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Mario Schifano e gli anni Ottanta da Repetto Gallery, a Lugano

Per consuetudine si definisce Scuola romana un eterogeneo gruppo di pittori attivi a Roma tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento. L’espressione fu coniata dal critico George Waldemar nel testo di presentazione dei pittori Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Emanuele Cavalli ed Ezio Schiavi, per la mostra alla Galerie Bonjean di Parigi, nel 1933. In seguito questa definizione incorporò altri autori attivi nella capitale in quel periodo, sebbene afferenti a stili assai diversi tra loro, come Scipione e Mafai della cosiddetta Scuola di via Cavour, i cui slanci espressionistici si ponevano in contrasto con l’arte ufficiale di Sironi e Funi che incarnavano con la loro solidità e i richiami al classicismo la poetica del ritorno all’ordine.

Mario Schifano, vista della mostra “Schifano. Pittura felice” da Repetto Gallery, 2024, courtesy Repetto Gallery, Lugano

La seconda ondata della Scuola romana fa capo ai pittori di Piazza del Popolo e al mitico Caffè Rosati che fungeva da punto di incontro. I nomi d’oro di quell’epoca sono quelli di Tano Festa e Mario Schifano. Ma la storia non finisce qui. Roma è un epicentro di energie e di flussi culturali, tanto che a partire dagli anni Ottanta, poco dopo l’affermarsi del fenomeno della Transavanguardia, si parlò di una Nuova Scuola Romana per definire i sei artisti di via degli Ausoni (che avevano i loro studi collocati sotto nel comprensorio dell’ex Pastificio Cerere): Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli. In realtà potremmo riferirci anche a un’appendice, ovvero all’ironico titolo che Claudio Massini coniò, nel 1991, per una performance pittorica che vide la partecipazione di Carlo Fontana, Nicola Busato e Marco Fintina, i quali, in costume da antichi romani, fingevano di dipingere e laccare le opere che poi venivano messe in mostra. La mostra in effetti era fatta a due, con le opere di Claudio Massini affrontate a quelle di Piero Gilardi, il titolo è: “Scuola romana originale” e l’immagine sta nel fascicolo “Bestio!” pubblicato da Juliet nel 1993.

Mario Schifano, “Biplano”, 1982, smalto, pennarello e pastello su carta applicata su tela, 105 x 145 cm, courtesy Repetto Gallery, Lugano

Torniamo ora a Schifano e alla Scuola di Piazza del Popolo. Si era negli anni Sessanta e dall’altro lato dell’oceano arrivavano notizie di un rigurgito figurativo che metteva nel suo mirino la società dei consumi e le sue icone: i fumetti, il cibo, l’immagine dei divi o di personalità celebri. Se i precursori li identifichiamo in Rauschenberg e Johns, il campione divenne, in breve tempo, Andy Warhol. Tutto questo era nell’aria e i segnali erano forti anche da altri paesi europei e prese il nome di Pop Art e con una marcia trionfale questa pittura non solo riportò la poetica dell’opera alla consustanzialità delle “cose stesse”, ma spazzò via i residui dell’arte informale, cioè tutti quei rigurgiti astratti che le gallerie continuavano a trattare con i nomi di epigoni che non avevano più alcun vero legame con la Scuola di New York. Schifano visse questa transizione epocale, e mischiando le gocciolature di colore (la fisicità della pittura) con le sigle della modernità, pose sul trono delle icone i marchi della Coca-Cola e della Esso. Fu un’azione dirompente che trova un collegamento solo con le lettere (autarticamente nere, più rare quelle con tocchi di colore) di Jannis Kounellis. L’attenzione di Schifano si rivolse poi ai paesaggi futuristi e agli schermi televisivi, mantenendo sempre in essere un misto di figurazione e di evidente materia pittorica.

Mario Schifano, “Acerbo”, 1982, smalto e acrilico su tela, 200 x 303 cm, courtesy Repetto Gallery, Lugano

Le opere ora in mostra da Repetto Gallery appartengono a un periodo successivo, e nello specifico agli anni Ottanta. Per la massima parte si tratta di opere che possiamo ascrivere a temi floreali o di nature morte, eppure nella sostanza appartengono alla medesima modalità pittorica: sono opere materiche e figurative. Sembrano quasi un omaggio a Morlotti o addirittura (lo diciamo senza volontà di offendere alcuna memoria storica) a Monet, quello delle ninfee, tanto per capirci. In queste opere Schifano lascia spazio all’introspezione e abbraccia nuove pulsioni che si rivolgono a un segno libero da qualsiasi ideologia o da qualsiasi stringa sociale. La mostra è presentata da Marco Meneguzzo, critico d’arte e membro della commissione Archivio Mario Schifano, un’istituzione che con il suo lavoro cerca di difendere la memoria del suo operato artistico e di consolidarne gli aspetti meno conosciuti. In mostra troviamo opere di grandi dimensioni, come Acerbo (1982), Biplano (1982), il dittico Gigli d’acqua (1983) e diverse 1×100 informazione (1985-1986).

Mario Schifano, “Gigli d’acqua”, 1983, smalto e acrilico su tela, 130 x 320 (dittico), courtesy Repetto Gallery, Lugano

Dalle vibranti astrazioni alle struggenti figurazioni, ogni tela fonde senza soluzione di continuità l’astrazione con la figurazione, unendo l’uso magistrale del colore alla libertà della forma. Attraverso pennellate audaci, immagini stratificate e una ricca tavolozza, Schifano cattura, in queste opere, l’essenza del suo tempo, offrendo una riflessione toccante sulla complessità della vita contemporanea. Queste opere evidenziano il mutamento stilistico e catturano soprattutto l’uso della materia pittorica, che talvolta appare più liquida, altre più grezza, che accosta agli smalti l’inserto di sabbie e di terre. Sono composizioni frenetiche, che presentano spesso forme frammentate e stratificate, e che invitano gli spettatori a svelare le complessità del suo linguaggio visivo. In definitiva una mostra impegnativa e un omaggio doveroso.

Fabio Fabris

Info:

Mario Schifano, Schifano. Pittura felice
02/05/2024 – 12/07/2024
lun-ven, h 9.00->17.00
Repetto Gallery
via C. Maraini 24
Lugano, Svizzera
https://it.repettogallery.ch/


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