L’essere umano è in continuo cambiamento (mentale, geografico, biologico e affettivo) e negli ultimi anni questa riflessione ha acquisito una nuova e drammatica attualità con l’esteso fenomeno delle migrazioni, conseguenza delle guerre e delle disparità economiche che affliggono la nostra contemporaneità globalizzata. Le immagini veicolate dai media che documentano quest’inarrestabile diaspora spesso pongono l’accento sulla fisicità fragile e indistinta degli espatriati in cerca di sicurezza e integrazione, riportando prepotentemente in auge una visione inquietante e irrisolta del corpo, inoppugnabile prova delle tragedie della sperequazione mondiale.
La mostra Frammenti, prima personale italiana dell’artista cubano Napoles Marty in corso a Isolo 17 Gallery, recepisce in modo estremamente sensibile queste istanze, interpretandone le suggestioni in chiave universale ed esistenziale. La sua ricerca è incentrata sulla raffigurazione di scene corali in cui corpi potenti ma perennemente incompleti combattono tra loro e con sé stessi per conquistare un’irrealizzabile integrità. Le loro incongruenze e mutilazioni, che diventano oggetto di una narrazione appassionata e istintiva, non devono essere viste come decadimento e perdita, ma come positivo segnale di metamorfosi che parte dal presupposto dell’impossibilità di ogni assetto definitivo. A questo modo la violenza formale dell’immagine rispecchia una disperata volontà di relazione con il sé e con il mondo, che di volta in volta assume una connotazione tragica, erotica, surreale e ironica.
Alle pareti della prima sala della galleria troviamo una serie di monumentali carte dipinte che immergono l’osservatore in una visionaria gipsoteca dove gruppi di erme classicamente muscolose rinnegano l’originaria scultorea compostezza per diventare opulenti ingombri carnali animati da ciechi istinti di sopravvivenza. Ogni gladiatore si scontra con gli altri nel tentativo di appropriarsi delle membra che gli mancano sottraendole ai propri avversari, ma lo sforzo si rivela sempre vano perché appena sembra sul punto di raggiungere l’obbiettivo, un altro rivale riuscirà a rubargli qualcosa e la zuffa si protrarrà all’infinito. In questa arena senza esclusione di colpi appare di vitale importanza il possesso delle teste, sempre in numero inferiore a quello dei lottatori, che vengono contese con accanimento e bramosia. Nei disegni di Napoles Marty, a prima vista istintivi e realizzati di getto, convergono le più raffinate reminiscenze della storia dell’arte, come la terribilità delle figure michelangiolesche, il senso di “mischia” come viscerale compenetrazione tra individui dei cartoni preparatori della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci o il culto del corpo di Luca Signorelli. Ma anche le deformazioni espressioniste di Schiele o il ribollire della carne di Bacon, il tutto inteso non come intenzionale citazione ma come appartenenza a un ancora vivace lignaggio artistico che fomenta la speranza che in pittura il corpo possa continuare a essere ribelle e perturbante.
La naturale vocazione plastica dei disegni si concretizza nelle tre sculture presenti in mostra, formate da sproporzionati assemblaggi di membra umane in gesso la cui fisicità prosegue appena sbozzata o disegnata nei basamenti in legno sommariamente digrossati a colpi di machete. Se nei disegni la veemenza dei contorni tracciati con il nero è bilanciata da tenui sfumature acquerellate che alludono alla vulnerabilità della carne, qui la frangibilità del gesso (solitamente utilizzato nella statuaria in bronzo come materiale di transizione) trova complementarietà nella resistenza e nel peso del legno lasciato grezzo. Le incongrue creature scolpite e modellate dall’artista sembrano materializzare i provvisori esiti della lotta precedente come imperfetti sforzi di ricomporre un’unità organica mettendo assieme i disparati brandelli di corpo che ogni personaggio è riuscito ad accaparrarsi nel disordine della battaglia. Anche qui sarà impossibile rintracciare un’identità univoca perché ogni aggregato appare instabile e illogico, ma proprio la precarietà del suo misterioso equilibrio è la principale fonte della forza di attrazione che esercita su chi lo guarda.
Nella seconda stanza della mostra un’intera parete è occupata da un mosaico di carte di piccolo formato che riprendono in chiave essenziale e bozzettistica le scene di lotta raffigurate in grande scala. Qui la teatralità e la drammaticità delle precedenti opere si stempera in composizioni più fluide popolate da pochi personaggi liberamente sospesi nello spazio astratto del foglio. Il suggestivo insieme dei disegni sembra voler comporre un ambiguo di storyboard in cui ogni episodio, narrativamente slegato dagli altri ma emotivamente affine, contribuisce a delineare un’epopea minore del corpo impegnato a sperimentare le sue pulsioni per cercare di comprendersi e completarsi. Alcuni elementi appaiono numerati a matita come se fossero stati prelevati da un irrazionale manuale di anatomia, ma l’incoerenza delle indicazioni elude qualsiasi pretesa di sistematicità e di soluzione. La mutevolezza di questi disegni, inoltre, conduce lo sguardo nell’intimità del processo creativo dell’artista che, rispettando l’indole metamorfica dei suoi soggetti, non ne costringe le evoluzioni in uno schema determinato a priori ma si lascia guidare dalle loro istanze contradditorie per assecondarle con il segno e il colore.
Info:
Napoles Marty. Frammenti
a cura di Jessica Bianchera
Dal 15 marzo al 30 aprile 2019
Isolo 17 Gallery
Via XX Settembre 31/b Verona
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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