Negli ultimi anni, l’ubiquità della fotografia digitale e la diffusione dei nuovi media hanno cambiato radicalmente lo status dell’immagine, ampliandone potenzialmente all’infinito le possibilità di metamorfosi e di auto-generazione. Se da un lato l’esplosione del virtuale sembra aver allentato il rapporto dell’individuo con la realtà materiale proiettandolo in una dimensione ambigua in cui tutto e niente sembra possibile, dall’altro le opere realizzate con questi strumenti, pur rivendicando l’appartenenza a un loro specifico immaginario, appaiono animate da una sottile competizione con l’esperienza tangibile, che si impegnano a riprodurre e “aumentare” con sofisticate tecniche di mimesi. Queste apparenti contraddizioni sul piano logico, e la labilità dei confini delle percezioni a esse legate, dimostrano come le contaminazioni epistemologiche innescate dalla rivoluzione digitale di cui oggi ci rendiamo conto siano solo la prima emersione di un regno ancora da esplorare.
Paradigmatico rispetto a queste riflessioni è il lavoro di Marco Jacconi, è artista multimediale con sede a Zurigo, noto a livello internazionale per le sue ipnotiche composizioni astratte che visualizzano misteriosi paesaggi mentali in cui forme e colori puri sembrano espandersi nel vuoto, incorporando frammenti irriconoscibili di realtà alla deriva. Per approfondire la sua poetica, abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
Camilla Pappagallo: Hai iniziato la tua carriera come direttore creativo nel campo della grafica digitale per poi dedicarti completamente all’arte. Cosa ti ha insegnato questa esperienza e quali ragioni ti hanno portato a diventare un artista?
Marco Jacconi: Le capacità tecniche di padronanza del mezzo sono state sicuramente influenzate e arricchite dalla mia esperienza professionale. In termini di contenuto e concetto sono due mondi separati che, nel mio caso, non hanno nulla in comune tra loro. Nel mio lavoro artistico ho un approccio assolutamente libero, personale, piuttosto sensuale e mistico. Ispirato da Giorgio de Chirico, Salvador Dalì e Joan Miró, ho iniziato a creare ed esporre arte a vent’anni. A quel tempo realizzavo dipinti acrilici surreali di grande formato. Sulla scia del movimento techno emergente, negli anni ’90 io e il mio (allora) socio in affari Marco Simonetti abbiamo fondato l’agenzia di design Walhalla, dove ci occupavamo principalmente di grafica progressiva e arte digitale di stampo subculturale. I nostri lavori di quel periodo sono stati esposti assieme a quelli di Ugo Rondinone e Sylvie Fleury alla Kunsthalle di Berna. Nonostante faccia arte da molto tempo, la morte di un familiare qualche anno fa ha sicuramente avuto un impatto importante sul mio lavoro e mi ha reso consapevole non solo della fragilità della vita, ma anche della mia. Il successivo lavoro sul lutto e l’esplorazione interiore alla fine mi hanno portato a una maggiore presenza, consapevolezza e potere creativo. Queste componenti hanno ispirato il mio attuale progetto “Shapes of the deep”.
Le tue composizioni astratte si basano su un complesso processo di sovrapposizione e compenetrazione di forme, superfici e livelli, attraverso il quale attui quella che vorrei definire una ricerca esistenziale dell’essenzialità. Vorresti raccontarci più nel dettaglio (ovviamente senza svelare i tuoi segreti tecnici) la genesi dei tuoi lavori?
Il progetto “Shapes of the deep” riguarda la ricerca di un linguaggio ottico che permetta di catturare una dimensione ulteriore rispetto al mondo delle apparenze. Molti contrasti e contraddizioni entrano in gioco nei miei lavori, come drammaticità e armonia, luce e oscurità, delicatezza e brutalità. Un estremo non può esistere senza l’altro. C’è qualcosa di misterioso in queste polarità, una volta che si è trovato un punto di equilibrio. Sottolineo questi opposti attraverso contrasti di colore e forma, contrasti di nitidezza e punti di riposo, nonché un forte uso di luci e ombre. Questi contrasti alla fine creano una differenza di tensione che irradia energia e vivacità. Nell’attuale progetto “Shapes of the deep” sono quindi concentrato sull’esplorazione della totalità.
Sono molto affascinata dalla spazialità delle tue immagini, che sembrano rifiutare il tradizionale concetto di profondità intesa come tridimensionalità per proiettare lo sguardo in una sorta di “multidimensionalità” impossibile da misurare e circoscrivere, in cui l’assenza di spessore, paradossalmente, sembra portare a una proliferazione esponenziale di livelli e dimensioni. Cosa vorresti dirci a riguardo?
Le superfici e le forme nel mio lavoro si sovrappongono e si compenetrano fino a far emergere le profondità. Sono queste profondità che sto cercando di esplorare. Non controllo consapevolmente questo processo creativo intuitivo, ma piuttosto lo accompagno. Quindi, è contemporaneamente un lavoro attivo e passivo. Non c’è inizio né fine nelle mie immagini. Né prima né dopo. Tutto è interconnesso e avviene all’interno di un processo molto dinamico e giocoso. Traggo ispirazione dal processo di lavoro stesso. Una forma mi conduce all’altra, con l’obiettivo di espandere il mio lavoro nel vuoto, che alla fine porta alla pace e alla presenza.
Un altro aspetto che mi colpisce è la particolare qualità della luce nelle tue opere, una luce endogena e mentale che sembra indagare l’essenza spirituale dello spettro cromatico, ma cerca anche con un approccio quasi teatrale l’evento generato dall’interazione tra diverse luminosità. Qual è il tuo rapporto con la luce?
L’illuminazione è un criterio centrale nel mio progetto “Shapes of the Deep”. Uso forti contrasti tonali tra chiaro e scuro per modellare forme tridimensionali e ottenere un effetto drammatico. La luce penetra in un ambiente avvolto da una profonda oscurità con fasci nitidi. Paesaggi astratti e mondi d’ombra emergono dalle superfici e irradiano qualcosa di misterioso, drammatico, quasi sacro. È così che posso vivere, contemplare ed esprimere momenti sublimi.
Uno dei tuoi progetti più recenti e importanti è “Shapes of the Deep”, una serie digitale ispirata dall’intento di “rendere visibile l’invisibile”. Vuoi svelare qualcosa in più su questo progetto?
In questo progetto il mio obiettivo è penetrare nelle sfere spirituali e rendere visibile il misterioso invisibile. Si potrebbe immaginare il mio stile di lavoro come un processo di nuoto e immersione: se il nuotatore rimane in superficie, pensa e agisce consapevolmente. Ma il grande segreto è sotto la superficie. Ogni volta che il nuotatore si tuffa e rimane lì a lungo potrebbe portare alla luce qualcosa di speciale. Il mio processo artistico è un’interazione tra l’immersione nel mare dell’inconscio e il vedere e valutare attraverso il conscio in superficie. Il mio inconscio individuale è radicato nell’inconscio collettivo e costituisce una vasta risorsa di esperienza personale e umana ancorata a simboli e miti. Voglio plasmare e rendere visibile ciò che promana dalla mia anima. Il mio processo creativo consiste nel penetrare dalla superficie per esplorare l’essenza e la verità delle cose. L’opera attraversa innumerevoli metamorfosi in questo viaggio di avventura visiva fino a trovare la sua forma finale. Ogni immagine è energia visualizzata: è come se qualcosa dall’interno penetrasse verso l’esterno – come se le superfici fossero sotto pressione. Come se ci fosse qualcosa da scoprire dentro. L’arte digitale mi permette di lavorare in modo dinamico, flessibile ed esplorativo. Le innumerevoli opzioni e le possibili combinazioni di questo mezzo si adattano molto bene al mio modo di lavorare libero e intuitivo.
Concluderei la nostra conversazione parlando della tua produzione NFT: al di là del fatto di integrare un certificato di autenticità e proprietà nel file che costituisce l’opera, quali pensi siano gli orizzonti più specificamente creativi di questo nuovo tipo di arte?
Gli NFT sono progettati per darti qualcosa che non può essere copiato: la proprietà dell’opera (sebbene l’artista possa ancora mantenere il copyright e i diritti di riproduzione, proprio come con un’opera d’arte fisica). Per dirla in termini di collezionismo d’arte fisica: chiunque può acquistare una stampa di Monet, ma solo una persona può possedere l’originale. Ma gli NFT sono più di una semplice parentela. Stanno cambiando la vita e forse anche il mondo dell’arte. La comunità NFT è un incubatore per l’innovazione — nel campo dell’arte, della tecnologia, della costruzione di comunità e della filantropia. Nel corso del tempo, gli NFT hanno promosso una comunità enorme e vivace che ha molte implicazioni ulteriori rispetto al denaro o all’arte. Lo spazio virtuale è diventato un luogo in cui le vite possono cambiare e cambiano e dove le persone, il più delle volte, sembrano voler prendersi cura l’una dell’altra. L’elenco delle nuove possibilità e dei problemi senza risposta offerti dagli NFT è lungo. Sembra che gli NFT non scompariranno davvero. Tuttavia, resta da vedere fino a che punto il fenomeno si affermerà.
Info:
Marco Jacconi’s portrait, ph Tobias Stahel, courtesy the artist
Marco Jacconi, Catharsis, digital painting, 2020, courtesy the artist
Marco Jacconi, Mosca bianca (White fly), digital painting, 2020, courtesy the artist
Marco Jacconi, L’isola che non c’è (Neverland), digital painting, 2021, courtesy the artist
Laureata in arte contemporanea, collabora con varie gallerie d’arte contemporanea, fondazioni private, centri d’arte in Italia e all’estero.
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