Matteo Negri è un artista che è sempre rimasto fedele alla sua vocazione, guidato da grandi visioni che richiedono un’enorme dedizione e tempo. Probabilmente è anche il mondo in costante cambiamento che lo circonda – sempre carico di eventi che lo commuovono profondamente – che alimenta il suo percorso artistico. Marina Mojana aveva già riconosciuto questa qualità nel 2002, descrivendo la sua fascinazione per motori e ingranaggi. Negli anni successivi, l’attenzione di Negri si è evoluta includendo Lego, sculture più lente ed esperimenti audaci nella forma, rivelando un continuo gioco di geometrie, colori e superfici riflettenti che assorbono sempre il mondo circostante. Le sue installazioni, come Johnny “il polipo” e Frankie “la gru” (2004), Piano Piano (2016), Greetings from Mars (2018) e Meanwhile (2022) esemplificano questa energia. Tuttavia, recentemente, entrando nei suoi quarant’anni, nel suo lavoro è emerso un cambiamento significativo: una decelerazione deliberata, dove i tempi turbolenti hanno reso la sua produzione più selettiva. Questo periodo introspettivo, che segna anche oltre due decenni nel mondo dell’arte, ha dato vita alla sua ultima serie, False Flags. Concepite con precisione geometrica e un linguaggio visivo raffinato, queste nuove bandiere sfidano i confini tradizionali, presentando bordi sfumati e colori cangianti per riflettere un impegno politico svincolato dal nazionalismo. La materia con cui realizza questi vessilli resta, però, volontariamente la stessa di quella delle bandiere nazionali provocando uno spaesamento nell’osservatore.
Erka Shalari: Mi chiedevo come sono stati i tuoi ultimi mesi. Su cosa ti sei concentrato?
Matteo Negri: Sono stato in montagna. Leggevo, camminavo, leggevo, camminavo. Avevo bisogno di una pausa. È un mondo strano, più cerco di capirlo, più diventa complicato. C’è un testo di Guardini[1] che mi ha accompagnato per tutta l’estate che contiene un giudizio notevole su come porsi davanti all’epoca che si vive. Sono solo un uomo (marito, padre, artista) niente di più. Ci sono guerre intorno a noi, così vicine a casa nostra. Bambini che muoiono, amici, vicini di casa. Ti chiedi: dov’è la speranza? Come faccio a costruire un’eredità e che tipo di mondo sto lasciando alle mie figlie? Che fare!?[2] Cosa possiamo fare?
Non lo so, è un mix di idee, momenti di lavoro e di vita, cose a cui nessuno è preparato. Volevo chiederti, visto che nelle telefonate sei sempre al lavoro in studio, com’è la tua giornata lavorativa?
Per me c’è sempre uno spazio vuoto tra me e il mondo. Ogni mattina inizia con questo spazio vuoto e, come artista, diventa qualcosa di tangibile: un colore, una luce nel paesaggio, magari un giallo che sfuma nel blu[3]. Dal 2017 lavoro a questi disegni geometrici. Sono iniziati come tracce di paesaggi, riflettendo l’idea che l’arte possa offrire una visione infinita. Il modo in cui uso gli specchi, la prospettiva a livello del suolo, gli schemi di colore mescolati con le linee e gli spazi che creano nelle mie opere in alluminio: questo è ciò che ho esplorato nella mostra personale “Meanwhile” (05 – 16/10/2022) a Vienna presso Aa Collections. L’opera specchiante rappresenta l’idea della trascendenza dell’opera, dell’immagine in continuo mutamento che attira il mondo esterno verso l’interno.
E cosa è successo dopo? È interessante come le sue geometrie sembrino uscire dalla tela, trasformandosi in installazioni, sculture e persino bandiere (non sono sicura che sia la parola giusta).
Mi sono reso conto dell’importanza di un gesto semplice ma strutturato: il disegno. Ho osservato le linee, i gradienti e hanno cominciato ad assomigliare a bandiere: colori affiancati, che si scontrano fino a trovare un equilibrio. Anche le persone sono così. Ho anche ripreso lo studio di alcuni grandi maestri, come Barnett Newman. In un’intervista che ho letto di recente, Newman ha detto che i suoi dipinti, che ho sempre pensato fossero puramente astratti, in realtà affermano la libertà: «Se compresi correttamente, significherebbero la fine di tutti i capitalismi di Stato e dei totalitarismi[4]». È stato come se si fosse acceso un interruttore nella mia mente e le bandiere sono diventate, ultimamente, un’immagine ricorrente nel mio lavoro.
Ti conosco come scultore, ma sembra che la tua ricerca si stia muovendo in altre direzioni. I tuoi ultimi lavori sembrano sottolineare la questione del tempo.
Come artista visivo che si occupa principalmente di forme nello spazio, da diversi anni esploro i confini e i limiti tra materiali e percezione, con particolare attenzione al ruolo percettivo dei limiti fisici e sensoriali nella scultura. È stato durante la mia recente ricerca sulla costruzione geometrica dello spazio in relazione all’uso di materiali iridescenti e riflettenti che ho sviluppato alcune opere dai bordi netti e decisi e dalla natura decisamente mutevole. Quando le opere in alluminio hanno iniziato a funzionare, mi sono sembrate una metafora irresistibile per catturare più strati di realtà in una sola volta, voglio dire che stavo facendo quelle opere molto riflettenti, e le immagini di tutto il mondo esterno riempivano l’opera. Nel 2016 ho iniziato a pensare al mio lavoro in relazione al tempo, ma nel 2022 è diventato un tema portante. Questa è stata la linea che ho seguito anche per le opere della mostra alla Galleria Smolka a Vienna, “Frequency” (6/055 – 7/06/2023). È stata anche la prima volta che ho esposto i miei disegni.
Dici che dietro le astrazioni di Newman c’era la libertà. C’è quindi una sorta di “appello alla libertà” nella tua produzione? Mi sembra che tu ti muova sui confini, cercando di superare i limiti…
Stavo disegnando mentre ascoltavo un podcast e continuavo a sentire solo “guerra, guerra, guerra”. Poi, all’improvviso, mi sono reso conto che i miei disegni assomigliavano a delle bandiere. In quel momento mi sono sentito in qualche modo connesso con gli altri, con il mondo. E ho amato questa sensazione. Senza giri di parole, hanno ostacolato il pensiero e lottano contro il “fallimento globale della modernità”. Creo nuove bandiere, non legate a nazioni ma che rappresentano stati di necessità: colori contrastanti accostati, adiacenze e sovrapposizioni, sfocature e bordi poco chiari, registri indefiniti. Ho poi deciso di fotografare e stampare queste immagini su tessuto nautico, lo stesso usato per le bandiere. Poi è nata un’installazione e un libro d’artista intitolato “False Flag” con Marco Balzano.
Un disegno per una sintesi politica, è un work in progress nel work in progress?
Immagino persone libere, senza sofferenze, che lottano per l’identità. Le bandiere hanno avuto – nella loro costruzione – molti cambiamenti, proprio per rispondere alle richieste e ai movimenti delle persone. Ma oggi molte bandiere sono usate in contesti sbagliati, per fermare le voci di libertà e i bisogni delle persone, e questo è un male. Ne ha parlato bene Giuseppe Frangi[5] introducendo il mio lavoro sulle bandiere. Mi sembra evidente che la democrazia funziona quando e se resta legata ai bisogni delle persone e ora il modo è in subbuglio. Voglio vivere e descrivere questa turbolenza.
Sembra che, da un certo punto di vista, i tuoi lavori si basino molto di più su una grammatica visiva, su una sorta di linguaggio, più che come in passato su singoli materiali preziosi.
È, in un certo senso, qualcosa che è nel lavoro, non ho bisogno ogni giorno di creare qualcosa di speciale, ma solo di trovare un modo semplice e corretto di parlare. Usando una grammatica chiara, linee, gradienti, c’è la possibilità di creare una grande discussione su una linea, in fondo la scultura è solo “una linea nello spazio[6]”. Mi annoiano molto le mega – giga – opere d’arte, la mega arte “circense”, quando non è veramente necessaria. Non dobbiamo dimenticare che- mai come oggi -è sempre più vera la “Legge dell’inversione dei costi e della qualità[7]”.
Info:
[1] Romano Guardini, “Das Ende der Neuzeit.Ein Versuch zur Orientierung Die Macht. Versuch einer Wegweisen”, Editrice Morcelliana, Brescia, 1955: «L’unica misura con cui si può validamente giudicare un’epoca è la conoscenza di quanto l’esistenza umana si sia sviluppata nella sua pienezza, giungendo, secondo le proprie particolarità e possibilità, al suo vero significato».
[2] Riferimento all’opera “che fare!” Mario Merz, cera e tubo fluorescente in recipiente di metallo, 1968, Torino CRT.
[3] Ludwig Wittgenstein, “Remarks on Colour”, Oxford: Blackwell, 1977, ed. G. E. M. Anscombe and trans. Linda Schättle. Study on. n.27: «Mi sembra di notare una cosa logicamente importante: se si definisce il verde come un colore intermedio tra il blu e il giallo, allora si deve anche essere in grado di dire, per esempio, che cos’è un giallo leggermente tendente al blu o un blu vagamente tendente al giallo. E queste espressioni non mi dicono assolutamente nulla. Ma non potrebbero dire qualcosa a qualcun altro? Se qualcuno mi descrive il colore di una parete come “un giallo tendente al rosso”, capisco che da un certo numero di campioni potrei sceglierne uno che si avvicina abbastanza a quello giusto. Ma se qualcuno descrivesse un colore definendolo un giallo leggermente tendente al blu, non potrei mostrarglielo su un campione. – Qui si usa dire che in un caso si può immaginare il colore e nell’altro no, ma questa espressione è fuorviante, perché in questo caso non è necessario pensare a un’immagine che emerge nell’occhio della mente».
[4] John P. O’Neill, “Barnett Newman: Selected Writings and Interviews”, Alfred A. Knopf, New York USA 1990, pp 251.
[5] Giuseppe Frangi, Casa Testori, Novate 2024. «sono bandiere che portano a un’idea di libertà, di cui ognuno deve essere responsabile. Ognuno deve farsi la sua bandiera, deve giocarsi la sua bandiera. In proiezione futura crearsi uno spazio, non generato da una appartenenza identitaria ma uno spazio che devi costruire con il tuo coinvolgimento nella storia. Sono bandiere legate a un futuro e non a uno status quo».
https://youtu.be/x5EEK9Ol-HY?si=5IX5dc8sMqpqr9qR
[6] “David Smith: The Collected Writings”, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts USA, 1974.
[7] David Foster Wallace, D. (2012). “The (As It Were) Seminal Importance of Terminator 2”. In “Foster Wallace, D. Both Flesh and Not: Essays”, Little, Brown and Company, Boston, Massachusetts, USA pp. 177-192. «e quindi si ottengono le due formulazioni più importanti del corollario della legge inversa dei costi e della qualità: (icql(a)) Quanto più sfarzosi e spettacolari sono gli effetti speciali di un film, tanto più scadente sarà quel film sotto tutti gli aspetti non-f/x».
Erka Shalari è una scrittrice d’arte con sede a Vienna. Il suo lavoro è impegnato a scoprire posizioni artistiche distintive nell’arte contemporanea. La metodologia di lavoro è fortemente influenzata dalla psicologia, dai lavori epistemologici, nonché dagli affetti e dai rituali.
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