Il Barbican Centre presenta Masculinities: Liberation through Photography, una rassegna che riflette sulla rappresentazione della figura maschile nel contemporaneo. Da decadi ormai, la questione dei gender role accende il dibattito artistico, culturale e sociale, ma poche, in realtà, sono le riflessioni su quella che è stata storicamente la figura dominante. Attraverso un’analisi scrupolosa, la rassegna vuole mettere in dicussione la rappresentazione della mascolinità e della condizione sociale del “maschio” in un panorama che si estende dagli anni ’60 al contemporaneo, suggerendo un approccio eterogeneo e inclusivo. Interessante è il fatto che sia la fotografia il mezzo scelto per questa indagine, da sempre considerata forma artistica privilegiata per la rappresentazione dell’uomo, ma per “uomo” intendiamo uomo, bianco, sano, eterosessuale, upper-middle class, colonizzatore, osservatore e voyeur. Accompagnata da una serie di filmati e video, ecco che in mostra, la fotografia ‘libera’ il soggetto in questione dai vincoli della rappresentazione e dai suoi stessi canoni, per rivelarsi complice di una riflessione sulla sua stessa identità.
Divisa in sezioni, la mostra comincia con un’analisi degli archetipi e degli stereotipi che da sempre hanno definito la figura maschile. Tra i primi, la figura del soldato. L’artista Israeliano Adi Nes, ne propone una nuova rappresentazione nella serie Soldier (1999) che ritrae delle scene di genere in cui gruppi di soldati sono colti nel momento del riposo, mentre dormono, fumano o sono accecati dal sole su un autobus in tragitto per la missione Israel Defence Force. Questa visione contrasta con la versione machista e propagandistica della figura del soldato solitamente proposta dai media, fino a includere temi quali l’omosessualità e la sessualità. Non è nuova però questa rappresentazione che ritroviamo già, nelle fotografie e nei collage del celebre artista tedesco Wolfgang Tillmans nella serie Soldiers – The Nineties (1999-2020). Com’è solito fare, qui l’artista ci presenta gli aspetti più intimi e teneri della mascolinità, rivelandoci una sensibilità nascosta sotto l’azione militare.
Emerge il video in bianco e nero dell’artista olandese Bas Jan Ader, I Am Too Sad to Tell You (1971) in cui riflettiamo sulla tragedia umana attraverso gli atti performativi di un uomo in cui intravedere il dramma familiare dell’artista che vuole ricordare il padre ucciso dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Di un tono completamente diverso, seppur mantenendo l’epressività estetica del bianco-nero, è la sezione seguente che affronta la mascolinità secondo temi quali il potere e il patriarcato, mostrando le contraddizioni interne della società occidentale.
Da un lato la serie delle ventisei fotografie Gentlemen (1981 -1983) dell’americana Karen Knorr, vogliono rappresentare un’élite ben definita. Scattate nei club più esclusivi di Londra, le sue immagini divengono testimonianza del potere ufficiale, accompagnate da una serie di versi poetici dell’artista. Dall’altro, le fotografie di Robert Mapplethorpe ci portano nel contesto americano, parlandoci di un modello diverso di rappresentazione della mascolinità, attraverso la serie di ritratti Lisa Lyon (1980) e Arnold Schwarzenegger (1976) in cui ripensare il culto del corpo. Riscopriamo qui la funzione propagandistica e celebrativa della fotografia nella serie The Family (1976) del celebre artista americano Richard Avedon che presenta una serie di sessantanove ritratti ufficiali dell’elite Americana alla fine degli anni ’70, poi pubblicati dal magazine Rolling Stone, testimonianza del periodo tra il Watergate e le elezioni elettorali del 1976.
Si continua discutendo della mascolinità nell’ambito della famiglia e in particolare sul ruolo della paternità. Nelle fotografie della britannica Anna Fox, My Mother’s Cupboards and My Father’s Words (1999) possiamo osservare familiari in un seguirsi di interni domestici, scene di genere che mirano a documentare la fine della tradizione maschilista egemonica e l’avanzare un nuovo modello familiare. Conclude la mostra, la serie di fotografie dell’americano Duane Michals, Grandpa Goes to Heaven (1989) che ritraggono, con una sublime poesia, il sottile rapporto che sottende la relazione tra padre e figlio, parlando di identità sessuale e di mortalità secondo un registo surrealista.
In conclusione, è interessante l’invito che la mostra rivolge alle artiste donne femministe tra cui Laurie Anderson, Annette Messenger, Marianne Wex, Tracey Moffatt, Kennett Anger, Hanck Wills Thomas, Mahasahisa Fusake, chiedendo loro di ripensare l’immagine della mascolinità nel contemporaneo attraverso una visione che guardi agli aspetti privati, intellettivi e affettivi della figura maschile, solitamente taciuti o invisibili. A tal propositio, è bene ricordare che la mostra si inserisce nel programma del Barbican, Inside Out, che vuole riflette su che rapporto tra l’interiorità e la creatività.
Info:
Masculinities: Liberation through Photography
20 February – 17 May 2020
Barbican Art Gallery, London, UK
Adi Nes, Untitled, from the series Soldiers, 1999 Courtesy Adi Nes & Praz-Delavallade Paris, Los Angeles
Masculinities: Liberation through Photography. Installation view Barbican Art Gallery ©Tristan Fewings / Getty Images
Masculinities: Liberation through Photography. Installation view Barbican Art Gallery ©Tristan Fewings / Getty Images
Masculinities: Liberation through Photography. Installation view Barbican Art Gallery ©Tristan Fewings / Getty Images
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
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