Il Museo Giacomo Manzù di Ardea (RM) ha inaugurato, alle 16:30 del 16 marzo 2022, Nei colori de giorno. Per un monumento al limite ignoto, imponente opera pittorica dell’artista romano Matteo Montani (1972). L’opera, vincitrice del premio PAC2020, il Piano per l’Arte Contemporanea voluto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC, occupa nella sua interezza i circa cento metri quadri della parete sud della struttura inaugurata nel 1981.
Nei colori del giorno appare allo sguardo solo dopo essere entrata a contatto con l’acqua. Per mezzo di un controllato sistema di irrigazione, collocato sulla sommità dell’edificio, la facciata – resa bianca grazie a una speciale vernice concepita dallo stesso artista – rivela a poco a poco la presenza di uno spettro cromatico completo, le cui frequenze, che appaiono dapprima nelle forme di sottili pinnacoli – lemmi cari al vocabolario formale di Montani – arrivano lentamente a compenetrarsi l’una nell’altra, vicendevolmente, dando vita a campi cromatici più vasti e riconducendo il molteplice a unità.
Già dal titolo appare chiaro che a essere evocata è la meraviglia dell’arcobaleno, l’incanto dell’istante in cui la luce del Sole colpisce le gocce d’acqua in sospensione nell’aria. Un fenomeno spiazzante, in grado di rallentare i ritmi ossessivi del pensiero e di rilassare l’anima, dilatando il tempo e facendo coincidere l’attimo con l’eterno. Quello di Montani, pittore sempre “a caccia del cielo”, per usare le parole di Fabio Sargentini, è essenzialmente un discorso sul tempo, un tempo le cui opposte polarità del tutto e del nulla si ritrovano sul punto di soglia che è l’arte. Un territorio franco, una lingua di confine in cui ogni scontro, ogni contraddizione si scioglie nell’armistizio. Montani – che di quella soglia è guardiano – trova nell’abbandono controllato la via maestra d’accesso a quel limbo. Shitao, pittore cinese del Seicento – e senza dubbio una delle chiavi d’accesso privilegiate alla pittura di Montani – amava pensare la sua pittura di paesaggio come “un’esperienza […] di ambientamento, nel senso che il pittore si fa tutt’uno con il paesaggio, con il mondo che lo circonda; si ri-conosce con esso, attraverso di esso”. Attestarsi sulla linea di soglia, sembra dirci Montani, significa individuare il punto di equilibrio in cui l’antropico si dissolve nell’ambientale. Un equilibrio nella convivenza non sempre facile, e che Montani tuttavia sembra aver raggiunto: una simbiosi sancita, del resto, anche dalla felice formula, Paesaggi dell’Anima, che ha intitolato la rassegna di Würzburg del 2011.
Il concetto di soglia, dunque, lungi dal risolversi esclusivamente sul piano formale dell’opera, è altresì il principio guida che fonda, sul piano procedurale, l’esercizio artistico di Montani. Una pratica antiautoritaria, che permette al quadro di accadere, libero da vincoli intellettualistici e dalle strettoie di una ragione lasciata procedere a briglie lente, ma mai del tutto sciolte. L’approccio “aperto” dell’artista gli consente di accogliere suggestioni non necessariamente visive: ancora Shitao, che definiva la sua pittura un’esperienza sinestetica, permette di introdurre la forte componente musicale dell’opera di Montani. Nel corso dell’inaugurazione lo svelamento progressivo dell’opera è stato accompagnato dall’esecuzione di Facades, brano di Philip Glass tratto da Glassworks, album del 1981. Un sodalizio, quello di Montani con la musica, non di recente avvio: da sempre attento alla potenzialità musicale delle parole, l’artista – che ha dichiarato che alcune delle sue opere prendono il via dalla scelta preliminare di alcune parole chiave – si è già lasciato ispirare, per il suo Quartetto per la fine dei tempi, dal brano omonimo di Olivier Messiaen, compositore francese che aveva indirizzato la sua ricerca verso l’ipotesi di una musica sinestetica, in cui l’idea di equilibrio si traduce necessariamente nella diversificazione e nel sapiente dosaggio degli stimoli sensoriali.
Se in passato il gioco alchemico degli equilibri aveva reso Montani un artista sempre a suo agio nelle opposte acque del maremoto e della bonaccia, nel wall painting del Museo Manzù la tensione incarnata dall’opera evidenzia la contraddizione insanabile tra i due opposti estremi del tempo. Una volta completata la ricognizione palmare dei singoli reami del colore, la traiettoria pittorica di Montani, lungo la quale sono stati portati alla luce i sommovimenti interni della materia, dalle delicatezze dell’infrasuono alla dirompenza tellurica dei microsismi, si è attestata, con Nei colori del giorno, su una prospettiva satellitare, uno sguardo d’insieme che non consente all’occhio di indugiare sulle trame molecolari delle singole particolarità cromatiche, indagate con la lente del chimico.
L’opera, svelandosi e ritraendosi allo sguardo, è un saggio visivo attorno al tema della finitezza dello sguardo umano, sull’insanabile parzialità della sua prospettiva. Un memento mori dai tratti delicati, dalla fisionomia dolce, e che tuttavia ci ricorda che è proprio la morte a impedirci di varcare la soglia dell’ignoto. La natura effimera, transitoria dell’esperienza umana viene prontamente riscattata dall’arte: se nello spazio della vita ogni progetto di riconduzione all’uno, di ricerca del senso viene mandato a vuoto, è il perimetro dell’arte, terra in cui rifioriscono i paradossi e dove le contraddizioni tornano a convivere a offrirsi come porto sicuro. Solo nell’arte, quindi, è possibile innalzare un monumento all’ignoto. Un concetto, quello di monumento, evocato nel “sottotitolo” dell’opera e che – contrariamente alla dimensione fortemente connotata temporalmente di quest’ultima – rincorre l’eterno.
Info:
Matteo Montani, Nei colori del giorno. Per un monumento al limite ignoto
Museo Giacomo Manzù
Via Laurentina, km 32
00040 Ardea (RM)
For all the images: Matteo Montani, Nei colori del giorno. Per un monumento al limite ignoto. Credits: Sebastiano Luciano, courtesy Museo Giacomo Manzù
Laureato in conservazione dei Beni Culturali, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. È parte del team che si occupa della gestione di un noto blog di divulgazione culturale ed è inoltre contributor per Juliet Art Magazine. Crede nell’arte come spazio di recupero di una complessità perduta.
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