Ne Lo Spirituale nell’arte (1911) il pittore russo Vasilij Vasil’evič Kandinskij sottolineava il nesso tra la pittura e la dimensione immateriale: secondo la sua teoria il colore ha sia un effetto fisico, determinato dalla registrazione da parte della retina di una determinata tonalità, sia un effetto psichico, dovuto alla vibrazione che la visione del colore provoca nell’anima. Questo fenomeno non è provocato da un’associazione di idee, ma dalle qualità sensibili intrinseche a ciascun colore, ognuno dei quali ha un proprio suono interiore che tocca in modo diverso le corde emozionali dello spettatore. In base a queste considerazioni l’artista paragonava i colori a strumenti musicali e considerava la pittura come un potente mezzo per creare una relazione esperienziale fra quadro e osservatore che riusciva a suscitare nel pubblico risonanze ulteriori rispetto a quelle sollecitate e provocate dall’autore. Dalla scoperta della divisione dell’atomo inoltre il pittore russo traeva conferme sulla precarietà e sull’incertezza della realtà e sulla struttura vacillante della forma, per sua natura irriducibile a un disegno precostituito e fisso.
Le riflessioni di Kandinskij si rivelano quantomai attuali di fronte ai dipinti di Mahsa Sadat Mashhadi (b. 1986), giovane artista iraniana che dal 2015 si dedica alla pittura, dopo aver studiato con i migliori maestri nazionali, come Mohammad Afshari e Nilofar Ghaderi Nejad. Le sue grandi tele dipinte a olio mostrano vorticose composizioni di colori in cui la superficie è completamente saturata da segni e pennellate astratte mescolate a frammenti figurativi prelevati dal mondo reale in libera aggregazione gravitazionale. L’assenza di indicazioni spaziali impedisce un’organizzazione di lettura precisa: i suoi quadri si possono osservare partendo da un qualsiasi punto per poi percorrerli con lo sguardo secondo molteplici direzioni. Ma, dopo un iniziale spaesamento dovuto alla mancanza di riferimenti, la sensazione è che, come le opere musicali che hanno un tempo preciso di esecuzione, anch’essi abbiano nella scansione temporale una chiave di lettura e di accesso. Non possono essere compresi in un unico colpo d’occhio, sarebbe come ascoltare un concerto eseguito in un solo istante: tutte le note si sovrapporrebbero senza creare alcuna melodia.
I dipinti di Mahsa Sadat Mashhadi vanno invece letti soffermandosi su ogni singolo particolare, impiegando il tempo necessario affinché la percezione si traduca in sensazione psicologica, che può far risuonare sensazioni già note o farne nascere di nuove. Le pitture dell’artista iraniana si potrebbero paragonare a improvvisazioni sinfoniche composte da vari movimenti subordinati alla necessità interiore di cui il quadro è espressione diretta.
Se, come dice Kandinskij, “la forma è l’espressione esterna del contenuto interno” (e cioè della “risonanza interiore”) non ha più senso distinguere tra astrazione e lacerti di realismo, perché entrambi hanno già oltrepassato il mondo degli oggetti reali in nome di una superiore conoscenza istintiva ed emozionale. I colori e le forme di Mahsa Sadat Mashhadi si offrono quindi alla vista come qualcosa di vivo, non come obiettivo precostituito di un procedere artistico, ma come mezzo espressivo che sintetizza un attimo di infinita durata che diventa un tutt’uno con le sue implicazioni emotive e intellettuali.
Ogni porzione del dipinto, piccola o grande che sia, se considerata individualmente ha una propria valenza estetica affidata alla capacità del colore (e della forma in cui si manifesta) di sollecitare una sensazione interiore. E proprio i dettagli giocano un ruolo centrale nel processo creativo dell’artista che, ribaltando le prassi compositive accademiche, non vengono considerati come accessori da aggiungere quando lo schema generale è già consolidato, ma come elementi fondanti delle sue immagini, che solo se guardati attentamente permettono di cogliere il senso generale del dipinto.
La prismatica proliferazione sulla tela di segni e pennellate che scompongono la visione in infinite rifrazioni e prospettive è il risultato della particolare tecnica messa a punto dall’artista, che utilizza il supporto pittorico come una bozza da plasmare attraverso molteplici sovrapposizioni di tocchi colorati. Ciascuno di essi afferisce a differenti categorie di simboli e segni, che possono provenire dal vocabolario aniconico dello specifico pittorico come dalla campionatura mentale delle osservazioni dell’artista, la cui vivace curiosità si appunta di volta in volta su oggetti, persone, animali, piante, ambienti urbani o sulla texture dei materiali quotidiani analizzata da vicino.
Prima di “riconoscere” i singoli elementi, l’osservatore deve accettare di intraprendere un viaggio verso l’inconscio, verso il mondo del sogno e dell’interiorità, seguendo il famoso suggerimento di Paul Klee: “l’arte non rappresenta il visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Solo con quest’approccio le grandi tele di Mahsa Sadat Mashhadi si riveleranno come meravigliosi universi condensati in cui la costante tensione tra ordine e disordine si risolve in felicità cromatica e armonia compositiva.
Il dialogo fra colore, linea e forma, fatto di consonanze e dissonanze abilmente orchestrate, rivela tutta la sua conoscenza della storia dell’arte (si intravedono per esempio ricordi dei vertiginosi cieli barocchi della pittura italiana o del raffinato horror vacui della Secessione Viennese) che viene reinterpretata con gamme cromatiche e gestualità assolutamente contemporanee. Contemplando la pittura, lo spettatore è invitato ad addentrarsi con la mente e le emozioni nella caleidoscopica metamorfosi di una visione empatica, capace di penetrare i suoi ricordi più intimi e riempirli di nuova vita e nuovo colore.
Emanuela Zanon
Mahsa Sadat Mashhadi, Celebration, Painting, Oil Color, 2017
Mahsa Sadat Mashhadi, Coexistence of Strangers, Painting, Oil Color, 2017
Mahsa Sadat Mashhadi, Damaged but Beautiful, Painting, Oil Color, 2016
Mahsa Sadat Mashhadi, Dance of Colors, Painting, Oil Color, 2016
Mahsa Sadat Mashhdi, Seasons, Painting, Oil Color, 2017
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