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Mutaforma. Mutazioni ceramiche del codice CZ

Mutaforma. Mutazioni ceramiche del codice CZ

Terracotta e ceramica come origini. Un maestro come capostipite. Questi due tra i maggiori motivi aleggianti tra le sale vagamente scalcinate dello sfarzoso e seducente palazzo Vizzani a Bologna, sede dell’Associazione Alchelmilla (alle cui attività Juliet ha già dedicato qualche approfondimento[1]). In questo palazzo, infatti, fino al 30 ottobre 2022 si svolge la mostra: Mutaforma. Mutazioni ceramiche del codice CZ, a cura del Collettivo NN, nel contesto del programma di iniziative promosso dal Museo Carlo Zauli di Faenza. Trovano così un significativo momento le relazioni tra questo centro di rilevanza internazionale in tema di terracotta e ceramica e la stessa associazione Alchemilla, realtà entrambe già accomunate dalla promozione di residenze per giovani artisti assistiti da critici ed esperti.

Il maestro nel nome del quale questo incontro si realizza è dunque quello del grande pittore e ceramista Carlo Zauli (1926-2002) nel ventennale della scomparsa. Una celebrazione nella quale si esalta non solo terracotta e ceramica come tecniche antropologicamente primigenie, ma anche lo stesso Carlo Zauli come inventore di un “codice” ovvero come figura eminente nell’impiego di tali tecniche: una figura così rilevante da lasciare tracce riconoscibili in opere di autori successivi, anch’essi cimentatisi in una simile tecnica. La mostra ne presenta un campione significativo (in tutto quarantadue) tra i quali spiccano i nomi di Salvatore Arancio, Pierpaolo Campanini, David Casini, T-Yong Chung, Giulia Dal Monte & Isabela Benavides, Alberto Garutti, Eva Marisaldi, Mathieu Mercier, Jonathan Monk, Ornaghi & Prestinari, Italo Zuffi, Sisley Xhafa, Shafei Xia, Sissi.

A incorniciare il tutto nella presentazione della mostra viene evocato il concetto di metamorfosi: “qui intesa come principio di vita e di relazione che attraversa e lega ogni forma vivente in un tutto organico”. Un concetto, questo, a suo tempo evocato dallo stesso Carlo Zauli nel titolo della sua opera Flessuosità: metamorfosi di un primario (1975), cui l’esposizione assegna una posizione centrale. Un’affascinante e per l’appunto flessuosa configurazione tanto informale quanto poeticamente materica di una ceramica grigio argentea con sfumature rossastre che fiorisce e cola a partire da un’angolatura quasi nascosta al cuore dell’insieme. È attorno a questo manufatto e ad altri del maestro (tra i quali Vaso del 1953, Geometrico del 1973-4, Arata del 1973 e Piatto materico del 1980) che si dispongono in varie sale le opere degli altri autori.

La scommessa sta evidentemente nello stimolare lo spettatore a verificare in che modo e misura gli echi dell’opera di Carlo Zauli risultino risuonare nell’esperienza artistica contemporanea. Una scommessa che si può dire certamente in gran parte riuscita, tale da esaltare la statura del maestro e al tempo stesso confermare che la sua opera funge perfettamente come antecedente del presente dell’arte rivolta a terracotta e ceramica. Un presente che le quarantadue opere fanno risultare quanto mai vario ed eterogeneo, ma dove resta comunque riconoscibile una sintonia più o meno latente o manifesta, diretta o indiretta col “codice CZ”.

Qualche esempio? Difficile farne una necessariamente ristretta cernita, senza temere di penalizzare ingiustamente i trascurati. Correndo il rischio, si citerà telegraficamente il Big Bean (2004) di Mathieu Mercier, di un biancore lucido e smussato che invita a una seduta sia pur fugace e instabile, il Servizio Osseo di Sissi del 2016, che fa pensare a uno smagliante quanto sinistro e impossibile ritrovo per cena, il tronco scuro, sradicato e appoggiato su un supporto luccicante (Senza titolo del 2005) di David Casini. Menzioniamo poi Polpa e nocciolo (2006) di Sergia Avveduti, dove compaiono riprodotte e ingrandite  le forme di scacchi medievali che lasciano intravedere un’anima lignea, la Tigre Barca di Shafei Xia (2020), con le immancabili tette con capezzoli rossi (oppure gelati con ciliegina?) trasportati sul dosso dell’animale-imbarcazione e infine la Madonna di Alberto Garutti del 2008, del tutto simile a quelle più abituali, modello Lourdes, tranne il fatto (attenzione!) di essere diversa al tatto, perché calda, ovvero riscaldata.

Meno convincenti, almeno nei loro intenti provocatoriamente ironici, paiono essere invece  le Prove di volo del 2017 di Ornaghi & Prestinari, dove due vasi di terracotta si trovano avvolti in due cuscini per prevenire la rottura in caso appunto… di volo o Toothpick (2006) di Sislej Xhafa, in cui uno stecchino in lucida ceramica bianca sotto teca di vetro intende celebrare quello ligneo da sempre tenuto in bocca dal nonno dell’autore, così pure Claymation (Black) di Jonathan Monk, una semplice pattumiera nera a grandezza naturale.

[1] https://www.juliet-artmagazine.com/luca-campestri-in-residenza-studio-da-archemilla/

https://www.juliet-artmagazine.com/la-verita-fuori-terra-di-mattia-paje-da-alchemilla-bologna/

Info:

Mutaforma. Mutazioni ceramiche del codice CZ
22/09/2022 – al 30/10/2022
Associazione Alchemilla
via Santo Stefano, 43 Bologna

MutaformaMutaforma. Mutazioni ceramiche del codice CZ, installation view at Palazzo Vizzani, Bologna, photo Matilde Piazzi, courtesy Alchemilla e Museo Carlo Zauli, Faenza

Carlo Zauli, Flessuosità. Metamorfosi di un primario, 1975, courtesy Alchemilla e Museo Carlo Zauli, Faenza

Jonathan Monk, Claymation (Black), 2015, courtesy Alchemilla e Museo Carlo Zauli, Faenza


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