La mostra MAST Photography Grant on Industry and Work presenta le opere dei cinque finalisti della sesta edizione del concorso fotografico per talenti emergenti della Fondazione MAST: Chloe Dewe Mathews, Alinka Echeverría, Maxime Guyon, Aapo Huhta e Pablo López Luz, selezionati tra quarantadue candidati provenienti da tutto il mondo, hanno sviluppato progetti originali e inediti su tematiche inerenti al mondo dell’industria e del lavoro. Come spiega il curatore Urs Stahel: “Ogni due anni, la Fondazione MAST, attraverso il MAST Photography Grant on Industry and Work offre a giovani fotografi l’opportunità di confrontarsi con le problematiche legate al mondo dell’industria e della tecnica, con i sistemi del lavoro e del capitale, con le invenzioni, gli sviluppi e l’universo della produzione. E spesso il loro sguardo innovativo e inedito ci costringe a scontrarci con incongruenze, fratture, fenomeni e forse perfino abissi che finora avevamo trascurato o cercato di non vedere”.
La mostra si apre con il progetto vincitore Apparent Femininity di Alinka Echeverría (Città del Messico, Messico, 1981), che riflette sul tema della memoria storica in relazione al ruolo della donna nel campo dell’industria cinematografica e dell’informatica. L’artista si addentra con sguardo critico nella quarta rivoluzione industriale ricostruendo le storie di tre donne del passato, personalità oggi sconosciute nonostante siano state pioniere in campi del sapere considerati di primo piano nella società contemporanea. In Grace, un’animazione a LED creata a partire da uno scatto della fotografa statunitense Berenice Abbott, si ricorda la figura di Grace Brewster Murray Hopper, informatica americana, che al termine della sua carriera militare aveva raggiunto il grado di ammiraglio di flottiglia della US Navy Reserve. In Hélène, nome molto comune all’epoca del cinema muto, quando alle giovani donne della classe operaia veniva affidato il montaggio delle pellicole, l’artista monumentalizza l’abilità delle montatrici con una serie di immagini stampate su lastre di vetro e collocate su basamenti, in cui frammenti di gesti e strumenti di lavoro sembrano instaurare un sottile parallelo tra la componente artigianale dell’industria cinematografica dell’epoca e l’arte (tradizionalmente appannaggio femminile) del cucito. Infine, l’artista rende omaggio ad Augusta Ada King-Noel, contessa di Lovelace, matematica considerata da molti come la prima programmatrice della storia, attraverso un gigantesco collage in cui si alternano immagini storiche di donne al lavoro e progetti tecnologici recuperate grazie a una ricerca iconografica effettuata anche negli archivi del MAST.
Nella serie Baja Moda Pablo López Luz (Messico, 1979) propone una sequenza di scatti realizzati in diverse città dell’America latina che evidenziano la resistenza dei commercianti e degli artigiani locali a omologarsi alla produzione globalizzata e seriale di articoli di abbigliamento. Se ogni tanto non comparissero particolari che richiamano la contemporaneità, sarebbe molto difficile capire che queste fotografie sospese nel tempo sono state scattate ai nostri giorni. Volutamente l’autore accentua l’illusione di retrodatazione lavorando in analogico per poi scansionare le immagini e stamparle digitalmente mantenendo la stessa pastosità della grana superficiale delle immagini d’antan. Nel lavoro dell’artista troviamo evidenti citazioni di Eugène Atget, autore che raccontava le vetrine francesi di inizio ‘900, espressione della nuova modernità dell’epoca dei consumi, e riferimenti a Luigi Ghirri, che negli anni ’70 e ’80 immortalava il cambiamento del paesaggio italiano anche attraverso le verine. Il progetto indaga il confine tra il reale e le immagini, sempre intese come rispecchiamento di un’estetica che implica un preciso punto di vista politico. La scelta curatoriale di disporre le foto lungo il corridoio evoca il passeggio cittadino invitando il visitatore a soffermarsi di fronte a questi scorci temporali proprio come se fossero vetrine, che ci ricordano come la nostra epoca rischi di perdere i saperi più tradizionali.
Molto diversa dal punto di vista iconografico e ideologico, la serie Aircraft di Maxime Guyon (Parigi, Francia, 1990) si incentra sul ritratto ravvicinato e spettacolare di componenti meccaniche di areoplani fotografate con un livello di definizione altissimo. L’autore, molto giovane e impegnato nell’ambito pubblicitario, sembra assimilare lo scatto a un fotogramma tratto da contesti virtuali, in una visione che amplifica l’idea di perfezione e asetticità. L’idea di standardizzazione è accentuata anche dalla cornice, che si presenta come una sorta di imballaggio in cui l’opera viene assimilata al pezzo meccanico che rappresenta. L’idea di aeroplano, emblema di velocità e standardizzazione del viaggio, viene riletta dall’interno attraverso la magnificazione dei suoi singoli elementi costitutivi. Al contrario di Le Corbusier, che nel 1935 nel libro “Aircraft” poneva l’accento sulla visione dall’alto offerta dal nuovo mezzo di trasporto come possibilità avveniristica di vedere il mondo da una prospettiva inedita, Guyon affida l’idea di futuro all’avveniristico design interno dell’aeroplano come se il viaggio potesse diventare un istantaneo trasferimento da un luogo all’altro che non permette alcuna esperienza del paesaggio.
Il progetto For a Few Euros More di Cloe Dewe Mathews (Londra, Regno Unito, 1982) racconta invece quattro industrie che in qualche modo si intrecciano tra di loro, ciascuna delle quali è espressione di un tempo e di un luogo preciso. Siamo ad Almeria, regione meridionale della Spagna, dove di trova uno dei più articolati polytunnel del mondo. In un’area di 400 km² – comunemente chiamata “mare di plastica” – si estende una immensa costruzione artificiale, un continuum di serre di plastica dove viene coltivato e prodotto tra il 40% e il 50% della frutta e della verdura consumate in Europa. Vicino a quest’area produttiva c’è una delle più grandi miniere europee per l’estrazione di piombo, oro e argento (aperta a metà Ottocento e attiva fino al 1966). In questa location, oggi diventata un luogo turistico, Sergio Leone girò i suoi film western. Gli scatti dell’artista inglese mettono a confronto le rimanenze storiche e le impronte contemporanee delle quattro diverse industrie che si sono sovrapposte nello stesso luogo in immagini che richiamano la scenografia di un film, presentate in un allestimento di cassette di plastica provenienti proprio dalle serre come traccia concreta del lavoro. Nel film che completa la ricerca, Cloe Dewe Mathews assolda come attore un giovane raccoglitore delle serre di origine ghanese che, interpretando sé stesso, attraversa i quattro diversi paesaggi in bicicletta. In un susseguirsi di ironiche citazioni western – dal titolo stesso del progetto, al sonoro, alle inquadrature, alla geniale evocazione del cavallo tramite il casco da equitazione indossato dal protagonista – diventa evidente come l’elemento che mette in connessione queste diverse realtà è l’intervento umano, i cui segni indelebili rimangono anche quando i luoghi non sono più utilizzati.
Il lavoro del fotografo finlandese Aapo Huhta (Haapajärvi, Finlandia,1985) tratta il tema della tecnologia informatica in un’installazione fotografica che richiama la pagina web, in cui immagini di diverse dimensioni emergono da un paesaggio-desktop accompagnate da un sonoro di voci metalliche che leggono in maniera oggettiva ciò che vedono. L’artista sceglie di esporre alcune foto anonime estrapolate dal suo archivio personale e le fa leggere da due sistemi algoritmici – uno elaborato da Google e uno da Microsoft – brevettati per descrivere le immagini agli ipovedenti. Il confronto evidenzia come le macchine non riescano a interpretare alcuni elementi fondamentali per la comprensione: ad esempio uno spaccalegna fotografato con un tronco in mano nei pressi di un bosco per il lettore digitale diventa “un uomo di 60 anni circa, apparentemente non troppo felice, che al centro di paesaggio innevato tiene in mano una tavola da snowboard” oppure a una bambina bionda immortalata nell’atto di mimare un gesto poco educato viene assegnata una probabilità dell’89% di essere un angelo. Attraverso la rilevazione di queste falle e fraintendimenti l’artista si interroga sulla cieca fiducia che riponiamo nella tecnologia nonostante l’ampio margine di errore che essa presenta. L’eclatante distanza dell’intelligenza virtuale dalla realtà, inoltre, non è solamente imputabile al fatto che non esista ancora una tecnologia così sofisticata da leggere sempre correttamente l’immagine, ma nasconde una problematica più complessa. L’approssimazione dei programmatori che determina le imprecisioni standardizzate delle macchine, si può infatti interpretare come una sorta di razzismo tecnologico, che ha come conseguenza il pregiudizio di alcune macchine verso determinate etnie. Basti pensare, ad esempio, che alcune macchine fotografiche, quando scannerizzano immagini con persone che provengono da altri continenti, sbiancano automaticamente le immagini perché sono settate su tratti caucasici, oppure che alcuni sistemi automatizzati che impediscono alle fotocamere di scattare quando le persone chiudono gli occhi, impediscono alle fotocamere di scattare anche in presenza di persone dai tratti somatici orientali, assimilate a soggetti con gli occhi chiusi. Il fatto che la programmazione software non consideri certe diversità è un tema delicato e attuale sul quale ci si dovrebbe soffermare un po’ di più. Il progetto solleva inoltre un’altra prospettiva inquietante: se noi di fronte a una fotografia del nostro archivio sappiamo esattamente cosa c’è dietro perché percepiamo emozioni legate al nostro bagaglio mnemonico, probabilmente in futuro esisteranno dei sistemi talmente sofisticati che non solo riusciranno a dirci esattamente cosa c’è nella fotografia, ma anche a evocare ciò che noi abbiamo vissuto in relazione al nostro archivio visivo.
Info:
MAST Photography Grant on Industry and Work
7 ottobre 2020 – 3 gennaio 2021
Orari di apertura: Martedì – Domenica 10.00 – 19.00
Ingresso gratuito su prenotazione
www.mastphotogrant.com
MAST
via Speranza 42, Bologna
www.mast.org
Alinka Echeverría, Apparent Femmininity, 2020, Ada, installation view © Alinka Echeverría
Alinka Echeverría, Apparent Femmininity, 2020, Ada (Plate 10) © Alinka Echeverría
Pablo López Luz, Baja Moda CXII, Cuba, 2019 © Pablo López Luz
Pablo López Luz, Baja Moda XCVII, Ecuador, 2019 © Pablo López Luz
Maxime Guyon, Aircraft, Turbojet fan, 2018 © Maxime Guyon
Chloe Dewe Mathews, For a few euros more, Gold Mine, 2019 © Chloe Dewe Mathews
Aapo Huhta, Sorrow? Very unlikely, 2019 © Aapo Huhta
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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