In questi giorni l’antico borgo di Colle Ameno, nei pressi di Sasso Marconi (Bologna), ha ripreso vita grazie una serie di eventi organizzati nell’ambito delle residenze artistiche indette dal comune bolognese. Tra le Nuove Narrazioni che si estenderanno nel corso dell’anno troviamo Capital Project Art Residence Program, collettivo formato da Marcello Tedesco, Silla Guerrini, Francesco Di Tillo, Luca Veggetti e Moe Yoshida. Nella suggestiva cornice di Villa Davia – inaugurata per l’occasione a seguito del recente restauro – è in corso, fino al 16 settembre 2020, la mostra Forme di discontinuità, frutto degli sforzi di questo prima periodo di residenza. Abbiamo incontrato Marcello Tedesco per farci raccontare questa nuova esperienza.
Antongiulio Vergine: Com’è nato Capital Project e come si inserisce nelle Nuove Narrazioni di Colle Ameno?
Marcello Tedesco: Capital Project Art Residence Program è nato a seguito del bando pubblico che il Comune di Sasso Marconi ha indetto con lo scopo di assegnare alcuni studi d’artista adiacenti a Villa Davia, nel borgo di Colle Ameno. L’idea del progetto è quella di riportare il borgo alla sua originaria vocazione di Città Ideale, ovvero un luogo nel quale le varie componenti della comunità vivono in un laborioso equilibrio. Abbiamo deciso di partecipare perché in questa operazione erano già presenti alcuni punti che intendevamo affrontare, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra la dimensione culturale, giuridica ed economica. Il gruppo di artisti che lavorerà durante l’anno di residenza è formato, oltre che dal sottoscritto, anche da Francesco Di Tillo, Silla Guerrini, Luca Veggetti e Moe Yoshida. Naturalmente non si tratterà di produrre opere d’arte in senso tradizionale – o perlomeno non solo – quanto piuttosto di inaugurare una prassi artistica capace di inserirsi attivamente nelle dimensioni citate prima.
Qual è il senso che sta dietro la mostra Forme di discontinuità?
La mostra è stata fortemente voluta dall’amministrazione di Sasso Marconi e dal sindaco Roberto Parmeggiani, il quale desiderava dare un segnale forte proprio attraverso l’arte, l’unica in grado di comunicare nella maniera più immediata. Per quanto ci riguarda l’abbiamo vissuta come una sfida e una possibilità di immergersi in un progetto del tutto nuovo, sotto tutti i punti di vista. Dai primi sopralluoghi a Villa Davia abbiamo immaginato collettivamente di costruire una sorta di mostra-astronave che fosse in grado di abbandonare tutto ciò che è già conosciuto – le consuetudini, i conformismi – e che fosse capace, quindi, di trasportarci verso territori di pensiero non ancora esplorati – obiettivo, in fondo, della nostra esperienza in questa residenza. Ci siamo immedesimati, dunque, con una certa dose di umorismo, nelle figure di artisti-esploratori in viaggio su questa mostra-astronave verso mondi completamente ignoti.
Le vostre opere dialogano perfettamente con il contesto di Villa Davia e sembra che abbiano abitato da sempre le sue sale. Quali sensazioni hai provato nel rapportarti con questo luogo così suggestivo?
La prima cosa che abbiamo avvertito tutti è l’incredibile fascino emanato dagli spazi della villa, costruita nel XVIII secolo. Questo luogo, incredibilmente esteso e labirintico, ci è parso fin da subito vivo e con una sua intelligenza cosciente. Nel corso dei vari sopralluoghi abbiamo provato infatti la sensazione che lo spazio fosse in grado di rilasciare dei messaggi, e, un po’ come accade nei film di Andrej Tarkovskij, si è creata una vera e propria osmosi tra noi e l’architettura. E da questa fusione è come se si fosse generata una nuova architettura, con una funzione inedita. La divisone delle sale e la disposizione delle opere rimandano all’idea dell’astronave di cui parlavo prima: ci sono infatti una cabina di pilotaggio, c’è un equipaggio, un motore, una sala per l’orientamento e così via. C’è poi una sala molta buia che costituisce l’inconscio di questa astronave, perché questo veicolo non rappresenta soltanto una semplice macchina ma un vero organismo vivente.
Tornando a Capital Project, quali sono le dinamiche che regolano il vostro lavoro? Vi confrontate sulle opere da realizzare, lavorando a stretto contatto, oppure sviluppate dei discorsi individuali che si uniscono al momento della mostra?
La struttura che regola il lavoro all’interno dello studio è quella di un collettivo, quindi ogni artista segue un progetto proprio che poi condivide con gli altri e ognuno dà il suo apporto. Come ti dicevo prima non si tratterà solo di produrre delle opere d’arte, quanto di lavorare alla messa a punto di una prassi creativa inedita dove la dimensione sociale si fonde con quella individuale. Un esempio è dato dalla registrazione audio che accoglie lo spettatore in Forme di discontinuità, nella quale tutti insieme ci siamo confrontati sui nostri lavori in un discorso che è esso stesso un’opera d’arte, una sorta di scultura sonora frutto del processo creativo che ci ha unito tutti.
Quale rapporto, secondo te, lega l’arte a questioni pratiche come quelle economiche, giuridiche e sociali? Alcuni potrebbero pensare che non c’entri assolutamente nulla con tutto questo…
Dunque, se consideriamo l’arte in senso tradizionale, i rapporti che la legano alla dimensione economica sono quelli che tutti conosciamo, ovvero quelli inerenti il mercato dell’arte. I rapporti con la dimensione giuridica sono invece più sottili e riguardano la modalità secondo cui un potere decide di volersi rappresentare. A questo punto subentra la dimensione culturale, la quale può essere usata da un determinato potere in maniera strumentale, con il rischio che diventi solo uno strumento di consenso o uno dei tanti ambiti che creano un determinato clima emotivo. Questa, dal mio punto di vista, è già una rappresentazione del potere, qualcosa di indotto che poi diventa la realtà nella quale tutti sono costretti a vivere. Naturalmente oggi tutto questo avviene in maniera sottile e, per certi versi, in una dimensione inconscia della società – aspetto, questo, che può diventare pericoloso a lungo andare. Inoltre bisogna notare che oggi la dimensione giuridica è a sua volta fortemente condizionata dalla dimensione economica: questo fenomeno crea un clima nel quale l’azione di ognuno danneggia programmaticamente quella dell’altro. Il discorso è molto complesso, e ho davvero sintetizzato molto. Quello che a noi interessa, comunque, è permeare di pensiero creativo la vita giuridica, economica e culturale in un’ottica assolutamente non antagonista, né tanto meno polemica. Semplicemente vogliamo iniziare a occuparci di aspetti costitutivi della vita umana che fino ad ora abbiamo lasciato pensare ad altri, ritenendoli, erroneamente, ambiti troppo complessi da trattare. La sfida che l’ambito culturale deve accogliere oggi è quella di non temere l’elaborazione di questa complessità; diversamente la marginalità del discorso culturale sarà sempre più estesa. Inoltre, continuare a considerare esclusivamente opera d’arte oggetti e manufatti di vario tipo è attualmente una retroguardia piuttosto comica.
Ultima domanda: state già pensando ai futuri progetti che caratterizzeranno la vostra residenza? Qualche anticipazione su quello che accadrà nel corso dell’anno.
Certamente la priorità sarà conoscere bene gli abitanti di Colle Ameno e gli altri artisti e artigiani che hanno vinto il bando di residenza, con i quali sicuramente collaboreremo. Quello che posso dirti è che tutti noi sentiamo l’esigenza di creare una prassi di tipo collettivo per cui l’individuo si pone rispetto all’altro – che sia un individuo o un’istituzione è indifferente – in un’ottica di cooperazione e non di competizione. In questo sta la vera forma di discontinuità rispetto a ciò che succede nel mondo.
Antongiulio Vergine
Info:
Forme di discontinuità, Colle Ameno, Sasso Marconi (BO)
4 settembre – 16 settembre 2020
@capital_project_colle_ameno
Francesco Di Tillo, Matrice per una dimensione giuridica, 2020
Luca Veggetti, Appunti per un teatro scomparso, 2020
Marcello Tedesco, Involucro, 2019
Silla Guerrini, Regina del sole, 2020
Nato a Campi Salentina (LE). Dopo la facoltà triennale di Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali presso l’Università del Salento, frequento il Corso di Laurea Magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. Ho collaborato con la Galleria d’Arte Maggiore g.a.m. di Bologna e con il MUMA – Museo del Mare Antico di Nardò (LE). Mi interessano le vicende riguardanti l’arte contemporanea, in particolare quelle legate alle pratiche video-fotografiche e performative. Scrivo per ATPdiary e Juliet Art Magazine.
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