Della 60esima Esposizione Internazionale d’arte di Venezia stanno emergendo l’arte e la curatela post-coloniali. L’esposizione veneziana, tra le più storiche e importanti, è caratterizzata da sempre dalla volontà di ricostruire le necessità contemporanee. Dopo il curatore Okwui Enwezor, nell’edizione del 2015, è il direttore Adriano Pedrosa a occuparsi del Sud Globale. L’intenzione positiva è quella di spostare il centro dall’Occidente, sperando che un’esposizione occidentale possa bastare a placare la distanza da essa stessa creata. Ma una Biennale d’arte può essere de-colonizzata?
All’Arsenale e ai Giardini sono elencati i problemi legati alle cicatrici del colonialismo, alla gestione delle risorse, all’identità censurata. Nonostante sia importante questa visibilità, l’arte del sud sembrerebbe aver semplicemente varcato la porta del sistema economico capitalistico. A un problema se ne sta sostituendo uno conseguente: il rischio è che le opere d’arte prima di minoranza, possano prendere posto tra le mode. Chi stabilisce il valore e il gusto di un’opera? Non è una casualità che alcuni artisti e padiglioni siano tra le sedi centrali.
Alcuni curatori e artisti sembrano aver colto l’occasione per presentare nuove ricerche extra-occidentali in risonanza con le questioni museali. Tra i padiglioni più acclamati troviamo l’interessante visione della Nigeria. Dal 2025 in esposizione al MOWAA (Museum of West African Art) di Benin City, Nigeria Imaginary mostra con schiettezza i tre passaggi della nazione: il passato coloniale, la post-indipendenza e il futuro. L’abitudine all’immaginario di una nazione in crisi divorata dalla fame è la panoramica fuorviante dell’imperialismo. È qui che la curatrice Aindrea Emelife riporta realtà dinamiche da pochi conosciute, come ad esempio il modernismo nigeriano. Otto artisti intergenerazionali: Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Yinka Shonibare CBE RA e Fatimah Tuggar. L’obiettivo nelle loro ricerche è mettere a nudo le necessità del paese svicolandosi dai fantasmi che ancora oggi ne ostacolano la libertà.
La critica ferrea di Yinka Shonibare si mobilita tra i saccheggi coloniali e un presente che sembra immobile. Le richieste di rimpatrio dei beni culturali non ricevono risposta. Sebbene nuove metodologie siano approdate per modificare il sistema dei musei etnocentrici, la domanda da porsi è: cosa stiamo facendo per migliorare i linguaggi e il passato coloniale? Il rimpatrio è un’urgenza, una responsabilità che non sembra voler arrivare: Shonibare lo contesta in Monument To The Restitution Of The Mind And Soul. Nell’opera viene ricreato in argilla un piccolo campione dei manufatti trafugati durante la spedizione punitiva della marina britannica avvenuta nel 1897 a scapito del Regno del Benin (ora parte della Nigeria). Tra i pezzi riprodotti in segno di rivendicazione, emerge il busto dell’ufficiale incaricato, ora adornato dello stile tessile batik, uno degli elementi chiave della politica dell’artista, e rinchiuso in una teca. Fondamentale è inoltre la sua costruzione piramidale, volta a sottolineare la libertà coraggiosa dei manufatti di esistere, smettendo di posare rigidi nel tempo e nello spazio come reliquie di una civiltà perduta da possedere.
Questa struttura si ripete, in modi differenti, in tutta l’esposizione. La curatrice idealizza un padiglione che agisce come un Mbari Club, un laboratorio fondato da giovani scrittori negli anni ‘60 dove, l’arte diveniva un dovere verso la nazione. È una Nigeria volta a problematizzare le vecchie metodologie. Approdano cinque dispositivi alternativi al centro della sala principale: sono cubici o rettangolari e sono specchianti. Riflettono una sostituzione alle teche classiche. Questi display offrono spunti di riflessione sul modo di conservare le opere, in attesa di vederle tornare alla propria casa. L’intento, per il momento, è quello di proiettare nuove strutture da sostituire alle vecchie politiche. Saremo mai pronti a modificarle? Sterilizzazioni, armadi murati nei magazzini, teche di vetro adornate da agenti di sicurezza, barre di distanziamento e allarmi possono ancora oggi rappresentare il sistema principale di esposizione dei beni depredati dal colonialismo?
Info:
AA.VV. Nigeria Imaginary
Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia
20/04/2024 – 24/11/2024
Palazzo Canal, 3121 Rio Tera Canal Dorsoduro, Venice
https://www.nigeriaimaginary.com
Alessia D’introno è laureata in Arti Visive e attualmente frequenta il biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso Nuova Accademia di Belle Arti, NABA, Milano. Scrive per la rivista cartacea e online Juliet Art Magazine. Il suo lavoro critico è incentrato sulla demolizione di paradigmi storici ai quali l’Italia e l’Europa sono legate da secoli. La pratica de-coloniale della sua ricerca sviluppa un confronto e un’apertura verso nuove metodologie e possibilità.
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