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L’ultimo meraviglioso minuto: l’arte come specchio...

L’ultimo meraviglioso minuto: l’arte come specchio del tempo profondo. In dialogo con Pietro Ruffo

Tra le numerose sfide che l’arte contemporanea affronta oggi, una delle più affascinanti è la capacità di indagare il tempo. Non solo il tempo umano, ma quello geologico, cosmico, profondo. L’artista Pietro Ruffo, con la sua mostra “L’ultimo meraviglioso minuto” (Palazzo delle Esposizioni, Roma) ci guida in un viaggio che attraversa milioni di anni, dalla preistoria all’Antropocene, per riflettere sulla nostra fragilità come specie e sulla straordinaria storia del pianeta che abitiamo. Con un linguaggio che unisce estetica e critica, Pietro Ruffo crea un racconto visivo in cui passato e futuro si intrecciano, invitandoci a confrontarci con l’impronta indelebile che lasciamo sulla Terra e con le possibilità di costruire un nuovo rapporto con l’ambiente. Le sue opere non si limitano a osservare il presente, ma suggeriscono una nuova consapevolezza del tempo come elemento fluido e stratificato. In questa intervista esclusiva, Pietro Ruffo ci parla delle motivazioni e dei significati dietro le opere, del suo rapporto con il concetto di meraviglia e della responsabilità collettiva che tutti noi condividiamo di fronte alla crisi ambientale. Un dialogo che si apre su prospettive inedite e che ci invita a guardare “sotto la pelle” della Terra per riscoprire la nostra relazione con essa.

Pietro Ruffo, 2024, Portrait by Giorgio Benni

Micol Di Veroli: La tua mostra dal titolo “L’ultimo meraviglioso minuto” ci invita a un viaggio attraverso le ere del nostro pianeta, dalla preistoria all’Antropocene. In un tempo in cui la percezione del passato sembra farsi sfocata di fronte all’urgenza del presente, cosa significa per te restituire al pubblico la meraviglia di un tempo geologico remoto?
Pietro Ruffo: L’idea di esplorare i tempi geologici profondi nasce dal desiderio di far riflettere il pubblico sul fatto che viviamo su un pianeta in costante trasformazione. Ogni fase della sua storia ha dato vita a realtà completamente diverse, e solo dopo la quinta estinzione di massa sono emerse le condizioni che hanno reso possibile la nostra esistenza. Questa consapevolezza ci invita a vedere la nostra presenza come un istante brevissimo nella scala del tempo geologico, un momento straordinario ma fragile. Restituire la meraviglia di questo passato remoto significa sottolineare quanto la nostra esistenza sia il risultato di un equilibrio precario e irripetibile.

Pietro Ruffo. “L’ultimo meraviglioso minuto”, installation view at Palazzo Esposizioni Roma

Il concetto di meraviglia attraversa tutta l’esposizione, ma si radica in un contesto contemporaneo segnato dalla crisi ambientale. In che modo la tua arte si propone di ristabilire una connessione emotiva e intellettuale con il pianeta, unendo estetica e riflessione critica?
Il punto centrale non è tanto il fatto che stiamo distruggendo il pianeta, ma che stiamo distruggendo la nostra stessa capacità di sopravvivere come specie su di esso. Questa distinzione è cruciale: la Terra è sopravvissuta a cinque estinzioni di massa e continuerà a vivere, ma le nostre azioni stanno mettendo a rischio le condizioni che rendono possibile la nostra esistenza. La mia arte vuole spingere il pubblico a riflettere su questa realtà e a interrogarsi su come possiamo cambiare i nostri comportamenti per garantire la sopravvivenza della nostra specie. Viviamo in un’epoca complessa, in cui saremo presto dieci miliardi di persone: già questo è un miracolo, considerando che come Homo sapiens siamo una specie giovane, che risplende come un fiammifero per un brevissimo momento geologico. Ma è proprio nella nostra capacità di immaginare, creare e agire che risiede la possibilità di reinventarci. La meraviglia, in questo contesto, diventa una forza che unisce l’emotivo e l’intellettuale. È attraverso questa connessione che possiamo riscoprire la nostra appartenenza al pianeta e mettere in moto nuovi modi di convivere con esso. La meraviglia non è solo contemplazione, ma un catalizzatore per immaginare un futuro diverso.

Pietro Ruffo, “L’ultimo meraviglioso minuto”, installation view at Palazzo Esposizioni Roma

Nella seconda sala, esplori l’Antropocene, un’era che segna l’impronta indelebile dellumanità sulla Terra. Come interpreti, da artista, il peso morale di questa epoca, e in che modo l’arte può contribuire a una nuova comprensione del nostro impatto planetario?
Il marcatore più chiaro dell’Antropocene è forse il cemento, prodotto in miliardi di tonnellate ogni anno, che rappresenta la più grande quantità di roccia antropogenica presente sulla crosta terrestre. Il termine “cemento”, che deriva dal latino *con crescere* (crescere insieme), incarna questa duplice natura: da un lato, è un simbolo dell’impronta umana sul pianeta; dall’altro, rappresenta la nostra capacità di creare luoghi per il pensiero astratto e la riflessione collettiva. Nella sala dedicata a questa era, ho analizzato se questo pensiero astratto è qualcosa che contraddistingue solo l’Homo sapiens o anche i nostri cugini Neanderthal. L’Antropocene è un’epoca di responsabilità e contraddizioni e l’arte può trasformare il suo peso morale in uno strumento di consapevolezza, spingendoci a immaginare modi alternativi di abitare il pianeta.

Pietro Ruffo, “Il Giardino Planetario”, 2024, in collaboration with Noruwei, installation view at Palazzo Esposizioni Roma

La video installazione “Il Giardino Planetario” si ispira al pensiero di Gilles Clément, che vede la Terra come un giardino in costante mutazione. Qual è il ruolo della metafora del giardino nella tua visione artistica, e come questa idea si connette al flusso del tempo e al continuo rimodellamento dei paesaggi terrestri?
Il titolo della video installazione, realizzata in collaborazione con Noruwei, si ispira a Gilles Clément, ma è la parola “giardino” a catturare la mia attenzione. “Giardino” evoca l’idea di una natura addomesticata, trasformata dall’essere umano per rispondere ai propri bisogni. È ciò che abbiamo cercato di fare negli ultimi 300.000 anni: rendere la natura meno selvaggia, più simile alla nostra immagine, trasformando quasi ogni centimetro delle terre emerse accanto a noi. Il video gioca su questa tensione, mostrando paesaggi del passato che si intrecciano con visioni di un futuro immaginario, creando una sovrapposizione di tempi e spazi. Come un palinsesto, questi paesaggi rendono visibile quanto i diversi ambienti climatici e naturali siano mutevoli, e quanto il nostro intervento abbia contribuito a questi cambiamenti. La metafora del giardino diventa quindi una lente per osservare il nostro rapporto con la natura: non più una relazione di semplice dominio o sfruttamento, ma una stratificazione complessa di influenze, trasformazioni e responsabilità. Attraverso questa installazione, voglio stimolare una riflessione sul nostro impatto e su come il flusso del tempo, sia geologico sia umano, sia parte integrante del rimodellamento continuo dei paesaggi terrestri. È un invito a considerare la Terra come un organismo vivo, in costante mutazione, e a ripensare il nostro ruolo in questa evoluzione.

Pietro Ruffo, “L’ultimo meraviglioso minuto”, installation view at Palazzo Esposizioni Roma

L’ultima sala ci riporta a Roma, ma una Roma che emerge e si trasforma attraverso una fusione di mappe storiche e paesaggi naturali immaginari. Come hai affrontato la sfida di rappresentare una città che incarna la stratificazione del tempo umano e naturale, e quale significato attribuisci a questo intreccio?
Essendo architetto di formazione, ho sempre trovato affascinante il modo in cui le stratificazioni architettoniche di Roma raccontano storie di civiltà e trasformazioni. In questa sala, però, ho voluto spingermi oltre, includendo anche le stratificazioni geologiche della città. Ho scelto di partire da un’opera di Alfonso di Pasquale custodita al Museo delle Civiltà di Roma: un dipinto che raffigura la valle del Tevere popolata da ippopotami, elefanti e, all’interno di una caverna, tre figure di Neanderthal. Questo scenario ci parla di un tempo in cui Roma era un paesaggio selvaggio, molto diverso da come la conosciamo oggi. Questo intreccio di mappe storiche, paesaggi naturali e testimonianze geologiche ci invita a riflettere su quanto il territorio che abitiamo sia cambiato e su come potrebbe trasformarsi ancora in futuro. Potrebbe tornare a essere un paesaggio dominato da vulcani, sommerso dalle acque o popolato da una fauna completamente diversa. La stratificazione di Roma non è solo un archivio del passato, ma anche una finestra sulle possibilità future, un invito a immaginare una città in continua metamorfosi.

Pietro Ruffo, “Antropocene (Saccopastore)”, 2024, oil and cutouts on paper laid on canvas, 168,5 × 301 cm, installation view at Palazzo Esposizioni Roma

Il curatore Sébastien Delot scrive che per capire l’infanzia del nostro pianeta dobbiamo guardare “sotto la pelle” della Terra. Questo ci invita a riflettere su una concezione della natura come qualcosa di vivo e in costante mutazione. Come artista, come interpreti l’idea di una Terra viva e pulsante, e cosa ci può insegnare questa prospettiva sulla nostra presenza su di essa? È possibile, secondo te, trasformare la consapevolezza della nostra fragilità in un senso di responsabilità collettiva?
L’idea di una Terra viva mi affascina profondamente. La sua capacità di rigenerarsi e trasformarsi dopo eventi catastrofici ci ricorda quanto sia resiliente, ma anche quanto sia indifferente alla nostra esistenza. La consapevolezza della nostra fragilità, se ben comunicata, può trasformarsi in un motore di responsabilità collettiva. Non si tratta solo di salvaguardare il pianeta, ma di garantire la sopravvivenza delle condizioni che ci permettono di vivere. La Terra ha già superato cinque estinzioni di massa, e ne affronterà altre. Il nostro obiettivo deve essere quello di evitare che l’Antropocene diventi un preludio alla nostra estinzione, immaginando invece un futuro in cui il nostro impatto sia equilibrato e sostenibile.

Micol Di Veroli

Info:

Pietro Ruffo. L’ultimo meraviglioso minuto
29/10/2024 – 16/02/2025
A cura di Sébastien Delot
Palazzo Esposizioni Roma
via Nazionale 194, Roma
www.palazzoesposizioniroma.it


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