Viviamo in un’epoca satura di immagini: in ogni istante ne vengono prodotte a migliaia anche in modo indipendente dall’azione umana grazie a dispositivi di controllo automatizzati che registrano l’incessante passaggio di uomini, veicoli e merci negli spazi in cui si svolgono le nostre esistenze. La maggior parte di queste immagini non hanno né scopo estetico, né conoscitivo, ma sono freddamente funzionali: non basterebbe una vita per guardarle tutte e sarebbe impossibile ricordarle. Da sempre le immagini sono strettamente legate alla commemorazione, incarnano la lotta impari dell’uomo contro la fugacità e l’irreversibilità del tempo, esprimendo una concezione tragica della vita come inesorabile perdita e consumo. Commemorare i morti attraverso le immagini significava avvicinare ambiti temporali naturalmente destinati a rimanere separati e invocare la presenza e il ritorno degli assenti. L’eterno presente veicolato dall’iper connessione digitale e l’esponenziale moltiplicazione delle immagini oggi non più vincolate a un supporto materiale hanno radicalmente cambiato il nostro rapporto con la memoria e con la sua rappresentazione visibile. Anche le immagini hanno perso la loro aura sacrale e magica per diventare a loro volta oggetti di consumo effimeri e superficiali, incapaci di suscitare un contatto diretto con l’origine delle nostre emozioni.
Riflette su queste tematiche e sulla necessità di ripristinare il valore fondante e immaginifico del ricordo il lavoro di Maria Ossandon Recart (1986, Santiago of Chile), giovane artista apprezzata a livello internazionale, impegnata a recuperare la dimensione poetica di tematiche quali il tempo, la memoria, la metamorfosi e la rinascita delle immagini. La serie intitolata “Ricostruzione” nasce da una collezione di frammenti di ceramica dipinta che l’artista ha accresciuto nel tempo durante i suoi viaggi in diversi luoghi del mondo, come Germania, Danimarca, Inghilterra e Giappone. Da sempre interessata alla rappresentazione del paesaggio in miniatura, significativo per la peculiare commistione di artificialità e realtà che sottende, Maria Ossandon Recart ha iniziato a curiosare nelle fiere d’antiquariato e nei mercatini dell’usato in cerca di ceramiche in diversi stati di conservazione accomunate da raffigurazioni paesaggistiche di maniera. Questi oggetti, un tempo suppellettili domestiche o complementi d’arredo che abbellivano le case di famiglie di diversa nazionalità, oggi sembrano anacronistici reperti di un passato che sopravvive solo nel ricordo dei più anziani.
L’artista, appropriandosi delle scene in miniatura raffigurate su questi pezzi, si fa metaforicamente custode anche delle invisibili storie che nel corso degli anni si sono aggrappate a quegli oggetti, diventando l’ultima testimone dello stile di vita che essi riflettono, altrimenti destinato a scomparire completamente. L’attitudine archeologica che anima la sua collezione, in cui è centrale l’attitudine a prendersi cura e a proteggere, è solo la prima fase di un processo più complesso, che esplora in profondità le fragili possibilità di resistenza dell’immagine nella società del consumismo. Ogni frammento di ceramica è infatti il punto di partenza per un disegno più ampio che completa la scena resa lacunosa dalla frattura attraverso una rielaborazione grafica che tenta di ricostruirne il contesto mancante. L’artista si accosta all’operato degli anonimi artigiani del passato con estrema sensibilità nel coglierne lo stile a cui cerca di mantenersi fedele, ma allo stesso tempo rielabora le scene basandosi sulle risonanze che i suggerimenti figurativi esistenti esercitano sulla sua memoria e sulla sua fantasia.
Nel bianco rarefatto del foglio da disegno, che sembra smaterializzare e concettualizzare l’originario fondo ceramico che ospitava le miniature, sottili tratti a inchiostro circondano ogni frammento come per ricucire il suo isolamento dal mondo e ricreano attorno ad esso un altro ecosistema minimale e idealizzato che ne riporta in vita il potenziale narrativo, arricchendolo di nuove suggestioni. A questo modo l’artista materializza un passato che non è il suo, ma che le appartiene intimamente perché riesce a dialogare con le sue esperienze personali. La dimensione ridotta di questi lavori, che richiedono un’osservazione ravvicinata, elimina la distanza tra l’opera e lo spettatore, che si ritrova immerso in un delicato microcosmo sospeso a metà tra il ricordo e il sogno. In punta di piedi per non rovinare l’incantesimo, ci possiamo quindi avventurare in una coltivata campagna britannica diretti al castello che si intravede al di là della collina, possiamo passeggiare in un villaggio fiammingo con le strade ancora sterrate, partecipare a una romantica gita in barca sul fiume oppure ammirare l’eleganza dei fiori di un raffinato giardino giapponese. Le rare silhouettes umane che compaiono in queste scene, più che alludere a personaggi precisi, sembrano assolvere la funzione di anfitrioni pronti ad accogliere nel loro spensierato consorzio anche la parte più genuinamente infantile delle nostre fantasie. La stilizzazione degli elementi figurativi non impedisce l’immedesimazione, a riprova del fatto che la conoscenza e l’immaginazione (e quindi anche la creazione) si basano su un processo di riconoscimento di immagini già latenti nel nostro inconscio.
Il lavoro di Maria Ossandon Recart individua la missione dell’arte nel «raccogliere» le cose per liberarle dalla transitorietà e dalla polvere dell’oblio, nel far durare nel tempo il loro breve passaggio nella coscienza, ripristinando lo stupore e la meraviglia dell’uomo di fronte al mondo e di fronte a sé stesso. Il suo approccio atemporale, che non teme di accordare fiducia agli anacronismi e alle sopravvivenze delle forme, implica che le immagini non sono entità indipendenti, al di fuori di noi, non sono separabili dalle nostre esperienze o dai nostri desideri ma nascono dalla nostra armonia con l’universo a cui apparteniamo e che vive anche in noi.
Info:
Maria Ossandon Recart, Reconstruction series. Drawing, Mixed Media, 2018
Maria Ossandon Recart, Reconstruction. Drawing, Pen-Ink Drawing, 2017
Maria Ossandon Recart, Reconstruction. Photography, Pen-Ink Drawing, 2017
Maria Ossandon Recart, Reconstruction. Drawing, Pen-Ink Drawing, 2017
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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