Studio G7 prosegue la stagione espositiva con una nuova proposta di dialogo tra un artista storico della galleria, fondata nel 1973 da Ginevra Grigolo e ora guidata dalla giovane Giulia Biafiore, e una new entry selezionata tra i più talentuosi emergenti afferenti all’ambito concettuale e non figurativo, che rappresenta la prevalente linea di ricerca della galleria. La bipersonale di Mariateresa Sartori (Venezia, 1961) e Caterina Morigi (Ravenna, 1991) presenta un’associazione inedita tra due artiste di generazioni differenti che, attraverso linguaggi e procedimenti di formalizzazione diversi, scoprono in questo confronto di partire da presupposti molto simili per operare un’interrogazione delle intrinseche dinamiche della materia finalizzata a far emergere le implicazioni epistemologiche della sua conformazione fisica e chimica.
Mariateresa Sartori incentra le opere in mostra sull’esplorazione della più immateriale delle sostanze, ovvero l’aria considerata nelle differenti declinazioni di fiato, vento ed espirazione. La poetica dell’artista veneziana è incentrata sulla concettualizzazione artistica della tensione dell’essere umano verso una conoscenza destinata a rivelarsi sempre incompleta perché fondata su basi aleatorie e si estrinseca in procedimenti caratterizzati da empirici automatismi in cui gli strumenti della pittura vengono utilizzati come dispositivi di rilevazione di invisibili forze in atto. Il corpus di lavori presentato in questa occasione abbozza una sorta di frammentaria dimensione domestica, in cui la rigorosa concisione formale di ogni elemento nasconde in realtà incontrollabili dubbi e tensioni. La serie Spifferi domestici (2021) è ad esempio composta da disegni che “fotografano” le correnti d’aria presenti nella casa dell’artista senza necessità di un suo diretto intervento. Nei punti delle stanze attraversati da refoli, Sartori ha infatti installato il suo anemometro artigianale, cioè un bastone con una terminazione di sottili fili di lana intinti in olio di lino e pigmento nero, che in base all’intensità e alle direzioni del vento produce ciascun lavoro imprimendo una traccia irripetibile su un foglio bianco. Questo rudimentale pennello, libero di muoversi perché fissato a corde, e la particolare carta-pietra utilizzata che non offre nessun attrito al pigmento, sono strumenti sensibilissimi a qualsiasi cambiamento d’aria, all’origine di un’infinita varietà di configurazioni visive. Se in questo caso l’artista si è limitata a predisporre il dispositivo e a lasciarlo agire per poi considerarne i risultati, in Evidenzia del soffio (2022) il suo apporto appare più intimo, pur continuando a essere fondato su una precisa predeterminazione del processo. A ogni foglio di questa serie è stata infatti preventivamente applicata una porzione circolare di colla trasparente, la cui funzione è quella di trattenere la polvere di pigmento che Sartori posiziona in un angolo per poi spargerlo nell’aria con la sua naturale espirazione. La tridimensionalità e le volute interne di questi preziosi aggregati di colore puro circonfusi di impercettibili sbavature diventano affascinanti epifanie della creazione di nuovi mondi tramite il respiro in un’improvvisa rivelazione dell’intento poetico sotteso a questa azione apparentemente così ordinaria. L’approccio è invece più mentale in Elenco dell’aria (2022), una tela composta da moduli quadrati realizzata sempre con la tecnica del soffio di pigmenti su carta preparata con colla (questa volta attraverso un’apposita cannuccia a causa delle grandi dimensioni dell’opera). Qui le polveri di fusaggine argentata sono state inizialmente distribuite sullo spigolo inferiore di ciascun quadrato e il loro spargersi al momento del soffio rende visibile un catalogo di paesaggi di impossibile sistematizzazione e archiviazione, la cui giustapposizione sulla tela materializza un’ulteriore ambientazione, misteriosamente immersiva nella sua frammentarietà. In Do infinito (2022), opera sonora composta da registrazioni di do di petto (un’altra tipologia di emissione d’aria) eseguiti da cantanti lirici in cui la nota viene trattenuta sempre più lungo, ritorna in forma ancora più dematerializzata l’idea di mosaico di infinite “oggettività soggettive” e la tensione di un anelito a un’irrealizzabile esaustività in cui la meccanicità dei procedimenti è intrisa di implicazioni esistenziali.
L’indagine di Caterina Morigi è invece focalizzata sul rapporto tra micro e macro della materia e sull’esplorazione di nuove ipotesi di ibridazione tra la dimensione naturale e quella artificiale con finalità di scoperta e conoscenza, che trova fondamento nella rielaborazione in chiave contemporanea del concetto di mimesi. Le opere in mostra riflettono sulla doppia accezione dell’idea di “cratere”, inteso sia come cavità imbutiforme che costituisce l’orifizio del camino di un vulcano e sia come vaso a larga imboccatura, spesso preziosamente decorato, nel quale gli antichi Greci e Romani preparavano la miscela di vino e acqua che veniva servita nei banchetti. Esplorando le conseguenze materiche dell’ibridazione di questi due significati e dell’imperfetta coincidenza tra le due identità, l’artista ha immaginato una serie di sculture in cui forma e sostanza vengono manipolate per renderle il più possibile aderenti alle implicazioni concettuali che derivano dalla collisione delle due differenti suggestioni. Per questo Morigi, il cui processo creativo è mappato in un diario di progetti, annotazioni e disegni esposto in mostra sotto forma di video, elabora delle ceramiche a incastro prendendo spunto da entrambe le accezioni di cratere, che s’inscrivono in modo sorprendentemente complementare in ciascun oggetto scultoreo. Le sue coppe sono infatti realizzate mescolando materiali lavici da lei raccolti sull’Etna all’argilla fresca ancora da modellare, anch’essa nera perché proveniente da una zona lavica, con l’aggiunta di iridescenti lacerti di conchiglia. La passione per la pietra, che in alcuni suoi precedenti progetti sfociava in una lenticolare osservazione delle sue venature superficiali e nella ricerca di similitudini con la texture della pelle umana, qui la spinge a non modellare direttamente con le mani l’argilla, ma a farlo attraverso una pietra-utensile che diventa protesi e al tempo stesso matrice, dal momento che la consistenza superficiale dei vasi deriva dalla ripetizione dell’impronta della pietra grezza nella materia. In fase di cottura i frammenti di lava si sciolgono generando cavità e colature lattiginose che per analogia richiamano le tonalità perlacee dell’interno delle conchiglie, a loro volta presenti sia sotto forma di inserti e sia in negativo come impronte anteriori alla cottura. La coerenza dei risultati pur nell’imprevedibilità del processo, che non permette all’artista di conoscere a priori il comportamento in fase di cottura di concrezioni laviche di differente composizione e resistenza, rafforzano l’idea, sottesa a tutta la produzione artistica di Morigi, che uomo e natura siano parte di uno stesso sistema di relazioni all’interno del quale si possono individuare inesauribili ipotesi di simbiosi, generate dall’associazione di concetti in base alle loro analogie a livello di forma e di sostanza. Anche qui ritornano, con una declinazione tridimensionale, la nozione di mimesi e l’intento di riprodurre il reale dopo averlo destrutturato per permettere ai materiali di compiere associazioni che, senza l’intervento dell’artista, sarebbero destinate a rimanere latenti. L’approccio di Morigi appare sempre più orientato a traslare in chiave poetica metodologie condivise anche dalla sperimentazione scientifica, come si rileva, ad esempio, dal fatto che la scelta di includere nella sua ricerca visiva la conchiglia derivi da una collaborazione con un laboratorio dell’Istituto Ortopedico Rizzoli in cui si studia la possibilità di ricostruire le ossa umane proprio con questo materiale, rivelatosi talmente compatibile da riuscire a innescare la naturale ricrescita dell’osso danneggiato.
Info:
Caterina Morigi | Mariateresa Sartori
a cura di Laura Lamonea
29/04/2022 – 10/09/2022
Galleria Studio G7
Via Val D’Aposa 4A, Bologna
Caterina Morigi | Mariateresa Sartori, installation view at Studio G7, courtesy Studio G7, Bologna
Mariateresa Sartori, Evidenza del soffio, 2022, aria, fusaggine argentata, pigmenti e colla su carta cotone, cm 30 x 30 cad., courtesy Studio G7, Bologna
Mariateresa Sartori, Elenco dell’aria, 2022, aria, fusaggine argentata su tela, cm 124 x 215, courtesy Studio G7, Bologna
Caterina Morigi, Cratere, Faenza, 2022, terra semirefrattaria e porcellana, dimensioni variabili, courtesy Studio G7, Bologna
Caterina Morigi | Mariateresa Sartori, installation view at Studio G7, courtesy Studio G7, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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