“Che possibilità reali abbiamo di vivere mille anni?”
Mark O’Cornell, Essere una macchina, 2017
Nel 1872 Samuel Butler fu tra i primi a parlare di macchine intelligenti e civiltà tecnologica nel suo romanzo distopico, Erewhon. Nel XXI secolo gran parte di quella narrativa fantascientifica non solo sembra essersi attualizzata, ma si è evoluta fino alle più recenti teorie transumaniste. Secondo alcuni sostenitori del movimento, l’immortalità del genere umano è ora auspicabile, grazie al connubio tra corpo e macchina. E in un mondo in cui imprenditori come Elon Musk (noto soprattutto per Tesla) o Peter Thiel (co-fondatore di Paypal) sono convinti transumanisti, non è da domandarsi quale significato abbia questo involucro di pelle che chiamiamo corpo? Una risposta univoca e assoluta non può di certo esistere, tuttavia una riflessione accorta è necessaria.
Inaugurata lo scorso 13 gennaio negli spazi della galleria Ncontemporary di Milano, No Fly Zone #3 – The body as territory (terzo appuntamento della serie NFZ, avviata nel 2016) vuole fornire alcune letture critiche, ma del tutto personali, riguardo le molteplici identità di un corpo e il suo destino. Per l’occasione, la curatrice Roberta Pagani ha redatto un testo introduttivo acuto e puntuale, riuscendo a contestualizzare un’esposizione complessa sia dal punto di vista organizzativo, sia tematico. Infatti, il progetto iniziale avrebbe dovuto aprire al pubblico a luglio 2020 e affrontare il rapporto ambiguo tra realtà e finzione nella comunicazione contemporanea. Più volte posticipato, il percorso espositivo si è modificato insieme con gli avvenimenti che l’intera nazione sta attraversando.
Per questo motivo, le prime considerazioni sono partite dall’opera di Silvia Hell (Bolzano, 1983), A Form of History (2011), un lungo studio di rimappatura politica delle vicende storiche avvenute in Europa durante il 1861 e il 2011. Da una parte una ricerca temporale, dall’altra territoriale, legata ai cambiamenti dei vari Stati nel corso dei 150 anni presi in esame. Il corpo, allora, è da intendersi come istituzione statale, che modificando la propria forma ha la possibilità di divenire un unico spazio-tempo politico, con i suoi confini e le sue norme. Hell ha trasformato questo articolato ragionamento in una pura e chiara intuizione visiva: una scultura di massiccio alluminio, divisa in più parti e rinchiusa all’interno di una griglia di luci. Poco lontano, un’ulteriore forma di narrazione visiva. Cominciati nel 2011, i Day Portraits appaiono come stampe colorate e astratte, celando di volta in volta un racconto composto da un volto, un soggetto, un corpo. La pelle, qui, si è completamente trasformata in quelle tinte sfumate scelte dalla persona ritratta e dall’artista stessa.
Di diversa natura il lavoro di Ruth Bernaha (Milano, 1986), Self-portrait (2015-2020); al contrario di come si può intuire dal titolo, la radiografia a raggi X è una composizione dove molteplici individui danno vita a un singolo corpo privo di organi. L’artista ha attuato un’azione al limite tra iconografia e iconoclastia: se lo scheletro riportato nella CsO nega l’unicità di ognuno e la soggettività del ritratto, allo stesso tempo lo spettatore riesce a specchiarsi e riconoscersi nell’impersonalità dell’immagine. In quest’opera vita e morte, tratti personali e pluralismo, biologia e trascendenza danzano a braccetto, mentre l’impossibilità di distinguere qualcuno di definito nella lastra suggerisce l’irrilevanza dell’identificazione in un determinato genere, età o razza.
Al centro di queste due rappresentazioni di corpi si è aggiunta la ricerca artistica della francese Alix Marie (1989), contraddistinta da un uso scultoreo della fotografia. In particolare, la sua pratica si concentra sulla rappresentazione del corpo umano, il quale con la propria organicità e tattilità è in grado di provare emozioni. Nel corso della sua carriera Marie ha prodotto svariate esperienze corporee, come l’installazione circolare Maman (2019), ora esposta alla mostra. Le cinque immagini del busto della madre, stampate su di un tessuto setoso, invitano il visitatore ad entrare all’interno del cerchio, creando un luogo intimo all’interno dello spazio pubblico della galleria. L’installazione Proteus offering (2020), invece, abbandona la fotografia per lasciare il posto alla sola scultura. I calchi in serie di una mano fuoriescono dalla parete per porgere una serie di fiori ibernati in cera di vetro e appartenenti alla famiglia delle Protaeceae. A causa della sua variabilità biologica, questa specie deriva il proprio nome da Proteus, divinità greca marina e multiforme, mentre in certe credenze popolari sudafricane le Proteae erano utilizzate per celebrare la mortalità del corpo umano.
Il progetto finale ha unito in un dialogo collettivo le tre giovani artiste, mostrando lavori anche molto diversi tra loro, ma accomunati da un’unica costante: il corpo. Mortale e organico, astratto e politico, perfino ultraterreno, capace nell’arco della sua esistenza di mutare forma e identità. Eppure, sorge ancora una domanda: eravamo pronti agli avvenimenti dell’ultimo anno e a vedere il nostro corpo fragile diventare la nostra gabbia?
“Ero pronta a finire crioibernata o sostituita da un robot più intelligente di me”, scrive la curatrice Pagani, “ero pronta a finire lobotomizzata dalle tecnocomunicazioni (forse già un po’ lo sono) e privata di ogni mio dato (idem) poi venduto a caro prezzo a qualche multinazionale che avrebbe fatto di me la migliore acquirente; ma no, non ero pronta al salto di specie, alla possibilità di uccidere mia madre con uno starnuto, (..) che i corpi, il sostrato che sta sotto la pelle che possiamo vedere e trasformare, mutare e reinventare in mille e altre identità digitali, che questo mio corpo diventasse sociale solo nel confronto mortale con altrettanti corpi come me fragili e inermi di fronte al sistema di valori che ho contribuito a creare, a questo no, non ero pronta”.
No, nessuno di noi lo era.
Erica Massaccesi
Info:
No Fly Zone#3 – The body as territory
a cura di Roberta Pagani
Ncontemporary Gallery
Via Giovanni Lulli, 5 20131, Milano
Solo su appuntamento: info@ncontemporary.com
Alix Marie, Proteus offering, 2020. Courtesy the artist
Silvia Hell, A Form of History, 2011. Courtsey the artist and NContemporary Gallery, Milan
Silvia Hell, Day portrait, 2020. Courtsey the artist and NContemporary Gallery, Milan
Storica e critica d’arte contemporanea. Laureata in storia dell’arte all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, durante la specialistica lavora per la Fondazione Pistoletto, dove affianca l’artista Nico Angiuli nella produzione e direzione artistica dell’opera The Human Tools, vincitrice del premio Italian Council. Conclude i suoi studi alla IULM con una tesi sperimentale in collaborazione con l’archivio Vincenzo Agnetti. Amante della ricerca, oggi porta avanti il suo progetto all’interno dell’archivio e scrive per diverse riviste di settore.
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