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Marko Tadić: may you live in interesting times

Marko Tadić: may you live in interesting times

Marko Tadić, classe 1979, è nato a Sisak (Croazia) e ha studiato pittura a Firenze. È un artista che sperimenta avvalendosi di diverse modalità espressive, da quelle visuali a quelle sonore, ed è soprattuto grazie a lui se l’insegnamento di Levi-Strauss “Tutto si può fare con tutto” è per me assurto a rango di vero e proprio mantra.  Nella sua pratica Tadić insiste sull’idea che sono le forme d’espressione a modellarsi sulle necessità dell’artista. Ho deciso di incontrarlo per sapere come sta affrontando la situazione pandemica e su cosa sta lavorando in questo periodo.

Lucrezia Costa: Come si è evoluta la pandemia a Zagabria e come stai vivendo a livello personale questa situazione extra-ordinaria?
Marko Tadić: In Croazia ci sono stati due terremoti, il primo a marzo e il secondo a dicembre, che hanno portato un gran confusione generale perché da un lato i mezzi di informazione chiedevano di rimanere in casa per la situazione pandemica, mentre dall’altro lato consigliavano di uscire fuori dalle case per salvarsi da possibili crolli dovuti alle scosse. In quei giorni tutto si è fermato e nessuno è stato in grado di lavorare o di svolgere anche le più semplici attività quotidiane, sembrava di essere in periodo di guerra. Tutti osservavano la situazione e cercavano soluzioni di sopravvivenza per andare avanti con la propria vita. May you live in interesting times ha un nuovo significato, ora.

Hai studiato pittura e poi sei passato alle animazioni, ai disegni, alle strutture scultoree, ma anche a forme radicalmente innovative come il radiodramma. Che rapporto hai con l’aspetto visuale dell’arte? E con quello sonoro?
Sono cresciuto con il motto “non importa il medium ma l’idea” e avendo studiato filosofia prima di intraprendere il percorso accademico questo per me è sempre stato un metodo di procedere naturale. Lavoro con un processo che prevede di trovare una materializzazione delle idee che più si adatta al progetto. In questo senso il medium è sempre secondario e per questo spesso provo a cambiarlo per esaltare il lavoro di produzione, per mettermi alla prova, e il più delle volte il risultato è interessante. Se si parla di medium la mia comfort zone sono sicuramente l’animazione e il radiodramma perché mi permettono di sperimentare in molti modi. Questo non significa però che io abbandoni altre modalità di espressione come la scultura, la fotografia, il VR e così via. Il radiodramma sperimentale è un medium dove tutto ciò che ritengo importante nell’ambito dell’arte trova il suo posto, e mi riferisco in particolare alle idee e ai concetti della teoria della ricezione, al bricolage di Levi-Strauss così come alla Ritmoanalisi di Henri Lefebvre. Quando si ascolta o quando si produce un radiodramma avendo in mente questi filtri concettuali si può arrivare alle soluzioni più importanti e interessanti sia a livello individuale e sia collettivo.

Che cosa ha significato per te rappresentare la Croazia alla Biennale di Venezia del 2017 e come hai lavorato per realizzare il lavoro esposto?
È stato un momento molto particolare per me. In quel periodo persi lo studio dove stavo lavorando alla produzione del lavoro per la Biennale di Venezia. Ho dovuto spostarmi in un altro posto per finire il film che stavo realizzando ma devo ammettere che il risultato finale è stato molto soddisfacente. Un anno prima della Biennale avevo trovato su un mercatino dell’usato una busta piena di fotografie personali di un architetto famoso di Spalato, e studiando queste immagini ho scoperto che alcune erano parte di suoi progetti utopici: si trattava di alcuni palazzi circolari che dovevano galleggiare sull’acqua, in mare. A questo punto ho iniziato il progetto chiedendomi come fosse possibile che un materiale tanto prezioso, appartenuto a una persona così importante, potesse essere stato buttato nella spazzatura. Quando poi ho iniziato l’allestimento della mostra è andato tutto molto bene a parte qualche piccolo intoppo in cui spesso si incappa quando si ha a che fare con spazi nuovi e mai vissuti prima. Ad ogni modo per me stare circa un mese a Venezia è stato davvero molto piacevole.

Con la pandemia la tua ricerca ed il tuo lavoro sono cambiati? E se sì, come?
La parte di produzione delle animazioni e gli altri lavori che porto avanti non sono cambiati molto, perché mi muovo nel chiuso del mio studio, nel mio spazio personale e dunque ho potuto continuare a farlo. Ciò di cui invece ho risentito è stata tutta la sfera delle mostre, in quanto la modalità di esposizione dei lavori è mutata radicalmente. Tutte le mostre sono state cancellate o rimandate a date sconosciute e quindi molto è rimasto in sospeso. Allora ho deciso di usare questo tempo per produrre pezzi che non ho avuto l’occasione di realizzare in precedenza, come ad esempio i radiodrammi che volevo fare da anni, i modelli e gli schizzi per nuovi progetti.

Che progetti stai portando avanti in questo periodo? Che output avranno?
Per esempio ho iniziato due animazioni che avevo lasciato in sospeso e che ora finalmente posso portare avanti dandogli la giusta importanza e soffermandomi in modo particolare sugli aspetti a me più congeniali, ovvero la ricerca e la produzione. In questo periodo vorrei occuparmi anche di sperimentare con la realtà virtuale, che vedo come una nuova dimensione in cui bisogna entrare con le proprie idee e esplorare lo spazio infinito.

Progetti per il futuro post-pandemico?
Viaggiare tantissimo!

Lucrezia Costa

Info:

www.tadicmarko.com

Marko Tadić in occasione della presentazione del suo progetto “Horizon of Expectations” per il padiglione croato della Biennale di Venezia, edizione 2017. Ph courtesy Sisak Info News

Veduta dell’installazione “Horizon of Expectations” realizzata nello spazio dell’Arsenale, Biennale di Venezia, 2017, ph courtesy dell’artista

Veduta dell’installazione “Horizon of Expectations” realizzata nello spazio dell’Arsenale, Biennale di Venezia, 2017, ph courtesy dell’artista

Frame dell’animazione “Until a Breath of Air” 2015, ph courtesy dell’artista

Frame dell’animazione “Moving Elements” 2016, ph courtesy dell’artista


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