Abbiamo intervistato il curatore e critico Matteo Innocenti, direttore e ideatore del nuovo spazio indipendente “La Portineria” a Firenze, con il sostegno del Gruppo Poli proprietario dell’immobile, fatto per lo più di appartamenti a uso abitativo, e della società di comunicazione PMG Italia che qui ha la propria sede.
La Portineria è situata in un edificio di valore storico ed estetico, realizzato dall’architetto Oreste Poli nei primi anni Settanta in cemento a vista, con un’articolazione singolare dei volumi e forte sviluppo verticale; fu una delle prime costruzioni a proporre questo stile a Firenze e a oggi ne rimane in effetti uno degli esempi più interessanti.
Matteo Innocenti, inoltre, nel corso degli anni ha collaborato con varie istituzioni, spazi pubblici e privati, residenze d’artista; recentemente ha avviato insieme ad altri fondatori Estuario project space presso il complesso degli ex Macelli di Prato (Officina Giovani), in collaborazione con l’amministrazione cittadina.
Federica Fiumelli: La Portineria – progetti arte contemporanea ha inaugurato lo scorso 20 febbraio la sua attività. Come è nato il progetto e come si inserisce nell’attuale contesto fiorentino? Quanto si sta aprendo Firenze al contemporaneo?
Matteo Innocenti: La prima necessità, riferibile in generale alla mia pratica curatoriale, risale a un periodo precedente, vale a dire che da tempo riflettevo sulle potenzialità connesse alla direzione di uno spazio espositivo indipendente, nella città in cui sono nato e cresciuto. L’occasione contingente è stata il rapporto di amicizia che mi lega al Gruppo Poli, proprietario dello stabile in cui si trova La Portineria: durante la fase di restauro del palazzo – architettura modernista che risale agli anni Settanta, a opera di Oreste Poli – notai uno spazio in prossimità dell’entrata, ancora non interessato dai lavori, e subito ebbi l’intuizione di poterlo destinare all’arte contemporanea. L’idea piacque, è stata sostenuta, quindi il progetto ha preso avvio.
Il contesto è un fattore essenziale; non mi riferisco solo alla storia del palazzo, ma anche al quartiere cittadino in cui ci troviamo – di tipo residenziale, con attività culturali molto limitate. La Portineria intende essere sia uno spazio di ricerca che di divulgazione, infatti tra gli obiettivi primari c’è la creazione di un rapporto effettivo con le persone che abitano l’area. Se poi allarghiamo il discorso allo scenario complessivo dell’arte contemporanea a Firenze, credo che prima di tutto vi siano alcuni punti da chiarire.
La retorica della città rinascimentale ancorata al passato è veritiera solo in modo parziale; Firenze da decenni, seppur a fasi alterne, ha dimostrato e dimostra vitalità. Ciò vale in modo particolare per il presente, poiché la proposta culturale è forte. Si tratta semmai di operare delle distinzioni; ovvero pur essendoci istituzioni ed enti con programmazioni di grande richiamo, legate all’arte contemporanea, il numero degli spazi attivi nella ricerca e nella sperimentazione resta minimo. Perciò, per quanto ci è possibile, La Portineria intende contribuire alla riduzione di tale mancanza.
“Eliminare la carne” di David Casini è la prima mostra a essere ospitata all’interno della programmazione della Portineria. Come nasce questa idea espositiva – che già come il titolo promette, attinge da un immaginario importante – sia culturale e sia artistico?
La Portineria cambierà formato espositivo ogni anno (anche se, data la situazione d’emergenza, ci saranno delle posticipazioni e dei cambiamenti). Il ciclo del primo anno ha come titolo “A Solo”, si tratta di quattro mostre personali concentrate su un numero ridotto di opere, preferibilmente, ma non in via esclusiva, realizzate nel periodo recente.
Con David Casini, il primo artista del ciclo, abbiamo avuto modo di collaborare in passato; ero certo della sua capacità di interpretare lo spazio e di realizzare un progetto di valore. “Eliminare la carne” deriva dalla fase presente della sua ricerca, che riguarda il rapporto con la storia dell’arte. Credo che in generale il lavoro di David si sviluppi come un processo segnato da fasi di decostruzione e ricostruzione; ciò in passato ha riguardato vari aspetti, tra cui il naturale e l’artificiale, adesso al centro vi è l’arte: nello specifico alcuni grandi autori, quelli più amati, “trattati” come una materia viva (piuttosto che come modelli fissi da contemplare). David sceglie dei frammenti figurativi dal loro corpus e li ricombina in modo personale, per creare nuove opere. Nella mostra per La Portineria si relaziona con Paul Klee, Medardo Rosso e Pablo Picasso, attraverso degli elementi particolari – rintracciati nei cataloghi editi negli anni Sessanta e Settanta, quando le immagini piuttosto che stampate venivano incollate alle pagine. Ciò lo ha portato a realizzare dei collage, una scultura che è anche una pochette, delle maschere di ceramica. “Eliminare la carne” significa appunto questo: appropriarsi di qualcosa e farlo vivere diversamente, nel presente. Infatti il titolo è relazionato alla data dell’inaugurazione, il martedì grasso: richiamo al Carnevale (carnem levare, appunto), celebrazione durante cui, con estrema libertà, ogni ruolo sociale veniva rovesciato, dato che le persone avevano la libertà di assumere, seppur in modo temporaneo, le sembianze altrui. “Eliminare la carne”, a partire dalla storia dell’arte, si sviluppa attraverso la pratica del travestimento, del camouflage.
Una delle peculiarità di questo progetto è l’accompagnamento di un dialogo testuale, di approfondimento, tra gli artisti e il curatore. Credo che questo sia un prezioso regalo, anche se bisogna dire che qualcuno pensa che le mostre debbano essere fruite senza troppi orpelli intellettuali – a volte i testi appaiono astrusi e accessibili a pochi, e i comunicati stampa, spesso, sono il rifugio di giornalisti d’assalto. Quanto ritieni sia importante la scrittura nell’attuale panorama espositivo?
Sono d’accordo con te sul fatto che spesso i testi vengono scritti con un linguaggio eccessivamente intellettualistico, il che purtroppo denota il contrario di quanto si intenderebbe: una scarsa capacità di comprendere l’opera e di comunicarla. In fin dei conti ricorrere a questo tipo di linguaggio è una forma, talvolta feroce, di autoprotezione – il cui effetto tangibile è lo iato tra l’arte contemporanea e le persone. Concordo anche sul fatto che l’opera d’arte si esprime da sola, senza il bisogno di “strumenti” esterni (anzi, sarebbe opportuno che ciò avvenisse di più).
Bisogna allora concludere che ogni forma di curatela e di critica d’arte è inutile? Da parte mia non lo penso. Dopo il primo impatto emotivo, che riguarda la sfera personale, quella più intima, la scrittura assume la funzione di approfondimento: ci può spiegare in quale contesto è nata un’opera, da quale necessità o volontà, le sue possibili interpretazioni. In una riflessione sviluppata per un progetto online, avevo intitolato un mio testo “Filologia per l’arte contemporanea”, il che potrebbe sembrare un controsenso: ma ritengo che la curatela e la critica d’arte – in quanto attività di mediazione pura, e non di creazione artistica, ci tengo a sottolinearlo – siano un modo di fare la storia dell’arte in tempo reale. A differenza della storiografia che si rivolge al passato, nel presente le fonti non sono testuali: sono gli artisti stessi. Ecco perché l’idea di dialogare con gli autori e di stampare un booklet da mettere gratuitamente a disposizione, in strada. Chi viene coinvolto, o anche solo incuriosito dalla mostra, può avere l’opportunità di approfondire tramite le risposte dell’artista.
Quali saranno i prossimi appuntamenti della Portineria? Come si trasformeranno quelli già programmati, vista l’attuale emergenza sanitaria in cui ci troviamo?
Trattandosi di un progetto nuovo, ho sentito inopportuno cambiare in modo radicale il programma. Peraltro credo che l’emergenza ci stia portando a sviluppare una riflessione profonda, la quale non può trovare risposte in modo immediato. Per adesso manteniamo in pausa il ciclo A Solo, in attesa di ripartire. Ciò comunque non significa che siamo fermi. Durante questo mese, aprile, era in programma la prima mostra di Satellite, project space di Francesco Ozzola, direttore della Galleria Suburbia a Granada: Satellite avrà sede nello spazio accanto a La Portineria, portando avanti una propria programmazione. Non potendo per ora avere un’inaugurazione fisica, abbiamo pensato di realizzare una preview online, pubblicando vari materiali che riguardano il progetto nel suo complesso, la prima mostra, i singoli artisti. Nessuno è in grado di prevedere quanto durerà questa fase emergenziale, quindi dovremo adattarci in base alle necessità.
Da molti anni la tua attività di curatore indipendente è preziosa. Per chi come me ha da qualche anno intrapreso il percorso di curatrice indipendente, è importante vedere come generazioni di curatori più grandi siano in grado di offrire stimoli interessanti e occasioni di riflessioni come l’ultima Portineria. Cosa puoi consigliare, da curatore, ai più giovani che magari vogliono intraprendere questa tipologia di lavoro, spesso ahimè sottovalutata o sopravvalutata… Hai avuto anche tu da giovane qualche mentore ispiratore? Letture o mostre che ti hanno segnato poi nel tuo operare sul campo?
La figura del curatore è piuttosto bizzarra (sebbene a mio avviso – non in modo identico ma analogo – sia rintracciabile anche nei secoli scorsi); voglio dire che soltanto negli ultimi anni è venuta “professionalizzandosi” tramite percorsi di studi dedicati. Quando ho iniziato, circa quindici anni fa, si trattava quasi di un’improvvisazione, non c’erano pratiche specifiche a cui rifarsi – certamente alcuni precedenti celebri, come l’attività di Harald Szeemann, costituivano un punto di riferimento. Ma devo dire che la bellezza di tale “esercizio”, a mio avviso, sta proprio nel fatto che ogni stimolo converge a formarci: ci ispirano ovviamente gli artisti, ma anche i poeti, i filosofi, gli storici, gli scienziati e così via. Questa apertura, quasi una mancanza di limiti al proprio ambito, purtroppo può portare anche a delle esagerazioni: mi riferisco alla formula del curatore tuttologo e tirannico, che usa le opere d’arte come tesserine al servizio del proprio ragionamento (quasi mai interessante); modalità che ha funzionato così bene in questi anni. Più che consigli vorrei riferirmi a dei valori (rammentandoli a me stesso): umanità, passione, onestà, originalità e, di conseguenza, orgoglio per quanto si sta facendo. In una visione generale il curatore contribuisce alla cultura del presente sostenendo gli artisti, per fortificare il loro ruolo nella società.
Palazzo Poli a Firenze, sede de La Portineria
La Portineria, Firenze
David Casini, Eliminare la carne, 2020. Installation view at La Portineria, Firenze
David Casini, pagg. 0, 7, 35, 2018 – legno, intarsio legno, vetro, stampa – courtesy CAR DRDE Bologna
David Casini, Tre piccole gioie I, 2019 – ottone, velluto, pelle, ferro – courtesy CAR DRDE Bologna
David Casini, Eliminare la carne, 2020. La Portineria, Firenze
Non è la prima volta che lavori con David Casini, ricordo anche altre mostre a Prato di qualche anno fa, che rapporti cerchi di instaurare con gli artisti con cui ti relazioni?
Ciò che mi interessa è l’approfondimento costante. A volte si tratta di collaborare con artisti molto giovani, allora è come un tentativo reciproco in cui l’azione avanza le parole stesse, poiché il pensiero non è ancora strutturato. Altre volte il rapporto avviene con artisti di maggiore esperienza; qui il lavoro cambia: penso che sia essenziale conoscere ogni aspetto della loro ricerca, parlando a lungo, visitando gli studi, costruendo insieme la mostra. Incontrarsi di nuovo, dopo un certo periodo, è bello e interessante, poiché si ha modo di valutare il percorso fatto nel frattempo. Con David è stata un’occasione di questo tipo.
La pandemia globale che sta avendo luogo cambierà sicuramente qualsiasi scenario, come ti prefiguri l’arte nell’immediato dopo-virus?
Credo che sia per tutti molto difficile da immaginare. C’è stata una forte scossa, è chiaro; ma il primo dubbio è se gli effetti perdureranno anche a situazione sociale normalizzata o se la nostra memoria velocemente scorderà ciò che di essenziale abbiamo “toccato”, ora. Diciamo che questo riguarda più la sostanza dei rapporti interni al sistema artistico, e poi di conseguenza la relazione con il pubblico. A livello formale invece mi pare che si possa ritenere, con forte probabilità, che le tecnologie e gli strumenti web diventeranno – o meglio, stanno diventando – sempre più importanti. Siamo ancora in una fase acerba, infatti i contenuti spesso sono una traduzione identica, con altro media, di ciò che potrebbe avvenire dal vivo: video di direttori che spiegano le collezioni museali, siti che ospitano virtual exhibitions, contenuti integrativi sui social e così via. Mi pare che in generale il risultato non sia ancora soddisfacente – va considerato che in molti casi si è stati costretti a improvvisare – a ogni modo la strada è tracciata: sono tutte possibilità che affineremo. Certo, questo apre una questione enorme, il rapporto materiale, fisico con l’opera d’arte. Sono un convinto assertore della sua necessità, ciò non toglie che un equilibrio con la virtualità possa essere raggiunto. Sarà una tematica molto indagata nell’immediato futuro.
Info:
(1990) Laureata al DAMS di Bologna in Arti Visive con una tesi sul rapporto e i paradossi che intercorrono tra fotografia e moda, da Cecil Beaton a Cindy Sherman, si specializza all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel biennio in didattica dell’arte, comunicazione e mediazione culturale del patrimonio artistico con una tesi sul percorso storico-critico di Francesca Alinovi, una critica postmoderna. Dal 2012 inizia a collaborare con spazi espositivi svolgendo varie attività: dall’allestimento delle mostre, alla redazione di testi critici o comunicati stampa, a laboratori didattici per bambini, e social media manager. Collabora dal 2011 con varie testate: Vogue online, The Artship, Frattura Scomposta, Wall Street International Magazine, Forme Uniche Magazine.
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