Hic Sunt Leones (Qui ci sono i leoni) è il titolo dell’evento multimediale di Max Papeschi, curato da Gianluca Marziani, attualmente in mostra a Roma, con un successo strepitoso di presenze nonostante le bollenti temperature estive. Titolo che suona come un avviso che si rifà alla originaria locuzione latina, che veniva usata in ambito storiografico per indicare le terre inesplorate dell’Africa. In questo caso, invece l’espressione latina è una metafora per riflettere sul ventennio fascista ribaltato e shakerato in pixel artistici, sarcastici e satirici.
Mettetevi comodi perché non vi parlo solo di un visionario singolare, noto sia in Italia e sia all’estero, attratto dalle potenzialità della composizione digitale, appassionato di storia e dalle dinamiche di potere, ma anche di un professionista del mondo teatrale, cinematografico e televisivo, dai quali ha ereditato una spiccata visione scenica narrativa e una consapevolezza digitale con cui approda al mondo dell’arte contemporanea nel 2008. Sto parlando di Max Papeschi: un artista esploratore di continenti pixellati ancora inesplorati con richiami alla contemporaneità allungata e accoppiata a icone universali in un mix di visioni glaciali, bizzarre, umoristiche dei nostri tempi, attirando l’attenzione di un pubblico estremamente variegato di non addetti ai lavori. Davanti alle sue creazioni digitali con le immagini di dittatori contemporanei, scomposti e riproposti in modo eccentrico, bislacco e “papeschiano” ci si diverte immediatamente e poi si metabolizza una riflessione sul senso della Storia e dei fatti storici.
D’altronde, Pirandello aveva già ampiamento parlato dello sguardo umoristico sul mondo con l’esempio noto della “vecchia signora tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili” della quale in molti rideranno ma sarà una risata amara che ha a che vedere con il sentimento del contrario. Così, mosso da un umorismo pop, Papeschi gioca e si diverte in modo esageratamente e volutamente estremo con la storia.
Per Hic Sunt Leones l’artista ha realizzato un’installazione multimediale site specific presso il WEGIL, il celebre palazzo di Trastevere dove nacque la GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Qui, Papeschi ha inscenato una parodia del Fascismo con protagonisti le camicie nere e il Duce stesso, le cui effigi sono composte dai corpi “originali” in tenuta militaresca, ma sormontati dalla testa di Topo Gigio: colui che ci salverà dal male, appunto. Proprio la figura iconica di Topo Gigio rappresenta l’“oggetto” in cui si identificheranno molte generazioni che attraverseranno, forse senza rendersene conto, un pezzo di storia fascista per vedere in questo topo la funzione salvifica anche dei nostri tempi perché in fondo siamo pur sempre attorniati da diverse camicie nere. Non quelle del passato ma quelle del presente.
C’è da dire anche che i topi ormai sono assunti a simbolo emblematico nel mondo artistico: da Banksy a Papeschi e viceversa perché in esso c’è una dimensione oscura – vista la propensione dell’animale a vivere in luoghi nascosti – che gli artisti vogliono ribaltare a far vedere da un altro punto di vista. Allora, entra in scena la logica dell’assurdo, che ha la funzione di calare il peso della storia nella leggerezza, nella frivolezza dell’immaginario condensato in un topo, che filtra inconsapevolmente i crimini della storia insieme all’ilarità annessa al suo stesso personaggio.
E non finisce qui perché questa installazione multimediale, inoltre, si compone di un video che ripropone il videoclip della popolare canzone fascista Faccetta Nera, realizzato con Maurizio Temporin, e di cinque stampe – frames dei momenti più iconici e comici del video – sempre realizzate con la tecnica del collage digitale, di cui Papaeschi è pioniere almeno in Italia e due cut – out figures ovvero la raffigurazione del Duce, a testa in giù. Questo è il punto cruciale: sorriderete certamente davanti a certi accostamenti impensabili di Papeschi che gioca, per esempio, con l’immagine del dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-Un, inserito in contesti iconici artistici – almeno in questo lato del mondo – come La Primavera del Botticelli o L’Ultima Cena di Leonardo con Trump, creando un connubio paradossale tra vita-morte, bene-male, bello-brutto, assurdo-reale.
Papeschi, acuto regista di pixel, recluta e porta artisticamente nella scena digitale “oggetti” storici e mediatici del nostro mondo, orchestrando un umorismo pop e sarcastico per non far dimenticare la storia. E se c’è Topo Gigio vuol dire che ci salveremo e ci sarà la voglia di raccontare la Storia. Anche in chiave Pop!
Info:
Max Papeschi davanti alla sua opera Verily, verily, I say unto you, that one of you shall betray me, 2018. Ph. Consuelo Fabi
Max Papeschi, Aspetta e spera che già l’ora si avvicina!, 2020
Max Papeschi, Little Black Face, 2020
Max Papeschi, La storia ci insegna, 2020
Attraverso l’arte sente l’esigenza di accostarsi sempre di più alla natura, decidendo di creare una residenza artistica sull’Etna come un “rifugio per l’arte contemporanea” per artisti e studiosi. Nasce così Nake residenza artistica. Vince il Premio Etna Responsabile 2015. Nel 2017, è invitata nella Sala Zuccari, Senato della Repubblica, come critico d’arte. Scrive per artisti italiani e stranieri. Curatrice del primo Museo d’Arte Contemporanea dell’Etna e del progetto “Etna Contemporanea”.
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