«Un’opera d’arte può venire solo dall’interno dell’uomo. L’arte è la forma dell’immagine formata sui nervi, il cuore, il cervello e l’occhio dell’uomo». Così Edvard Munch (1863-1944) parla della propria pittura, inevitabilmente espressionista, scaturita da un innovativo processo di interiorizzazione che perverte le cromie naturali delle cose e trasforma le pennellate di colore in tramite tra sé e il mondo. Sulla scia di questa suggestione, Palazzo Reale a Milano ospita, fino al 26 gennaio 2025, Munch. Il grido interiore. Pensato in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte dell’artista, l’evento è realizzato in collaborazione con Arthemisia e curato dall’esperta Patricia G. Berman. Più di cento pezzi, provenienti dal MUNCH di Oslo e realizzati tra il 1880 e il 1944, compongono un affascinante percorso in sinergia con l’ambiente dalla luce soffusa e le pareti dai toni forti e cupi. L’atmosfera dell’esposizione vuole ricalcare quel sentimento, l’angoscia, a cui Munch ha saputo dare forma visibile. Lo spettatore è coinvolto in toto e portato ai limiti delle sue certezze percettive: i colori si fanno irreali, le linee trasognate, i tratti ansimanti turbamento.
Scossi dall’atteggiamento passivo di chi semplicemente vede una mostra, si è costretti a visitare, abitare le stanze animate da segni stridenti e urlanti e, attraverso queste, entrare nella “camera della malata”. Sentendo in petto quella stessa angoscia che colora i quadri, si percorrono le sale con un certo senso di vertigine, alimentato di volta in volta dalle dichiarazioni del pittore, segnate sulle pareti. Il grido interiore, sottotitolo della mostra, invita il pubblico a liberarsi da canoni estetici e vincoli naturalistici. Solo così i quadri si offrono come buchi della serratura da cui spiare l’operare inconscio dell’artista, costituendone l’autobiografia. Colori sgargianti e innaturali riempiono campiture libere, forme trasognate di un mondo che sgorga direttamente dallo sguardo, corrotto dal dolore, di Edvard. La sua infanzia fu pervasa da malattia e morte, ma a questa durezza il pittore rispose con pennellate morbide e linee che ricordano lo stile liberty. Nonostante il dramma, il giovane non cedette: «Per diversi anni fui quasi pazzo, poi trovai me stesso fissando dritto nella spaventosa faccia della follia».
L’esposizione milanese ben evidenzia il mezzo con cui Munch traspone l’esperienza tragica: la stravaganza cromatica. La sua tavolozza, infatti, dà nuovo significato ai colori iconici (quelli propri degli oggetti) facendone un uso imitativo, ovvero più fedele al reale, oppure evocativo, semplificando le linee per ritrarre un ricordo, e infine simbolico, per rappresentare gli stati d’animo (si noti il verde per la gelosia). Con il colore simbolico si dà forma alla “vita moderna dell’anima” – asserisce Munch. Qui l’aggettivo “moderna” segnala la rivoluzione culturale dell’epoca operata da Freud, Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche o, ancora, Ibsen e Strindberg. Le tele di Munch, tradotte in prosa, non sono che l’immagine della “cosa spaventosa” di Kierkegaard. Uno stesso senso totalizzante di angoscia contraddistingue la mano dell’artista e la voce del filosofo, entrambi aggrappati a una vita abitata dalla disperazione e, al tempo stesso, da una paradossale illusione teleologica. La poetica di Munch, in ultima analisi, manifesta il fenomeno nordeuropeo della sconcertante esplorazione di sé stessi.
Al centro dell’opera di Munch c’è la totalità di quel mondo percettivo ed emozionale da cui sembriamo essere fagocitati e rispetto a cui siamo soliti provare un senso di sublime, quell’inquietudine che ci getta dinnanzi alla grandezza del tutto e ci dà prova della nostra impotenza. Eppure, si può muovere uno scacco in questa partita impari, giocata tra la piccolezza del soggetto travolto e l’aspra natura travolgente: la consapevolezza che quella totalità perturbante è già dentro di noi. Perciò l’artista afferma: «L’inferno è dentro di noi, come il paradiso. È in ogni cosa, in ogni pietra, in ogni fiore».
In quest’ottica, la pittura diviene un’espediente narrativo attraverso cui ex-primere (letteralmente “premere fuori”) il tutto spaventoso e sublime di cui noi stessi siamo parte, la manifestazione dell’organismo io-mondo. Se il processo creativo prima prevedeva la trasposizione del mondo esteriore sulla tela, ora si tratta dell’esatto opposto. Come afferma Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale, «il punto di vista del pittore non è sull’occhio o dentro l’occhio ma si è ritirato dietro il suo occhio che guarda all’interno dell’anima e poi proietta sulla tela i propri fenomeni psichici». Così, partendo dall’intimo biografismo dell’artista, si allargherà la nostra comprensione di un artista che ci appare ancora contemporaneo, ambasciatore di temi universali e insieme singolari, dinnanzi a cui l’indifferenza non è contemplata. Questa mostra commemorativa di Munch ci è di ausilio a riflettere sulla nostra contemporaneità, a riguardare tutto il lavoro di Baselitz e dei successivi Neue Wilden.
Ginevra Ventura
Info:
Munch. Il grido interiore
14/09/2024 – 26/01/2025
Palazzo Reale
Piazza del Duomo, 12 – Milano
www.palazzorealemilano.it
Laureata magistrale in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, città dove tuttora vive, si è specializzata in estetica e critica del contemporaneo. Frequentatrice del mondo dell’arte e dedita alla ricerca, crede nel potenziale dello sguardo interdisciplinare, che intreccia il pensiero critico, tipico della formazione filosofica, e il potere comunicativo dell’arte di dare forma all’identità in divenire del proprio tempo.
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