con la figura umana: i tratti di volteità”, cioè del viso socialmente e culturalmente organizzato, si liberano e diventano “tratti di animalità”[3]. Mentre i denti del cane di He doesn’t bite II (2022) sono più simili a una dentatura umana che animale: più fitti e regolari, meno aguzzi. Vengono fuori quelle che sono le parvenze di un volto di uomo da una testa di cane. In entrambi i casi, la bocca che ringhia e grida sembra essere la linea di fuga dal corpo organizzato e domesticato, che abbiamo chiamato “secondo”: «La testa-carne macellata è un divenir-animale dell’uomo. E in questo divenire, l’intero corpo tende a fuggire»[4].

Franco Vaccari, Cani + sedie + donne, 2005, catalogo della mostra (Faenza, Galleria Comunale d’Arte, 9 dicembre 2005 – 15 gennaio 2006) I quaderni del circolo dell’artista, Faenza, collezione privata. Ph: Matteo Maino

Un’esortazione a emigrare dalla vita capitalista di tutti i giorni, dal corpo astuccio verso il luogo dell’utopia e del godimento, divenendo animali, lo troviamo anche nel brano Chihuahua (2003), soggetto di Invokation of my ancestral demons for healing (2022) di Gabriele Longega (Venezia, 1986). Non è la prima volta che Longega ragiona sui processi di domesticazione e di animalità, in particolare in relazione alla dimensione del cruising tra uomini: come se in quel frangente, in quello spazio di sovvertimento di ciò che esiste, fuori dal tempo socialmente capitalizzabile, ci fosse da una parte un’umanizzazione della natura e dall’altra un’animalizzazione dell’umano. In Dog’s saliva web rectum pit (2022) filamenti di saliva, rimasti invischiati nella vegetazione, servivano a collegare una tela di cursed images di cani demoniaci, incastrate sulla sommità di un pozzo. L’installazione site-specific rimanda alla dimensione domestica del focolare, ai trascinati viaggi femminili per andare a raccogliere un po’ d’acqua. Donne e cane condividono, infatti, qualcosa di più del suddetto processo di domesticazione: il compito di sorvegliare la casa e i beni, in attesa di un ritorno, quello dell’eroe, che è, in ultimo, il padrone. «Argo rimane sulla soglia in attesa del ritorno di Ulisse, Penelope vigila sulla casa, entrambi si consumano nell’attesa nel mentre Ulisse compie avventure, loro sono muti e ubbidienti, sono i sacrificati, gli innamorati abbandonati, i disciplinati che scompariranno nel racconto e nella storia. è dunque lo spazio domestico quello dove si consumano le vite neglette […] l’oikos, la domus, la casa costituiscono il recinto perimetrato dei rituali di addomesticamento e di canonizzazione dei ruoli»[5].

Angelo Licciardello, Toby, 2022, tecnica mista, 40x50x40 cm, courtesy l’artista. Ph: Matteo Maino

Da una rilettura efferata del legame tra donne e cani, arriva la scelta di recuperare ed esporre un catalogo fotografico di Franco Vaccari (Modena, 1936), che sembra essere passato inosservato ai più. In Cani + sedie + donne (2005), pubblicato in occasione di una mostra alla Galleria Comunale dell’Arte di Faenza, l’autore modenese isola e alterna tre soggetti storici sulle pagine bianche: sedie di design, cani e donne. Vaccari li descrive così: soggetti che sono sottoposti a modifiche continue, a repentini cambiamenti nella loro immagine in base a mode e a stili: i più “lontani dalle loro immediate nature”, i più vicini ai cambiamenti sociali in corso[6]. Basta recuperare un’intervista del 2021 per Animot per comprendere l’origine della passione-compassione di Vaccari per i cani: «Sono gli animali che maggiormente hanno subito la pressione degli uomini, tesa ad umanizzarli e renderli più simili a noi. Spesso ne abbiamo fatto la nostra caricatura»[7].

Franco Vaccari, I cani lenti, 1971, video 8 mm trasferito su formato digitale, b/n e col., sonoro dai Pink Floyd, 8’38’’, courtesy l’artista e Galleria P420. Ph: Matteo Maino

La pericolosità dell’amorevole umanizzazione dei nostri animali, “operazione che mentre coccola snatura”[8], viene raccontata dall’opera che apre la mostra. Un lettino per cani costruito a immagine e somiglianza di un letto umano con tanto di trapunta e spalliere ci dipinge addosso un allarmante sorriso. Angelo Licciardello (Catania, 1990) lo immagina come un oggetto votivo, dedicato a Toby, il cane da cui l’installazione prende il suo titolo. Da un piccolo televisore al tubo catodico posto a terra in fondo allo spazio, si sposta sottile un brano dei Pink Floyd: riconosciamo di nuovo la firma di Franco Vaccari e i suoi Cani lenti (1971) che “con tutta l’aria di un’autentica poesia” girovagano cadenti nelle corti e danzano sui sanpietrini delle città italiane. Il cane gioca un ruolo fondamentale nella ricerca di Vaccari fin dagli anni Sessanta quando nella serie di fotografie Modena vista a livello di cane (1967-1968) l’artista assume il punto di vista, il “cine-occhio” dell’animale e invita il pubblico a liberarsi dall’abitudine di fotografare ad altezza d’uomo e, piuttosto, assumere un’inquadratura “a quattro zampe” che ritorna anche nei primi minuti di I cani lenti. «In un primo tempo avevo pensato di applicare sulla testa dei cani delle mini cineprese che registrassero quanto le bestiole andavano esplorando, ma allora la tecnologia non era in grado di produrre impianti adatti allo scopo» racconta l’autore a Luca Panaro[9]. L’importanza del “prospettivismo” si manifesta anche nelle scelte espositiva: il televisore schiacciato a terra come un paio di scarpe ci obbliga ad un abbassamento metodologico, a ritornare sulle quattro zampe, come se non ci fossimo mai eretti. Il corpo-cane, portatore di un punto di vista a lungo silenziato, lacerato e sofferente, nel video di Vaccari si aggira solo per le strade, sempre più simile a una macchia nera, man mano che ci tiriamo su allontanandoci dallo schermo.

Franco Vaccari, I cani lenti, 1971, video 8 mm trasferito su formato digitale, b/n e col., sonoro dai Pink Floyd, 8’38’’, courtesy l’artista e Galleria P420. Ph: Matteo Maino

In alto a sinistra sulla parete colpisce parte di una poesia della polacca premio nobel per la letteratura Wislawa Szymborska (Kórnik, 1923). Il brano racconta di un cane anonimo, che ad un certo punto si trova abbandonato dal padrone, preso da “faccende pressanti”. Molto di più di altre specie addomesticate, il cane è vittima della solitudine del randagio, proprio perché non è più in grado di cooperare con la propria specie, di costituire con i suoi simili un branco, ma cerca un’alleanza esclusiva con l’uomo: «Io che sono il cane ho provato il bisogno irrefrenabile di non voler più obbedire, sono scappato. Sono scappato alla cieca […] il corpo tornato a essere il corpo primo, quello che avevo ostinatamente divorato. […] E trovai cani che azzannavano e mangiavano altri cani, anche loro si erano perduti […] Prima o poi mi sarei dovuto fermare, per fame, paura, solitudine e abbandono […] Il corpo secondo soffre, ha paura del freddo, il corpo secondo non è in grado di procurarsi sopravvivenza, cerca il potere che lo rassicura, quello del luogo prescritto»[10]

Giovanni De Lazzari, Cani dell’alba, 2012, matita su carta preparata, 70×70 cm, courtesy l’artista, Galleria Laveronica e BACO. Ph: Matteo Maino

Nei Cani dell’alba (2012) di Giovanni De Lazzari (Lecco, 1977) un sistema di fili testardamente tirati tra quattro alberi non concede agli animali di congiungersi in branco. Non sono totalmente immobilizzati, né è immediatamente evidente una recinzione, ma questi possono muoversi solo nel perimetro tra due alberi: uno strumento di tortura, dove più si cammina, più si esplora, più si lascia spazio al “corpo primo”, più si accorcia la corda attorno al collo.

AA.VV., Canile letterario, 2022, una raccolta di cani (e padroni) della letteratura molto cari a luogo_e. Ph: Matteo Maino

Volto-testa, istinti-istituzioni, cane-padrone, natura-cultura, corpo primo-corpo secondo: dalla mappatura e decostruzione di questi assetti dicotomici, Padrone e cane sposta il nostro sguardo sulle più recenti forme di asservimento, sulla presenza delittuosa di un controllo che sta diventando sempre più virtuale e comunicativo, sulle mute che – risentite – continuano a latrare, aspettando l’occasione di fare branco. Le opere dei 16 artisti coinvolti nella collettiva si alternano, nello spazio simil-navatico in via Pignolo 116 (Bergamo), con pubblicazioni d’artista, raccolte di poesie e romanzi, creando una bibliografia visiva che, con gentilezza, fa emergere le basi della ricerca curatoriale. Da luogo_e non si smette mai di parlare: la mostra pone una ormai rarissima attenzione sulla parola, sulle narrazioni e la produzione di significati. L’eterogeneità dei materiali, l’orizzontalità nella scelta delle opere e degli artisti, i coraggiosi accostamenti tracciano una curatela fitta e puntuale, che trasforma la mostra in osservatorio di senso e hub di ricerca.

Alessia Baranello

[1] Gilles Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Macerata: Quodlibet, 2020, p. 65
[2] ivi., p. 57
[3] Félix Guattari ha analizzato questi fenomeni di disorganizzazione del volto. Cfr. L’inconscient machinique: essais de schizo-analyse, Recherches, Paris 1979, pp. 75
[4] Gilles Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Macerata: Quodlibet, 2020, p. 69
[5] Tiziana Villani, Corpi mutanti. Tecnologie della selezione umana e del vivente, Roma: Manifestolibri, 2018, p. 100
[6]Nel libro Cani + sedie + donne (2005) – un titolo che rimanda alle avanguardie artistiche del Novecento, all’associazione tra cose e persone che non sembrano avere uno stretto legame tra loro – mi riferisco a tre realtà che più di altre si piegano ai nostri desideri. I cani, le sedie, le donne. Sono soggetti a modifiche continue, risentono delle mode e degli stili, si allontanano dalle loro più immediate nature, mutano repentinamente la loro immagine a seconda dei cambiamenti sociali in corso” in Cani lenti. Franco Vaccari intervistato da Luca Panaro, Animot n. 11: L’arte per l’altro, ancora (vol.2), 2021.
[7] Cani lenti. Franco Vaccari intervistato da Luca Panaro, Animot n. 11: L’arte per l’altro, ancora (vol.2), 2021.
[8] Dal foglio di sala di “Padrone e cane”.
[9] Cani lenti. Franco Vaccari intervistato da Luca Panaro, Animot n. 11: L’arte per l’altro, ancora (vol.2), 2021.
[10] Tiziana Villani, Corpi mutanti. Tecnologie della selezione umana e del vivente, Roma: Manifestolibri, 2018, pp. 47-48

Info:

Marco Belfiore, Cinzia Benigni, Giulio Bonasone, Luca Brama, Matei Vladimir Colțeanu, Giovanni De Lazzari, Agenore Fabbri, Giovanni Fattori, Linda Fregni Nagler, Angelo Licciardello, Gabriele Longega, Edoardo Manzoni, Wisława Szymborska, Franco Vaccari, Luca Viganò, Tiziana Villani
11.11.22-14.01.23
Giovedì, venerdì e sabato dalle 14 alle 19 (e su appuntamento)
Padrone e Cane
http://www.luogoe.com
Luogo_e
Via Pignolo 116, 24121, Bergamo


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