Sin dagli inizi del Novecento le indagini artistiche e progettuali sulla città del futuro hanno appassionato generazioni di creativi visionari che in molti casi sono riusciti ad anticipare le tendenze abitative degli anni a venire per essere poi superati dagli esiti più all’avanguardia della ricerca architettonica. Se Antonio Sant’Elia nel Manifesto dell’Architettura Futurista immaginava un’enorme conurbazione multilivello e meccanizzata, nel 1927 il suo eroico espressionismo industriale assumeva i contorni dell’incubo in Metropolis, capolavoro del regista austriaco Fritz Lang e indiscusso modello di capisaldi della fantascienza come Blade Runner e Guerre Stellari. Un secolo dopo l’architetto bulgaro residente a Londra Tsvetan Toshkov elabora la sua utopica metropoli ad alta quota dove gli abitanti possono evadere dall’inquinamento e dal caos sottostanti in torri di vetro modellate a forma di fiori di loto che ospitano orti biologici e spazi di ristoro. Addentrandosi nel futuro appare sempre più complessa la conciliazione di un’adeguata qualità della vita del singolo con le esigenze produttive di una collettività manovrata da impersonali oligarchie. Prontamente recepite anche dall’industria del divertimento, le angosce della globalizzazione sono lo scenario di nuove fantasie popolari, come ad esempio il videogioco SimCity che esorcizza l’impotenza del singolo sfidandolo a governare l’immaginaria megalopoli del futuro con le armi del consumismo e della ricerca tecnologica utilizzate come strumenti di arricchimento veloce. Abbandonati gli ideali di concordia e uguaglianza, il sogno che serpeggia nell’era della virtualità e della partecipazione a distanza sembra essere un individualismo esasperato che si trastulla nella vanitosa celebrazione del proprio ego regnante su un micro mondo autistico e privato.
Proprio su queste problematiche è incentrata l’installazione di Ludovica Carbotta che sovrasta il Parco del Cavaticcio di Bologna: due candide strutture post human si ergono ai lati del canale che lo attraversa per simboleggiare le torri di accesso a un’immaginaria città sopraelevata in fase di costruzione descritta nell’audio guida che completa il progetto. Una voce suadente accompagnata da una carezzevole colonna sonora racconta le meraviglie di Monowe, la città più esclusiva al mondo progettata per una sola persona: lontano dalla frenesia della vita inferiore l’unico abitante potrà vivere nell’isolamento di un paradiso pensile dove le più sofisticate tecnologie si prenderanno cura delle sue esigenze. Parafrasando l’annuncio di un casting televisivo, la guida annuncia infine le selezioni per gli aspiranti inquilini della futuristica abitazione e incita l’ascoltatore ad inviare la propria candidatura.
Rivisitando la tradizione dell’ekfrasis, l’arte di evocare verbalmente la rappresentazione visiva di un oggetto che rimane nascosto allo sguardo, l’artista invita il visitatore a elaborare la propria ipotesi di futuro a partire dalle parole del testo. Le strutture scultoree al Cavaticcio sono ancorate alla città reale da un sottile gioco di richiami cromatici e morfologici che rimandano agli edifici circostanti e fungono da impalcature per l’immaginazione che dovrà edificare lo spazio non visibile. In surreale equilibrio tra realtà e finzione, l’opera affronta la nozione di luogo spogliandola dalla sua apparente neutralità attraverso l’evidenziazione dello scarto che intercorre tra una realtà sempre inafferrabile e la sua traduzione nei diversi mezzi espressivi che ne oggettualizzano la presenza.
La pratica artistica di Ludovica Carbotta, fin dagli esordi incentrata sull’esplorazione fisica dello spazio urbano alla scoperta delle diverse modalità con cui l’individuo stabilisce connessioni con l’ambiente che abita, utilizza ironia e immaginazione come strumenti di conoscenza potenti e sorprendentemente diretti. In Monowe l’artigianale essenzialità dell’installazione enfatizza per contrasto la ridondanza della sua descrizione promozionale, facendo emergere l’onanistico protagonismo da reality show con cui l’individuo tenta di scongiurare l’insignificanza e la reclamizzazione di architetture non ancora costruite tipica di certe speculazioni immobiliari come tratti distintivi della nostra contemporaneità. La solitudine viene proposta non come positiva analisi del sé ma come eliminazione del confronto con l’altro, paradossalmente l’unica via per liberarsi dal terrore dell’anonimato e raggiungere la sospirata autosufficienza emotiva.
Il raffinato apparato concettuale che sostiene questa complessa rete di suggerimenti critici in forma giocosa nulla toglie alla commovente fragilità e bellezza delle due strutture installative che, diafane al chiaro di luna come malinconici trastulli abbandonati, aggiungono una nota poetica alle suggestioni da archeologia industriale che caratterizzano il quartiere. La loro collocazione, nel punto in cui l’architetto Aldo Rossi aveva previsto un ponte per collegare la città al museo quando progettò la radicale ristrutturazione del distretto, intensifica il dialogo tra luoghi reali e immaginati ampliandolo con una prospettiva storica.
Ludovica Carbotta, Monowe
Ludovica Carbotta, Monowe
Ludovica Carbotta, Monowe
Ludovica Carbotta. Monowe a cura di Martina Angelotti, nell’ambito di Dopo, Dopodomani, 6° edizione di ON (24 gennaio – 28 febbraio 2016). Bologna, Parco del Cavaticcio (ingresso da via del Porto, via Fratelli Rosselli, via Azzo Gardino). Audio guida scaricabile in forma di podcast al link https://soundcloud.com/on-public/monoweblic/monowe
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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