Se il medium è il messaggio, Mehrnoosh Roshanaei lo ha capito benissimo nella sua ricerca da artista multidisciplinare, scivolando tra un media e l’altro e comprendendo alla perfezione le esigenze di ogni mezzo per trasmettere la sua poetica.
Ciò è evidente nella personale curata da Leonardo Regano, visitabile alla Red Lab Gallery, piccolo black cube milanese pieno di sorprese, fino al 31 dicembre. “Bāzghašt/Ritorno”, questo il titolo della mostra, parla di noi, del nostro pianeta, del nostro rapporto con la memoria, della paura della dissoluzione e dell’eterno ritorno. La sala ci accoglie mostrando i diversi media usati: pittura, video e realtà aumentata, il tutto accompagnato dal canto del Kauaʻi ʻōʻō, ultimo esemplare di una specie di uccelli originaria delle Hawaii. L’opera, The last song (2021) accompagna non solo l’intera visita, ma si fonde con il video realizzato in 3D di una camelia che lentamente si decompone, si estingue, come tante altre specie vegetali. L’angoscia iniziale del video, però, si trasforma in un cielo stellato, una nube di atomi, facendo presagire una nuova rinascita. La memoria, in questo caso, non è umana, ma è quella del nostro pianeta intero. Ne sono rappresentanti, nella poetica dell’artista, gli uccelli, animali migranti spesso dimenticati nel disastro ambientale che ci circonda, e le specie vegetali, prime silenziose vittime del cambiamento climatico.
Il grande dipinto La speranza è quella cosa piumata (2022) è un sunto dell’opera di Mehrnoosh Roshanaei. Il tema del paesaggio, dal lato tecnico continuamente rimaneggiato, materico, contrasta con la grande gru, che sta volando, migrando. Questa è sinteticamente rappresentata come se fosse un pugno di pixel, come se, a causa dell’estinzione precoce di molte specie, non riuscissimo a metterla a fuoco, in una dimensione tra sogno e realtà. O tra tecnologia e natura. Come scrive Regano, Roshanaei ci parla del «rapporto umano-natura e la mediazione che subisce per mezzo dell’elemento tecnologico». Ritroviamo la riflessione sulla percezione di realtà e tecnologia nell’opera in VR Yonder (2018). Quest’opera immersiva racconta un viaggio, una migrazione tra non-luoghi che rientrano nell’immaginario collettivo di ciascuno/a di noi, rievocando la dimensione del sogno e del deja-vu, ma con la consapevolezza che umani e animali si muovono, si spostano, affrontano viaggi ai limiti dell’incredibile.
Canto del cigno (2021), olio su tela, rappresenta di nuovo una specie di uccello e un fiore, entrambi pixelati. Posizionata in alto, crea un ponte tra il soppalco e la sala inferiore, unificando la vista globale e rendendo uniforme lo spazio espositivo. L’elemento della montagna qui presente si ripete in quasi tutte le opere pittoriche, rievocando la grande massa rocciosa ricordata dall’artista presente nella sua infanzia: questo elemento infatti non è ricavato da fotografie, ma è solo frutto dei ricordi, della memoria umana con tutte le sue inesattezze e percezioni. Il dipinto Hope (2021) ci accoglie salendo le scale: in questo caso le gru sono due. Come ci segnala il titolo dell’opera, l’accenno di speranza non manca mai nella poetica dell’artista, seppur il dato degli animali risulta sempre nella perfetta sintesi formale dei pixel. C’è ancora una dimensione di sfocatura, di sogno e realtà. Le tonalità grigie che accomunano le opere ricordano il cielo di Teheran, eccetto in Damavand (2020), dove le tonalità ocra della montagna rappresentata gridano nostalgia. Primavera, l’ultimo video, parla di noi, della cultura umana e del mondo dell’arte. Tre sculture classiche si modificano, si annullano e poi si rendono riconoscibili, attraverso un’invasione floreale che le de-compone. Niente in questa Terra è eterno, ma niente si distrugge: tutto si trasforma.
Claudia Corso Marcucci
Info:
Mehrnoosh Roshanaei, Bāzghašt/Ritorno
6/10/2023- 31/12/2023
Red Lab Gallery, Via Solari, 46, 20144 Milano
http://www.redlabgallery.com/
is a contemporary art magazine since 1980
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