A poco più di trent’anni, Florian Azzopardi decise di avviare, nel 2018, l’attività di una galleria online per la promozione dell’arte africana e per essere in definitiva specchio e punto di riflessione della scena contemporanea, offrendo agli autori uno spazio per affrontare le questioni di attualità, legate ad argomenti non solo locali ma anche internazionali, e che vengono poste al centro della loro indagine artistica. Poi, nel 2021, in piena epidemia di Covid-19, apre una sede espositiva a Parigi, in rue Quincampoix. La mostra inaugurale è una collettiva dal titolo “Leaving the City”. L’attività di questa galleria è in linea con l’attenzione che da alcuni anni curatori, galleristi, fiere e musei stanno rivolgendo al continente africano e pertanto agli artisti che lì ancora vi lavorano o a quelli che sono stati segnati dalla diaspora, dal trasferimento, dalla fuga.
Giusto per segnare una pre-cronistoria (per usare un termine caro a Germano Celant), di questa attenzione verso una creatività extraeuropea, all’interno di una visione globalizzata, ricordo alcuni punti fermi: innanzitutto credo sia prioritario ricordare la grande mostra “Magiciens de la Terre” curata da Jean-Hubert Martin per il Centro Pompidou nel 1989 e che indicò all’attenzione dell’Occidente, tra gli altri, il lavoro di Chéri Samba. Poi mi viene in mente una rete più ampia e, in alcuni casi, anche anticipatrice: per esempio il lavoro pionieristico svolto da Linda Givon, la quale nel 1966 a Johannesburg fondò la Goodman Gallery; e lo Studio Museum di Harlem, aperto nel 1968 in un loft di ca. 800 mq, a New York. Successivamente la fiera d’arte di Cape Town e la Biennale di Dakar rivolta all’arte africana, come punti di confronto e di aggregazione.
Ecco, l’attività di Afikaris, che guarda alla promozione di artisti africani emergenti, va collocata all’interno di questa cornice di riferimento e in una strategia di mercato che prevede non solo una semplice attività espositiva, ma anche la partecipazione alle fiere d’arte (per esempio ad Art Paris / Grand Palais Éphémère, dal 7 al 12 settembre, dove la galleria ha presentato una collettiva con opere di Saïdou Dicko, Salifou Lindou, Cristiano Mangovo; mentre a Somerset House, London, dal 14 al 17 ottobre, la galleria porterà il lavoro di Moustapha Baidi Oumarou, Salifou Lindou, Omar Mahfoudi, Nana Yaw Oduro) e perfino l’organizzazione di mostre itineranti e di collaborazioni istituzionali.
Il prossimo appuntamento in galleria è dedicato al lavoro di Moustapha Baidi Oumarou, nato nel 1997 a Maroua, nel nord del Camerun. Il titolo della mostra (“Un monde bleu”) richiama non solo un percorso storico all’interno della storia dell’arte (il mosaico del Buon Pastore di Galla Placidia, a Ravenna; il manto della Madonna per ciò che riguarda l’iconografia tradizionale; i cieli affrescati da Giotto; l’accento immateriale e spirituale di Yves Klein) ma anche un senso di appartenenza collettiva e di abbraccio mondiale all’insegna di un colore che dà serenità a chi lo guarda, e che fa pensare alla vastità del mare o dell’atmosfera. In questo senso Oumarou evoca il sogno di un mondo ideale, un mondo dove la solidarietà e l’amicizia e la pace possano diventare valori universali e la gioia possa essere una condizione quotidiana e non una casualità. Quasi un’istanza matissiana ci viene da aggiungere.
Per lo più si tratta di “ritratti” dove le persone non sono dettagliate nei tratti fisiognomici (diventando così degli assoluti, dei valori universali), ma sono invece rivelate dai dettagli dei vestiti, dei gesti, delle pose e dei fondali che le contengono. La parola “ritratti” l’ho messa tra virgolette perché il volto della persona raffigurata è del tutto inesistente: si tratta di volti anonimi che avvicina questa pittura alle figure di Giovanni Pulze, anch’esse prive di tratti fisiognomici. Non si vede una vera spazialità, quanto un galleggiamento di corpi all’interno di una ambiente che definire decorativo non deve suonare come un insulto, ma solo come una scelta stilistica. Anche in questo senso la lezione matissiana si fa sentire: ritaglio delle figure, elementi vegetali a fare da velario. Il modello nero perde perciò la sua centralità e a differenza di altri autori come Amy Sherald e Kerry James Marshall dove il tema dell’identità e dell’autorevolezza e della celebrazione sono fondamentali, in Oumarou tutto ciò sfuma verso un indistinto che assume il sapore di un universale che guarda all’essere umano come assoluto e non come singolo individuo. Anche perché si sa, il singolo (l’unico, diciamo così) può pretendere di diventare un protagonista e i protagonisti presuntuosi spesso possono diventare gli antagonisti schierati su fronti opposti e con le armi in mano.
Laura Ingoldstadt
Info:
Moustapha Baidi Oumarou, Un monde bleu
02/10/2021 – 02/11/2021
Afikaris Gallery
38 rue Quincampoix
75004 Paris, France
opening hours:
Tue-Sat: 11 am – 7 pm
+ 33 6 85 62 29 53
info@afikaris.com
Moustapha Baidi Oumarou, Les moments au quartier, 2021, acrylic and posca on canavs, courtesy Afikaris Gallery, Paris
Moustapha Baidi Oumarou, Le trône invisible, 2021, 180 x 120 cm, courtesy Afikaris Gallery, Paris
Moustapha Baidi Oumarou, Cliché idéal, 2021, acrilico su tela, 200 x 300 cm, courtesy Afikaris Gallery, Paris
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