Si è conclusa lo scorso fine settimana con una giornata densa di appuntamenti ed emozioni la 24esima edizione del Festival Natura Dèi Teatri, rassegna annuale dedicata alle arti performative contemporanee curata a Parma da Lenz Fondazione con la direzione artistica di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto. A fare da fil rouge tra le variegate proposte della programmazione di quest’anno, un suggerimento concettuale tratto dalle ricerche dei filosofi francesi Jean-Luc Nancy e Gilles Deleuze (l’ossimorica complementarietà tra uno spazio creativo striato e liscio, un invito a muoversi in libertà, senza obiettivi prefissati) e la rilettura su più fronti della saga mitologica degli Agamennidi. Le truci vicende della famiglia del re di Micene che non esitò a sacrificare agli dei la figlia Ifigenia per far salpare la flotta dei Greci, trattenuta da venti contrari, diventano metafora degli eccessi e delle perversioni della postmodernità, mostrando come le inquietudini colte ed esasperate che gli antichi greci formalizzarono in spettacolo tragico, siano oggi tutt’altro che risolte. I testi de l’Iphigenia in Tauride e l’Iphigenia in Aulide di Euripide, l’Agamennone e Le Coefore di Eschilo sono stati il punto di partenza per un consapevole inabissamento nelle profondità degli archetipi umani, dove istinto, etica e ragione si compenetrano in un incandescente amalgama di pulsioni senza tempo.
Clitennestra, aiutata dall’amante Egisto, uccide il marito Agamennone per punirlo del presunto sacrificio di Ifigenia e del tradimento con la sacerdotessa Cassandra, riportata in patria come schiava di guerra, seconda vittima del suo implacabile desiderio di vendetta. Anni dopo figlio Oreste, su ordine di Apollo, s’introduce nella reggia dove Agamennone è stato sostituito da Egisto e uccide gli assassini di suo padre facendo trionfare la giustizia e liberando Argo dalle tracce delle passate atrocità. La vicenda fa emergere una concezione fatalista e inflessibile della giustizia, che si abbatte inesorabilmente sui colpevoli anche a costo di generare nuove colpe che graveranno per sempre sul destino dei suoi intermediari umani. È coraggioso e particolarmente opportuno parlare di responsabilità e colpa in un’epoca individualistica come quella in cui ci troviamo a vivere, in cui la smaterializzazione digitale dei rapporti interpersonali sembra allentare il rapporto causa-effetto delle interazioni umane e generare un ampio limbo di impunità telematica in cui esorcizzare con la sopraffazione il costante senso di perdita che ci attanaglia.
La giornata conclusiva di Natura Dèi Teatri, sabato 30 novembre, si è aperta con il solo show dello sloveno Boris Kadin, invitato in residenza da Lenz Fondazione per presentare, in prima assoluta, la performance Orestea. Dystopian, creata su commissione del Festival in dialogo creativo con la riflessione sulla trilogia di Eschilo condotta da Lenz. Nel linguaggio medico la distopìa è lo spostamento (in genere per malformazione congenita) di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede e per estensione indica una rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi.
Dystopian è un aedo contemporaneo che ibrida il fraseggio ritmico del rap con nostalgie balcaniche, non-sense dadaisti e un tappeto sonoro di effetti acustici stridenti. Ma Dystopian è anche, come molti di noi, un assassino postmoderno che condanna il padre all’obsolescenza intellettuale e fisica delegando a professionisti estranei il suo accudimento. Anche lui è un “organo fuori posto” del sistema perché si rifiuta di anestetizzare la sua colpa con un’igiene etica di facciata e la enfatizza facendola risalire a una genetica predestinazione umana a uccidere che si tramanda da una generazione all’altra. Molto riuscito l’allestimento scenico che, proiettando l’interprete su uno sfondo digitale rosso pompeiano, lo assimila a un personaggio da pittura vascolare immerso in una narrazione scandita da oggetti emblematici.
In Orestea #1 Nidi, seconda tappa della serata, il sipario si apre sul tormento di Clitennestra, incupita dal recente incubo di partorire un serpente che dal suo seno succhia latte e sangue, chiaro presagio della collera degli dei nei suoi confronti. La regina, una donna che parla come un uomo, uccide il marito Agamennone, reo di essere tornato da Troia conducendo con sé la giovane schiava-trofeo Cassandra. L’omicidio, ragiona il coro, è l’atto più audace che la passione abbia mai ispirato a una donna, una sovversione all’ordine naturale delle cose.
L’azione scenica, compressa in un claustrofobico ambiente ibrido tra la stanza di contenzione e l’anticamera del carcere, è incentrata sul conflittuale incontro tra Clitennestra e Cassandra, animale selvaggio catturato da poco che segue la pista che porta al sangue, la cui estasi profetica ripercorre le disgrazie subite in passato dalla casa degli Argolidi che culminano con l’imminente uccisione di Agamennone e di lei stessa. In questa drammaturgia Lenz opera una regressione primaria e patologica della tragedia classica, di cui mantiene la struttura narrativa, l’alternanza tra quadri tragici e stasimi e l’assunto di fondo che il male chiama altro male. Lo spettacolo, incalzante e a tratti isterico, ha a mio avviso i suoi momenti culminanti nell’animalesca morte del cigno interpretata da Sandra Soncini (Clitennestra) con crudo realismo e nella sinistra filastrocca saltellante Ahi, sfortuna, sciagura! canticchiata da Cassandra (Carlotta Spiaggiari). La tensione, che si accumula senza controllo per 50 minuti, sfocia nella catarsi finale, il parto-morte-compenetrazione delle due protagoniste in una tana regale.
Pochi secondi e un breve intervallo di luce ci separano dalla terza e ultima rappresentazione. Orestea #2 Latte inizia con il lamento di Ifigenia e di Elettra sulla tomba del padre Agamennone, dove Oreste è già arrivato in segreto. Il ragazzo, dopo essersi fatto riconoscere dalle sorelle che lo convincono a portare a termine la vendetta, si presenta alla madre, sotto mentite spoglie, portando la falsa notizia della propria morte. Morte contro Morte. Amore contro Amore: Oreste è prigioniero di una concatenazione di scelte obbligate che si scontrano con la sua giovanile integrità, che la recitazione di Barbara Voghera restituisce intatta e commovente.
La famiglia è qui scardinata e sezionata nelle sue sotterranee dinamiche di sopraffazione, inganno e subordinazione, che trovano una monumentale allegoria nella scena di impronta quasi liturgica in cui Clitennestra nutre/avvelena i suoi figli con un latte-inchiostro indelebile come la colpa di cui si macchieranno. Il rimedio è qui, in questa casa – afferma la regina in un falso tentativo di arginare l’irriducibilità della violenza – Non è fuori, è proprio qui. È colpa del destino, è sua la colpa. Oreste si è palesato, vince le esitazioni e trascina la madre fuori scena dove, sordo alle sue ragioni, la giustizia accanto al cadavere di Egisto. Come nel teatro greco anche qui l’atto cruento è solamente alluso e la sua portata si ingigantisce come il fantasma della regina, che ritorna in scena a perseguitare con voce suadente il figlio, rannicchiato in culla nell’impossibile tentativo di obliare il trauma del matricidio.
Info:
Boris Kadin, Orestea. Dystopyan – Ph Francesco Pititto
Boris Kadin, Orestea. Dystopyan – Ph Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Orestea #1 Nidi – Ph Maria Federica Maestri
Lenz Fondazione, Orestea #1 Nidi – Ph Maria Federica Maestri
Lenz Fondazione, Orestea #2 Latte – Ph Maria Federica Maestri
For all images: courtesy Lenz Fondazione – Natura Dèi Teatri
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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