Nino Barone vive a Termoli, dove è nato nel 1955. È laureato in Architettura. Nel 1975 ha fondato il “Gruppo Solare”, di cui ha fatto parte fino al 1998; ha inoltre contribuito alla nascita del “Gruppo di Orientamento” e del Movimento Internazionale “Archetyp’Art”. Dal 2005 al 2014 ha ideato e coordinato “Tracker Art”, il Convegno della Nuova Critica d’Arte Italiana. Dal 2007 al 2014 ha gestito a Termoli la Galleria d’Arte Contemporanea “Officina Solare”. Nel 2008, partecipa al LIII Premio Termoli e gli viene assegnato il primo premio. Al suo attivo annovera la partecipazione a più di cento mostre e le sue opere figurano in gallerie e collezioni private in Italia e all’estero.
Che cosa fai in quel di Termoli?
Da quando ho iniziato a dipingere (all’incirca quarantadue anni fa) sono impegnato per movimentare l’ambiente artistico culturale della mia città, con l’obiettivo costante di divulgare la sessantennale esperienza del Premio Termoli. Purtroppo questa manifestazione (che pure ha coinvolto alcuni tra gli artisti più importanti e significativi del panorama italiano e internazionale) non è riuscita a far crescere il tessuto culturale cittadino e regionale.
Tu avresti una qualche idea per rendere più “moderna” questa tua città?
Termoli è una bella città marinara dove si vive bene per clima e bellezze naturali, ma manca di tutte quelle strutture pubbliche di coinvolgimento sociale che gli diano la dimensione di città. Sembra strano ma c’è un solo cinema parrocchiale, non c’è più un teatro, non un Auditorium o un museo che possa raccogliere i reperti e la sua storia di circa milleseicento anni, una biblioteca comunale degna di questo nome potenziata con le nuove tecnologie multimediali; non si è pensato neppure a caratterizzare il grande Parco Comunale con giochi e statue dei personaggi di Benito Jacovitti, termolese, per esempio.
E del pianeta Italia ci puoi dire qualcosa?
Penso che la riflessione che ho fatto per la mia città possa valere in gran parte anche per il resto del Paese: tutte le amministrazioni politiche e gli Enti deputati alla valorizzazione del patrimonio artistico nazionale sono concentrati solo sulla gestione di quello che il passato ci ha regalato, tenendo fuori dal circuito sociale tutte le esperienze dell’odierna cultura immateriale e isolando gli artisti e le opere che non rientrano nei parametri del mercato della globalizzazione.
Puoi dare una cornice di riferimento al tuo mondo pittorico?
Sento di collocarmi nella scia degli artisti concettuali che fanno arte attraverso le interrelazioni espresse con un “calcolo logico”, diverso dalla semplice rappresentazione. I miei segni seguono l’ordine delle strutture logiche. La memoria dei segni è la forza di un’onda-corpuscolo che costruisce relazioni in un ambiente. Il mio “gioco” cognitivo consiste nel sovrapporre a un linguaggio dei segni primordiali ed energetici l’altro codice, che si avvale degli indici tradizionali della rappresentazione. Mi riferisco alla scelta di costruire delle relazioni topografiche attraverso un codice di forze, di direzioni e d’intensità delle frequenze.
Quindi, a quali autori ti senti affine?
Per concezioni e finalità ideative apprezzo molto l’opera di Sol LeWit e Peter Halley in quanto sono riusciti pienamente a relazionare lo spazio interiore dell’influenza creativa con una nuova concezione di spazio esterno.
Nella tua opera troviamo il suggerimento di vite microbiche, di intrecci neuronali…
Nei miei quadri cerco di introdurre un codice linguistico costituito da elementi indicatori come il percorso, il raccordo, la biforcazione, l’incrocio e l’interruzione di direzione. Questi indicatori sono organizzati secondo l’emergenza delle forme d’azione attribuite agli spostamenti energetici e hanno la valenza di “frecce spazio-temporali”. “La freccia ferma: tre tentativi di annullare il tempo” di Elio Fachinelli (Adelphi Edizioni) è uno dei miei punti di riferimento. Il mio universo artistico è composto da segni, o da tratti, e forme irregolari che richiamano l’esperienza visiva di vite microbiche nascoste nell’inconscio che si rimaterializzano non solo per questo sistema rappresentativo ma anche attraverso stimoli visivi che costruisco in modo da far reagire attivamente la percezione dello spettatore. Un modo semplice per coinvolgere attivamente lo spettatore nella costruzione concettuale del quadro.
Hai appena concluso una personale ad Arezzo…
Si tratta di una mostra che ha suscitato molto interesse non solo per il linguaggio pittorico ma anche per la tematica che ho trattato. Il mio storytelling Oltre il segno, oltre il colore racconta per immagini le tematiche sulle diseguaglianze sociali che permeano la società contemporanea dei consumi. È uno sguardo oltre la comunicazione di massa che ha il difetto della spettacolarizzazione banale della miseria e della morte nel mondo; una visione che con ottimismo realistico va oltre il consueto e partecipa al dibattito in atto sulla condizione dell’umanità contemporanea. Sinteticamente uno sguardo “oltre la siepe”, un gesto artistico che affronta l’evidenza dei fatti e misura l’efficacia della politiche italiane e mondiali poco indirizzate a riequilibrare le problematiche sociali e ambientali.
Nino Barone, Superficie CCG + 5 Seg, 2020. Duco e acrilico su tela, cm 40 x 50, ph courtesy AdFormandum, Gorizia / Trieste
Nino Barone, Superficie GVR + 5 Seg, 2020. Duco e acrilico su tela, cm 50 x 40, ph courtesy Sinegraf
Nino Barone, Superficie VGC + 5 Seg, 2020. Duco e acrilico su tela, cm 40 x 50
Tu partecipi anche a Paratissima Art Station (Torino, dal 23 ottobre all’8 dicembre): quante opere conti di esporre?
La partecipazione a questa importante manifestazione, alternativa a quelle del mercato globale, mi entusiasma molto e vi espongo cinque opere che richiamano la tematica della mia personale da Villicana d’Annibale.
È direttore editoriale di Juliet art magazine.
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