Mai come oggi la casa è un luogo di protezione in cui possiamo – e dobbiamo – rifugiarci per restare sicuri. Il periodo storico che stiamo vivendo ci costringe sotto i nostri tetti, facendoci riscoprire una dimensione domestica che sembrava perduta nella freneticità della vita globale. Ma per molte donne il rifugio si trasforma in una prigione. Di fronte alla crescita della violenza sulle donne, avvenuta in maniera esponenziale durante i mesi del primo lockdown, il premier spagnolo Pedro Sánchez lancia la campagna Mascarilla 19: un codice segreto che permette alle donne vittime di violenza di recarsi in farmacia e richiedere una “mascherina 19” per denunciare gli abusi subiti. Ispirandosi a questo S.O.S, la fondazione In Between Art Film, fondata da Beatrice Bulgari, ha lanciato il progetto Mascarilla 19 – codes of domestic violence: otto artisti e tre curatori sono stati coinvolti nella realizzazione di film sulla violenza di genere, presentati nella rassegna del festival Schermo dell’Arte, che quest’anno si è svolto online dal 10 al 14 novembre.
Per l’occasione l’artista Elena Mazzi, supportata dalla curatrice e attivista femminista Paola Ugolini, ha realizzato il film Muse. Negli spazi di Palazzo Grimani a Venezia, Elena Mazzi ambienta la storia di una donna misteriosa, che non vedremo mai, ma la cui vicenda si sovrappone metaforicamente alla mitologia classica. Com’è caratteristico del suo modus operandi, l’artista parte da uno spazio di cui non ci restituisce una visione completa. Il film Muse si dispiega tramite dettagli, accostamenti visivi e uditivi: angoli di una domus, una luce candida, una tribuna di statue e una voce narrante che ci guida nella presa di coscienza che “sin dai miti gli uomini e gli dei sono cacciatori e le ragazze prede”.
Muse mette in scena le radici antichissime della violenza di genere, narrandola attraverso le parole della domestica del Palazzo che scopre i segreti arcaici custoditi dalle statue antiche. Si tratta di statue imperfette, tutte hanno subito danneggiamenti visibili sulla loro candida pelle: sono sfregiate, consumate, amputate di arti, sgretolate. Danae, Callisto, Leda, Europa, Aretusa, Elettra, Cassandra, immortalate nel marmo e nella pietra, perpetrano nel presente le loro storie di ratti, violenze e stupri. La perdita di verginità è imposta da un dio, che spesso è Zeus, padre di tutti gli dei, che altro non fa che trasformarle in semplici oggetti sessuali, tramutandole in animali e togliendo loro umanità. Mentre la natura delle donne è qualcosa che bisogna addomesticare, quella degli uomini è vicina al divino e per questo essi si prestano a un destino diverso. Come sottolineato dall’artista stessa durante la conferenza online svoltasi il 14 novembre, la tribuna Grimani, nel suo allestimento, mostra in modo emblematico questa differenza: l’unico ratto maschile presente è quello di Ganimede, ma questo è sospeso, sopraelevato, divenendo il punto centrale della tribuna stessa. Siamo di fronte a una decostruzione della classicità? Creando un parallelismo tra passato e presente, mitologia e realtà, Elena Mazzi ci mette di fronte all’evidenza di come la violenza di genere sia insita nella società, è un substrato culturale che affonda le proprie radici su una civiltà estremamente maschilista e patriarcale quale quella greca.
L’idea di mostrare la violenza domestica tramite la metafora mitologica si unisce alla volontà di allargare l’immaginario che inevitabilmente si crea quando si parla del tema. Elena Mazzi decide così di ambientare il progetto in un contesto benestante, evidenziando come non sia una questione relegata solo alle classi meno abbienti, ma può colpire qualsiasi donna. Con estrema delicatezza visiva, Muse astrae il dolore rendendolo invisibile agli occhi; tuttavia riusciamo a percepirlo nell’animo per il pathos crescente nella musica, nella concitazione della voce narrante e nella tensione delle inquadrature dal ritmo incalzante che si dirigono sugli sguardi scultorei, incarnazioni di violenza e fragilità. Di fronte a una trama sociale e culturale ricamata col filo dell’odio (o della paura?) nei confronti delle donne, si fa prepotente la responsabilità di risvegliare le coscienze contro una violenza talmente radicata che sembra normalizzata al punto da essere, in alcuni casi, negata. Il film di Elena Mazzi rompe la retorica della arte per l’arte e, imponendosi con tutto il lirismo tipico della veemenza artistica, scuote la società.
Alessandra Sebastiano
Info:
For all the images: Elena Mazzi, Muse, 2020. Video 4K, 13’ 30’’. Courtesy l’artista, galleria Ex Elettrofonica e Fondazione In Between Art Film
Laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in Valorizzazione dei Beni Culturali con una tesi sul rapporto tra arte e assenza della vista, frequenta ora il corso di diploma accademico di II livello in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali. Accumulando esperienza grazie alla collaborazione con varie realtà come istituzioni museali, F.A.I., attività accademiche, è interessata all’ambito del giornalismo culturale e persegue la volontà di indagare l’arte contemporanea in tutte le sue forme.
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