In una cantina semibuia dalla dimensione insondabile, Matthew Barney (1967) emerge come un demone da un brodo primordiale di urina e feci. Sale le scale che conducono nella casa di Norman Mailer (1923 – 2007), ne attraversa la sala dove ha inizio la veglia funebre per la morte dello scrittore ed entra nel bagno dove viene sodomizzato da un vecchio cadaverico (il faraone Usurmare). Dal pene d’oro dell’uomo fuoriesce dello sperma argenteo, che viaggiando per le stanze incontra gli arti protesici dell’attrice Almee Mullins. Queste sono le prime scene del film performativo dalla considerevole durata di quasi sei ore, con cui Arte Fiera di Bologna ha deciso d’inaugurare la quarantesima edizione.
River of fundament (2014) trae ispirazione dal libro Ancient Evenings di Norman Mailer, romanzo ambientato nell’Egitto precristiano che racconta dell’anima nei passaggi dalla vita alla morte fino alla rinascita.
Dei e semidei, nel mondo contemporaneo di Barney, arricchiscono l’esistenza umana di un’antica quasi dimenticata sacralità. La simbologia è varia e abbondante, sontuosa e pornografica e il trapasso ad un’altra vita è accompagnato da riti baroccheggianti tra orifizi e feci, carcasse meccaniche e stemmi automobilistici. Una concessionaria Chrysler a Los Angeles è il tempio dove si performa la distruzione e la rinascita del corpo. E nell’area industriale di Detroit, invece, l’adirato Set taglia in quattordici parti l’ auto sciogliendone nella fornace ogni pezzo.
Morte e resurrezione si susseguono nell’eterno scorrere lento, forse neanche si muove, del fiume putrido che ristagna nelle fondamenta. In questa placenta rigenerativa gli opposti congiungono e gli spiriti vagano alla ricerca della strada per il ritorno.
Ha un ruolo primario la composizione musicale di Jonathan Bepler (1959). Fatta di canti, voci, suoni, spari e improvvisazioni, conferisce struttura alle immagini concatenandosi ad esse come se tutto fosse stato concepito per un’unica partitura. River of Fundament è un’opera wagneriana non per durata, bensì per la vicinanza a quel Gesamtkunstwerk tanto ambito dall’artista americano. Dettaglio non da poco, Barney ha prodotto ottantacinque sculture per questo film e chissà quant’altro, aumentando quindi la difficoltà d’approccio cognitivo necessario all’abbraccio immediato e totale del progetto. Il linguaggio tecnico in realtà non s’ è evoluto particolarmente, zoom e giri di camera lenti, riprese aeree panoramiche sono le stesse dei precedenti film. Ma sfonda ugualmente le consuetudini mediatiche sottoponendo lo spettatore ad uno sforzo comprensivo inusuale, avvicinandolo ad un linguaggio operistico e da qui alla sua idea di sacro. Prima che questo svanisca per sempre dalle nostre esistenze o mentre si ripresenta in forme talvolta estranee al punto tale da non farcelo riconoscere, ecco che le ricercate scene di River Of Fundament appaiono come “arie” avvolte nella magnifica rappresentazione di una liturgia epica senza fine.
RoF Chris Winget
River of Fundament lead image Copyright Hugo Glendinning
Domenico Russo, curatore e critico d’arte, rivolge il suo impegno alla ricerca delle nuove tendenze con uno sguardo particolare rivolto alle modalità con cui l’arte contemporanea si connette e interagisce con altri ambiti, convinto che essa sia una sensibile verità attraverso cui leggere il tempo che vive.
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