Maurizio Bottoni. Eterna pittura

Con la mostra “Eterna Pittura”, curata da Vittorio Sgarbi al Castello Estense di Ferrara e visitabile fino al 26 dicembre 2024, Maurizio Bottoni ripercorre la sua carriera per riflettere sul ruolo attuale della pittura. Bottoni, influenzato da maestri come Giorgio de Chirico e Ugo Celada da Virgilio, combina tecnica meticolosa e visione personale. Rifiutando l’iperrealismo, preferisce una pittura che nasce dall’osservazione diretta e dalla memoria, evitando l’uso della fotografia come base di partenza dell’immagine. Questo approccio, che conferisce alle sue opere vivacità e profondità, sottolinea l’importanza della materia pittorica, seguendo la tradizione dei maestri fiamminghi e italiani. La mostra crea un dialogo tra le opere di Bottoni e l’architettura rinascimentale del Castello Estense. Le tele trattano temi universali come natura, vita e morte, invitando a una riflessione sulla condizione umana. Opere come “Autoritratto in compagnia della morte” ed “Ecce pictura” mostrano la capacità di Bottoni di unire ironia e gravità, offrendo una meditazione sull’artista e sulla rilevanza eterna della pittura.

Maurizio Bottoni, “San Sebastiano”, 1989, tempera all’uovo su tavola, 114 x 95 cm, Suzzara, Mantova, Museo Galleria del Premio Suzzara; “Autoritratto in compagnia della morte”, 1989, tempera all’uovo su tavola, 75 x 50 cm, collezione dell’artista

Marica Marchese: Quando conobbe Giorgio de Chirico?
Maurizio Bottoni: Incontrai de Chirico alla fine degli anni Sessanta a Venezia, alla galleria Santo Stefano. Ero molto giovane, ma lui fu molto sensibile alle mie domande perché mi occupavo già di tecniche pittoriche. Ci furono molti altri incontri negli anni successivi. Consideravo de Chirico uno dei più importanti artisti del Novecento e seguii la sua linea, con prove e riprove già da ragazzo. Non c’era nessun maestro che desse delle ricette esatte, poi pian piano le scoprii io, con l’aiuto di de Chirico e di altri pittori come Ugo Celada da Virgilio. Erano gli anni in cui sperimentavo, mentre prendeva piede l’Arte Povera. Frequentai un po’ quegli ambienti, ma poi mi accorsi che non mi interessavano e iniziai da solo a fare le mie ricerche.

Ci sono state opere che ha ritenuto fondamentali per i suoi inizi? Ha parlato di unetà precoce in cui si è avvicinato alla pittura, è stato per merito della sua famiglia?
No, la mia famiglia era particolare. Mia nonna era una cantante lirica, mio padre lavorava in Rai. Ho seguito un mio istinto, anche perché ho passato la primissima infanzia con i nonni nel bergamasco, a contatto con la natura. Da lì ho iniziato a interessarmi alla figurazione. Quei ricordi e quelle icone rimangono nella mia testa. I pittori che mi hanno sconvolto sono stati tanti, da Grünewald a Dürer. La storia dell’arte è costellata da centinaia di artisti. Noi italiani abbiamo la fortuna di confrontarci con i migliori artisti al mondo, quindi mettersi nel solco dei grandi diventa faticoso.

Maurizio Bottoni, “Ecce pictura”, 2003, olio su tavola, 50 x 60 cm, collezione dell’artista

Perché ha scelto la pittura figurativa?
Il percorso di un artista ha strade e incontri che ti cambiano nel tempo. Ho avuto la fortuna di frequentare registi, poeti e scrittori come Dino Buzzati e Giorgio Soavi. Gli incontri cambiano lentamente le tue visioni. Ho un mio modo di affrontare la realtà e la pittura. Guardo sempre il soggetto, che può essere un filo d’erba come una composizione complessa, per il fascino che muove in me. La scelta è data dal mio modo estetico di percepire le cose, frutto di modelli visivi che partono dall’antichità fino ad oggi.

Potremmo parlare di un destino collettivo dell’umanità. Proprio nel segno delle esperienze universali, uno dei temi ricorrenti nelle sue opere è la morte e, in generale, la Vanitas. Ricordo il suo “Autoritratto in compagnia della morte” del 1989. Perché si è ritratto così, o come in “Ecce pictura” del 2003?
“Autoritratto in compagnia della morte” è una citazione di un celebre quadro di Böcklin, che fu l’ispiratore e il maestro di De Chirico e della Metafisica, “Autoritratto con la Morte che suona il violino” del 1872. È stato un gioco, una connessione tra artisti, il mio sentire attraverso queste opere. “Ecce pictura”, invece, è una presa di posizione ironica. Ho sentito per troppo tempo dire che la pittura è morta, così ho deciso di dipingermi decapitato come San Giovanni Battista, con la testa nel piatto. Se fra mille anni ci sarà un ragazzo che prenderà ancora in mano un pennello e un colore, vorrà dire che la pittura non sarà morta, mentre saranno morte probabilmente tutte queste forme d’arte a cui assistiamo oggi. È una protesta pacifica, insomma!

Maurizio Bottoni, “Zucca rossa”, 1997, olio su pergamena, 50 x 40 cm, Milano, collezione privata; “Asparagi”, 2016, olio su tavola incamottata, 40 x 30 cm, collezione dell’artista

È facile fruire unopera darte, ma non è chiaro quanto tempo ci voglia per eseguire con tale maestria uno dei suoi dipinti. Qual è stato il dipinto tecnicamente più impegnativo che abbia mai realizzato?
I dipinti importanti sono diversi, ma non sono più in Italia. Una collezionista americana ha acquistato un grande dipinto di quattro metri per due, portandolo in California. Adesso è visibile solo sul web, il titolo era “Migrazioni” ed era stato esposto alla Biennale di Venezia del 2011. Un altro grande dipinto, il cui soggetto è un bosco, è nella collezione di Carlo De Benedetti. Opere molto impegnative dal punto di vista tecnico e di misure. Non ho delle regole precise: il dipinto può riuscire immediatamente o andare avanti per mesi. Quando sento che non funziona, rivolgo la tavola verso il muro e la riprendo dopo un mese o due. Il tempo è dato dal mio modo di sentire e vedere le cose. Sono svelto a dipingere quando la mia idea è chiara. Quando ho dei dubbi rallento o mi fermo. A me interessa il contenuto nell’opera, non l’esibizione della tecnica.

Maurizio Bottoni, “Unknown”, 2007, olio su tvola incamottata, 81 x 68 cm, collezione dell’artista; “Scimpanzé”, 2024, olio su tavola incamottata, 60 x 50 cm, collezione dell’artista

Osservando i suoi dipinti dedicati alla natura, mi sono chiesta se fosse partito da osservazione diretta o da una foto.
La mia pittura non è iperrealista. L’iperrealismo è una corrente americana della fine degli anni Sessanta che al 90% ha usato la fotografia come punto di partenza, cosa che io faccio solo in rari casi, giusto per ricordarmi la forma particolare di un albero. Dipingo dal vero, faccio dei bozzetti e poi vado a memoria nello studio, esattamente come facevano “gli antichi”. La fotografia, per me, non porta da nessuna parte perché ti lega a una comodità, mentre la pittura deve essere un substrato di fatica e riflessioni. Sono un pittore figurativo. C’è anche un problema tecnico che non tutti comprendono, relativo alla materia pittorica. I grandi maestri, dai Fiamminghi a Giambattista Tiepolo, avevano segreti per fabbricarsi alcuni colori. Avere la materia pittorica non significa spremere il tubetto di colore sulla tavolozza e dipingere; è tutto un altro mondo. Ci sono elementi chimici e tecnici che, dopo lunghe ricerche, permettono alla materia di vivere di vita propria. Chardin sosteneva che quando la pittura è fatta con questa materia puoi dipingere tutto, qualsiasi cosa prenderà vita. Molti giovani artisti si limitano a dipingere bene, ma quella non è pittura, è una descrizione. Io ho la mia tavolozza; i colori in commercio sono spenti, mentre il colore deve avere vita, deve far emergere la luce interiore e vibrare. In passato, questo tipo di conoscenza era diffusa, ma dall’Ottocento si è persa e solo pochi continuano a possederla. Gli Impressionisti dichiaravano di dipingere la luce, ma non avevano la luce nel colore. Ricordo che da ragazzo visitai i musei dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove c’è un piccolo ritrattino di Memling con un cielo così trasparente che sembra di poter attraversare con il dito quell’aria. Questa è la qualità pittorica che intendo io. La pittura, inoltre, deve avere dei contenuti. È inutile dipingere una mela, se poi quella mela non dice nulla, stessa cosa per i ritratti. Devi essere concentrato e preparato sulla storia dell’arte, come tutti gli artisti che contano hanno sempre fatto, altrimenti non vai da nessuna parte. L’ignoranza è inammissibile! Gli artisti giovani devono essere in grado di fare fatica, non basta saper disegnare e dipingere, devono concentrarsi su sé stessi. L’unico consiglio che potrei dare è di avere la forza e il coraggio di proseguire, anche se il resto del mondo ti dice di no, oltre che studiare sempre di più.

Marica Marchese

Info:

Maurizio Bottoni. Eterna pittura
A cura di Vittorio Sgarbi
5/07 – 26/12/2024
Castello Estense di Ferrara
www.castelloestense.it


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