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Lulù Nuti e Delfina Scarpa alla Galleria Alessandr...

Lulù Nuti e Delfina Scarpa alla Galleria Alessandra Bonomo

È questa la prima o l’ultima notte sul nostro pianeta? Lulù Nuti (1988) ha studiato pittura per ritrovarsi scultrice e Delfina Scarpa (1993) ha studiato scultura prima di scoprirsi pittrice. Due giovani artiste tra le protagoniste della scena romana emergente. Una bipersonale curata da Teodora di Robilant in cui due percorsi inversi e complementari si trovano a confronto, in bilico tra ut pictura poesis e ut scultura poesis, fino al 30 aprile nella cornice della Galleria Alessandra Bonomo in via del Gesù a Roma.

Un portone si apre sulle meraviglie nascoste di un cortile romano. Si attraversa un pezzo di storia per entrare nel vivo di un dialogo, plastico e pittorico, sul contemporaneo. Dallo spazio storico e rinascimentale del ‘fuori’, si passa a quello immacolato e contemporaneo della Galleria, ridisegnato secondo gli schemi astorici e atemporali del ‘sentire artistico’ di Nuti e Scarpa. Un confronto potente su cosa sia il mondo e il ricordo di esso, a colpi di cemento, gesso, plastilina, acrilici e colori iridescenti. Uno scenario primordiale e apocalittico al contempo, da vivere, attraversare, lasciando la traccia del nostro passaggio come tracce di passaggio e di ricordo sono le opere delle artiste. Le sculture di Nuti e le tele di Scarpa sono frutto di ricerche profonde, intime e personalissime portate avanti nel corso dell’anno pandemico e pensate appositamente per gli spazi della Bonomo.

Le forme plastiche di Lulù mutano e rinascono dal loro stesso guscio di materia, assumendo le sembianze ora di conchiglie fossili di primitivi fondali marini, ora di lembi cementizi di bandiere, eco di conquiste che hanno distrutto il mondo. Il cemento e il gesso hanno qualità plastiche camaleontiche e sono in grado di raccontare tanto la storia della loro creazione quanto la storia e i riferimenti che nascondono, in un rimando continuo di visibile e non visibile (come l’impatto del cemento sull’ecosistema per esempio).

Le tele di Delfina sono frammenti di paesaggi, di ricordi, di emozioni che, come filtrati dalla lente sfumata e onirica del colorato mondo dell’infanzia, si manifestano vibranti e potenti nella sua urgenza espressiva. ‘Rivelano geografie e ritratti di paesaggi’, per dirlo con Teodora di Robilant, simili a ‘non luoghi’ sovradimensionali e sovrastorici. Sono la traccia sfumata ed evanescente di percorsi intimi e personali. Delfina vive la sua tela, la sua creazione, i suoi colori; il suo sentimento è l’atto impaziente di una bambina che, usando le mani per stendere e impastare colori e idee, rimodella il mondo e l’intimo ricordo di esso. Strati di acrilico e acqua per dare forma a percorsi abituali, all’immaginario evocativo e fuori tempo che le appartiene senza cercare di ripetere il visibile ma, come sostenne Paul Klee, rendendo visibile l’invisibile.

Allo spettatore che esce dalla galleria rimane un senso di straneamento e la domanda ritorna: è questa la prima o l’ultima notte sul nostro pianeta?

Arianna Olivari

Info:

NUTI.SCARPA
LULÙ.DELFINA
Fino al 30 aprile 2021

Galleria Alessandra Bonomo
via Del Gesù 62 Roma

Lulù Nuti e Delfina Scarpa alla Galleria BonomoDelfina Scarpa, Motore, Remoto (dittico 2020), tecnica mista su tela (smalto, acrilico e olio), 180 x 150 cm; Lulù Nuti, Mari (installazione 2020-2021), aste modulari e cemento

Delfina Scarpa, Senza titolo (sempre Ninfa, luogo a me caro) 2021, tecnica mista su tela (acrilico e cera), 160 x 220 cm; Lulù Nuti, Sun Sulfur Iron I -VII, 2019, 18 x 48 x 35 cm (sopra) e 12 x 49 x 35 cm (sotto) pigmento, plastilina fosforescente e gesso; Nuti, Sun Sulfur Iron I -VII, 2019, 12 x 47 x 39 cm (top) e 14 x 45 x 39 cm (bottom). Pigmento, gesso e plastilina fosforescente; Lulù Nuti, Sun Sulfur Iron, 2019, 28 x 29 x 40 cm (chiuso) e 39 x 33 cm (aperto) cemento, pigmenti, metallo; Lulù Nuti, Sun Sulfur Iron, 2019, 24 x 48 x 47 cm cemento, pigmenti e metallo

Per tutte le immagini: NUTI.SCARPA / LULÙ.DELFINA installation view at Alessandra Bonomo Gallery; photo Simon d’Exéa


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