La percezione umana della propria fisicità è così acuta e viscerale che il minimo accenno figurativo di un corpo può innescare il riconoscimento e l’immedesimazione. Nel corso della storia dell’arte una folta schiera di pittori di diverse generazioni, come Peter Paul Rubens, Tiziano, Willem de Kooning, Francis Bacon, Lucien Freud e Jenny Saville hanno smembrato e oggettificato il corpo per far emergere la verità della carne, materia duttile e instabile sulla quale s’imprimono le più profonde pulsioni dell’essere umano. L’interesse per le “imperfezioni” del corpo, con tutte le implicazioni e i tabù che ancora ne condizionano l’accettabilità sociale, è di estrema attualità nella nostra contemporaneità edonistica che tende a omologare il corpo secondo canoni estetici prestabiliti, normalizzandone la carica eversiva ed erotica in immagini artificialmente impeccabili.
Il tema del corpo diventa nuovamente scioccante e potente attraverso il pennello di Maryam Moghadam (Tehran, 1984), che incentra la serie di dipinti intitolata Body (2016-2018) sulla figura umana, in particolare quella femminile, colta da angolature deformanti e raffigurata come un conglomerato di carne intrinsecamente espressiva e vitale, in costante metamorfosi. Il ciclo, recentemente protagonista di una sua mostra personale all’Idea Gallery di Tehran, che in poco più di 10 giorni ha registrato il sold-out, è stato così descritto dal critico iraniano Arash Soltanali: “I corpi nei dipinti di Maryam Moghadam sono caduti nella disperazione e sembrano persino umiliati, ma allo stesso tempo guardando i suoi disegni, sembrano ancora potenti e magnifici. Umani gloriosi per la disperazione”.
Le sue rappresentazioni dei diversi stati di transizione del corpo trascendono i confini sia della figurazione classica sia dell’astrazione moderna per esplorare i modi apparentemente infiniti in cui la carne può essere trasformata e sfigurata. La pittura acrilica, applicata in strati pastosi, diventa viscerale come la carne stessa, ogni segno dipinto vibra flessibile e mobile, le linee di forza si moltiplicano e rendono incerti i confini della figura. Man mano che l’artista mescola, impasta e cola il pigmento sulle sue tele di grandi dimensioni, le distinzioni tra corpi viventi, respiranti e le loro rappresentazioni dipinte iniziano a crollare e l’immagine stessa si fa materia umana: le figure appaiono dolorosamente vivisezionate da uno sguardo impietoso, pennellate taglienti squarciano le loro superfici e ogni corpo protende parti di sé orgogliosamente autonome e voluminose. L’unico elemento che rimane sempre nascosto è il volto del soggetto ritratto, come a voler eliminare qualsiasi fraintendimento che possa ostacolare l’identificazione totale dell’anima con la carne.
Per Maryam Moghadam il corpo è una metafora dell’esistenza, rappresentata come uno scenario di guerra in cui il basilare impulso alla sopravvivenza emerge come violenza incolpevole o come dolorosa resa di bestia ferita che si ritira nella sua tana per curarsi. Le tele della giovane artista iraniana possono mettere a disagio, è difficile guardarne una senza percepire il suo istinto figurativo quasi animalesco che anche nell’astrazione rimane attanagliato alla vita, alle fragilità del corpo e alle sue incredibili capacità di recupero. La consumazione della figura, che diviene parziale e mostruosa, colpita dal disfacimento, ci dà accesso ad una bellezza diversa e ferina, diretta espressione dell’abisso in cui hanno origine la vita e la morte che si propongono in un rapporto di assoluta complementarietà, come due elementi inscindibili e impensabili da soli.
Quelli di Maryam Moghadam sono ritratti crudi e disturbanti di una nudità emotiva che manifesta le tensioni più cupe dei personaggi lasciati in balia di sé stessi, privi di volto e quindi anche della maschera con cui solitamente si presentano al mondo esterno. Con le membra aggrovigliate in un’alcova che potrebbe essere anche l’ambientazione indistinta di un sogno o di un labile ricordo, si offrono con prepotenza allo sguardo indiscreto dello spettatore instaurando per mezzo delle loro carni esposte un’intimità che travalica l’implicazione erotica per spostarsi sul piano esistenziale. L’artista rappresenta quei corpi isolandoli, non s’interessa all’aspetto narrativo della figurazione, alle possibili storie che i soggetti potrebbero suggerire e anche l’ambiente che li circonda diventa relativo. Il corpo rappresenta tutto ciò che ciascuno di noi possiede, è un’entità quasi teatrale in cui le esperienze di vita lasciano segni indelebili. La trasfigurazione delle forme in un accidentato amalgama di linee e di colori invita chi guarda a spogliarsi a sua volta di ogni reticenza per affrontare i propri demoni interiori con la consapevolezza di non essere solo, di avere la stessa carne e lo stesso sangue dei personaggi sulla tela.
Il corpo è opulento o emaciato, pesante, distorto, flaccido, frammentato e isolato, è una presenza angosciosa o tenera, aggressiva o spossata ma sempre terribilmente sincera. Il coinvolgimento emotivo dell’artista è totale e nasce dalla sua necessità quasi fisica di penetrare emotivamente il soggetto, di aderire al suo sconforto, di trasudarne le inquietudini con un’attitudine esplorativa che va ben oltre il realismo. Se questa pittura non offre un’immagine rassicurante dell’umanità, è senz’altro onesta e l’insistenza amorevole sulle tracce che il dolore e le difficoltà imprimono nei corpi delle donne ne enfatizza anche la forza interiore, la capacità di rialzarsi e la speranza nella possibilità di un cambiamento. Le donne di Maryam Moghadam sono vittime forti, il loro naufragio esistenziale è solo un provvisorio ripiegamento in sé stesse per attingere alle radici della loro atavica resistenza e predisporsi nuovamente ad affrontare ciò che il destino ha in serbo per loro. Per questo dipingere diviene un profondo atto di fiducia nei confronti di un’umanità ancora capace di empatia e comprensione e di affidamento all’arte come strumento per esprimere ciò che veramente conta e che troppo spesso rimane inascoltato nella società dell’efficienza a tutti i costi. Celebrare la corporeità vissuta senza preconcetti, convenzioni e ipocrisie potrebbe essere il presagio di un rinnovato umanesimo fondato su canoni estetici in grado di valorizzare la bellezza delle diversità individuali che rendono così affascinante l’avventura dell’essere umano nel mondo.
Maryam Moghadam, Loneliness of the Century. Painting, Acrylic, 2018
Maryam Moghadam, Untitled. Painting, Acrylic, 2017
Maryam Moghadam, Untitled. Painting, Acrylic, 2019
Attore e performer, ama le arti visive in tutte le loro manifestazioni.
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